LA PROPAGANDA È L’ANIMA DELLA GUERRA da ILFATTO e IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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LA PROPAGANDA È L’ANIMA DELLA GUERRA da ILFATTO e IL MANIFESTO

Fa comodo attribuire all’invasione dell’Ucraina tutti i mali dei Paesi Nato. Ma stiamo attenti

L’esplosione sotterranea nel gasdotto Nord Stream è stata provocata da un sabotaggio, queste le conclusioni dell’indagine condotta dalle autorità svedesi. In altre parole, qualcuno l’ha fatto apposta. Il missile atterrato in Polonia questa settimana proveniva dall’Ucraina, possibilmente era stato lanciato dalla contraerea, rimane però il fatto che qualcuno in Ucraina l’ho abbia fatto senza dire nulla al resto del mondo, lasciando che pensasse che provenisse da Mosca.

La propaganda è l’anima della guerra, specialmente quando si vuole tirare dentro al conflitto alleati potenti, con grossi muscoli militari. Churchill tentò in tutti i modi di convincere gli americani ad entrare in guerra al fianco degli alleati, ma ci volle Pearl Harbour per riuscirci. Tra le tante storie di dietrologia c’è quella che sostiene che la Casa Bianca possedeva l’intelligence relativa all’attacco ma non fece nulla per evitarlo perché avevano bisogno di un casus belli per entrare nel conflitto a fianco degli alleati. L’opinione pubblica doveva subire uno choc per appoggiare l’entrata in guerra e la strage di Pearl Harbour lo fu.Qualunque sia la verità, una cosa è certa quando si è coinvolti in una guerra specialmente quelle per procura, com’è il caso dell’Ucraina: si cerca di tirare dentro gli sponsor, e generalmente eventi drammatici eccezionali del tipo di Pearl Harbor servono a tale scopo.
È molto probabile che Zelensky e chi gli è intorno usino tutti gli strumenti a loro disposizione, inclusa la propaganda bellica, per far entrare la Nato nel conflitto. In fondo, durante la Seconda guerra mondiale gli alleati fecero la stessa cosa con gli americani.

Seguivano questa logica anche i gruppi armati della guerra fredda. Allora però le guerre per procura in Corea, Vietnam e centro America erano gli strascichi del conflitto mondiale trasformatosi in una guerra tra comunismo e mondo libero ed erano compartimentalizzati dalle due superpotenze; oggi i conflitti in corso, di cui quello in Ucraina riceve tutta la nostra attenzione, sono i pezzi sparsi del puzzle della terza guerra mondiale, una volta ricongiunti ci troveremo anche noi in prima linea.

Cosa sarebbe successo se questa settimana la Nato avesse davvero attivato l’articolo 4? Ci vogliamo pensare. Saremmo entrati in guerra contro la Russia? Per ora la risposta degli Stati Uniti e della Nato è stata cauta, è chiaro che né gli uni né l’altra vogliono trasformare una guerra per procura in un conflitto mondiale. Ma le cose cambiano. E la tentazione dei paesi membri della Nato di scaricare tutti i problemi economici e politici nazionali sull’aggressione russa, creando nell’immaginario collettivo un grande mostro da abbattere ad ogni costo, è forte.

Questa settimana il cancelliere dello scacchiere britannico ha presentato un bilancio di austerità per risanare un’economia agonizzante ed ha puntato il dito contro Mosca quale responsabile, è colpa dell’invasione dell’Ucraina se il paese è piagato dall’inflazione e dalla