LA VECCHIA SPARTIZIONE DELLA SIRIA NON HA RETTO. È GIÀ INIZIATA LA NUOVA da IL MANIFESTO e IL FATTO
La vecchia spartizione della Siria non ha retto, è già iniziata la nuova
Siria Il cambio di regime implica la ricostruzione dello stato, della società civile e di quella politica in un Paese ridotto a condominio militare di grandi potenze e di mille fazioni
Alberto Negri 10/12/2024
Nessuno può uscire indenne da una guerra civile che in Siria ha frantumato il Paese in mille pezzi, con milioni di profughi: oltre 12 milioni di siriani in questi anni hanno dovuto lasciare le loro case, la metà fuggendo fuori dai confini.
PAESI TRA I PIÙ FORTI E RICCHI del mondo arabo in una generazione si sono disintegrati e in Siria il regime è evaporato senza opporre resistenza: un segnale positivo – non ci sono state troppe vittime – ma anche negativo perché significa che lo stato si è dissolto quando lo hanno abbandonato i suoi sponsor principali, Russia, Iran e Hezbollah. Questo significa che il suo esercito non ha combattuto perché sapeva di battersi per un clan, quello degli Assad, e non più per una nazione e uno stato. L’esercito si è liquefatto, come quello iracheno nel 2014 davanti all’Isis, anche prima dell’offensiva dell’Hts e dei suoi alleati filo-turchi: aveva perso motivazione, è stato umiliato da servizi segreti che trattavano i generali come camerieri al servizio del clan al potere.
La Siria è stata ridotta a una scatola vuota, desertificata come i corridoi abbandonati del palazzo di Assad, svalutata come le banconote razziate alla Banca centrale di Damasco.
Un finale triste perché con il regime è stato archiviato per sempre il partito Baath. Fondato in Siria nel dopoguerra da un greco ortodosso, Michel Aflaq, e da un sunnita, Salah Bitar, il partito Baath era nelle mani insanguinate degli Assad mentre quello iracheno di Saddam Hussein era stato sciolto, con l’esercito, dagli Usa. Non restava quasi nulla dell’ideologia socialista e panaraba originaria – che aveva segnato negli anni Sessanta il riscatto dei più poveri di fronte alle strutture feudali – se non il principio della laicità dello stato. Un giorno qualcuno lo ricorderà.
SI PONE QUINDI IL PROBLEMA urgente che abbiamo visto altre volte: il cambio di regime implica la ricostruzione dello stato, della società civile e di quella politica in un Paese già ridotto a una sorta di condominio militare di grandi potenze e di mille fazioni. In realtà è già iniziata una nuova spartizione, perché quella precedente non ha retto.
Israele vuole la sua “fascia di sicurezza” e ha cominciato a prendersi a sud il versante siriano del Golan – non accadeva dal 1973 – e a bombardare ogni bersaglio “utile”: prima erano pasdaran iraniani e Hezbollah, adesso caserme, basi aeree e depositi di armi, affermando che non devono cadere in mano a gruppi «ostili». Tra gli ostili non ha nominato Hts, il movimento salafita di Al Julani sponsorizzato dalla Turchia, ma è chiaro cosa pensa lo stato ebraico: la Siria, come l’Iraq, come la Libia – e un giorno forse l’Iran – non deve avere un apparato bellico che possa minimamente minacciarlo.
Israele sta massimizzando la guerra lanciata dopo il 7 ottobre: ha steso al tappeto la mezzaluna sciita, gli Hezbollah vengono martellati ogni giorno nel Sud del Libano, ha sbriciolato con l’attacco del 26 ottobre le difese aeree iraniane. Assad è caduto anche per questo e gli effetti si sentiranno a breve in Libano.
LA CADUTA DI ASSAD ha suscitato reazioni forti in un Paese con una lunga storia di interazioni complesse con il vicino siriano. Politici e leader religiosi libanesi hanno commentato l’evento con dichiarazioni che riflettono non solo i sentimenti legati alla fine del regime siriano ma anche le implicazioni che potrà avere sul futuro. Il Libano con una fragile tregua non è uscito ancora dalla guerra e come in passato può entrare nella centrifuga dei conflitti interni.
La spartizione della Siria coinvolge in pieno la Turchia sponsor dei ribelli jihadisti e non da oggi. Erdogan, come Israele, vuole ampliare la sua “fascia di sicurezza” di almeno 40 km fino alla periferia di Aleppo e puntare verso i curdi che secondo i suoi piani non devono avere uno stato e neppure un’autonomia nel Rojava. Intensi scontri armati sono in corso nel nord della Siria al confine con la Turchia tra le fazioni filo-turche e i rivali curdi. Questi erano anche alleati degli Usa nella lotta al Califfato ma Trump – che già in passato li aveva lasciati alla mercé dei turchi – dice di non volere essere coinvolto. Ma gli Usa, che hanno un contingente in Siria, sono sempre attori di primo piano in Medio Oriente e la Turchia è un Paese Nato mentre Israele è il maggiore alleato degli Usa. Solo uno sprovveduto può pensare di stare in Medio Oriente affacciato a un balcone a guardare gli eventi.
COSA CONTROLLA OGGI Al Julani che ha nominato il nuovo premier Mohammed al Bashir promettendo che le donne non dovranno portare il velo e l’amnistia per i soldati? Una parte importante della Siria, ma lo attendono milizie alauite, druse e quelle dell’Isis, oltre ai curdi. E soprattutto dovrà pagare la cambiale con Erdogan. La Siria ha di fronte sfide proibitive, dal rapporto con le potenze straniere al rientro dei profughi in un Paese dove l’80% vive sotto la soglia di povertà. Il rischio è che i nuovi governanti saranno a capo di una mini-Siria sempre sotto l’incubo di rivalità e spartizioni.
Siria Assad è stato cacciato e Putin umiliato tanto quanto l’Occidente
ALESSANDRO ORSINI 10 Dicembre 2024
Assad è caduto, Putin è umiliato. La grande stampa italiana svolge la stessa funzione sociologica della grande stampa in Russia. La prima crea consensi intorno alla Casa Bianca nobilitando il presidente degli Stati Uniti; la seconda crea consensi intorno al Cremlino nobilitando il presidente russo. La prima si concentra soltanto sulle umiliazioni della Russia; la seconda soltanto sulle umiliazioni della Nato. La prima insulta Putin; la seconda insulta Biden.
La grande stampa italiana è una stampa simil-russa. Caduto Assad, parla dell’umiliazione di Putin senza spiegare che l’umiliazione dell’Occidente è quasi equivalente. Per soppesare il disastro, occorrono alcune informazioni mancanti. In primo luogo, bisogna sapere che in Siria sono state giocate due grandi partite tra Putin e l’Occidente. La prima è iniziata quando la Casa Bianca ha lanciato il piano “Timber Sycamore” per rovesciare Assad e sostituirlo con un presidente filo-americano. Il 30 settembre 2015, Putin è intervenuto militarmente distruggendo il tentativo americano di assumere il governo della Siria. La prima partita si è conclusa con la vittoria di Putin sull’Occidente nel luglio 2017, quando Trump ha posto fine a “Timber Sycamore”. Questo spiega la mia frase a Piazzapulita di Corrado Formigli nel marzo 2022: “Bisogna avere il coraggio di riconoscere che Putin in Siria ha sconfitto Stati Uniti, Nato e Unione europea”. Quella frase era e resta vera perché riporta il risultato della prima partita.
Poi è iniziata una seconda partita in cui l’Occidente ha lavorato soltanto per la distruzione della Siria in base al seguente ragionamento: “Se la Siria resta a Putin, tanto vale distruggerla con la guerra civile” che la Casa Bianca ha alimentato ferocemente opponendosi a qualunque pacificazione, mentre migliaia di bambini morivano orrendamente. Nella base di Al-Tanf, che gli Usa hanno creato illegalmente in territorio siriano, la Casa Bianca ha addestrato e armato i ribelli anti-Assad. La seconda partita ha assistito a un impazzimento delle relazioni internazionali in Siria. I gruppi ribelli si sono fusi e moltiplicati trovando appoggi esterni (Turchia, Qatar, Stati Uniti e altri). Conseguenza: bambini morti e distruzioni dappertutto che hanno umiliato non Putin ma l’umanità, che l’Occidente ha perso molto tempo fa, come Gaza dimostra. Alla fine di questo processo distruttivo – ammesso che sia finito – Assad è stato rovesciato da un’organizzazione terroristica, per Onu e Usa, proveniente da al Qaeda, guidata da al Jolani, un celebratore dell’attentato contro le Torri Gemelle. Fu proprio l’entusiasmo sprigionato da quell’orrore a spingerlo a combattere con al Qaeda in Iraq contro gli americani.
La Siria passa da un regime anti-occidentale a un regime jihadista ancor più anti-occidentale. Il che rappresenta un’umiliazione per l’Occidente, la cui lotta al terrorismo ha moltiplicato i terroristi che adesso prendono la Siria. “Dettagli” che la stampa simil-russa – Corriere della Sera, Stampa, Repubblica, Libero, il Giornale e il Foglio – non vede. Putin è stato umiliato, ma i ribelli gli hanno assicurato che conserverà intatti i propri interessi in Siria. Al bilancio delle umiliazioni si aggiunga che Assad cade su Zelensky: Putin potrà investire in Ucraina le risorse impegnate in Siria attraverso un meccanismo disumano dove un’umiliazione tira l’altra producendo milioni di morti. La grande stampa italiana esulta, fino a quando questa logica disumana non porterà morti e distruzioni anche a casa nostra.
La padella e la brace
MARCO TRAVAGLIO 10 Dicembre 2024
L’idea di avere in Siria un nuovo Califfato jihadista al posto della tirannide degli Assad riempie di entusiasmo gli scemi di guerra atlantoidi. Rimbambiden, Macron, Ursula, Metsola, Kallas e Zelensky esultano per la fine della dittatura senz’accorgersi che ne è già iniziata un’altra, che ci odia più della precedente. Repubblica e Stampa squadernano l’album fotografico del capo dei cosiddetti “ribelli” al Jolani, segnalandone la poetica somiglianza con Fidel Castro. Ma sul web c’è chi giura che il simpatico seguace di al Zarqawi e al Baghdadi, grande fan dei massacri delle Torri Gemelle e del 7 Ottobre, ricercato dagli Usa con taglia di 10 milioni come uno dei terroristi più pericolosi del mondo, ricordi anche Borat (al netto del costumino con sospensorio e bretelle), Che Guevara, Gesù e forse – parlando con pardòn – Draghi. Il Foglio tripudia per le “due vittorie dell’Occidente dietro la caduta di Assad” (non una: due). Sambuca Molinari gongola per “il successo della Turchia di Erdogan”, l’autocrate e macellaio di curdi che, essendo iscritto al club Nato, sfugge alla spiacevole distinzione “aggressore/aggredito”. Infatti anche la pulizia etnica di 120 mila armeni in Nagorno Karabakh a opera dei suoi complici azeri è stata, per Sambuca, un “successo”.
Pensare che, siccome Assad era (anche) amico di Putin e dell’Iran, la sua caduta sia una benedizione, è roba da menti malate che scambiano la geopolitica per un derby di calcio. I mujaheddin erano belli e buoni quando combattevano (con le nostre armi) gli invasori russi, poi divennero “talebani” brutti e cattivi quando (sempre con le nostre armi) combattevano gli invasori Nato. Saddam era un caro amico quando combatteva (con le nostre armi, anche chimiche) gli ayatollah, poi divenne un puzzone quando, finite le nostre armi chimiche, inventammo che le avesse ancora per poterlo invadere ed esportare la democrazia in Iraq mettendo gli sciiti al posto dei sunniti. Solo che questi crearono il Califfato dell’Isis e ci toccò combatterli con l’aiuto di russi, iraniani e siriani, un po’ meno cattivi di prima, e col sacrificio dei curdi, poi mollati nelle grinfie di Erdogan. Intanto Obama e altri geni spasimavano per le Primavere Arabe, che però vinsero le elezioni in Egitto: allora le schiacciammo con il golpe di Al Sisi. Per non parlare della Libia dopo Gheddafi. Ora che si insediano a Damasco i reduci Isis&al Qaeda, con una decina di bande di tagliagole pronte a scannarsi per il potere, i soliti gonzi parlano di “Siria liberata”, “primavera siriana”, “jihadisti moderati” e “pragmatici”. Si illudono che, se uno è cattivo, il suo nemico sia buono. E che, se uno perde, l’altro vinca. Prima o poi capiranno che, nel nuovo caos mondiale, sono tutti cattivi e perdiamo tutti.
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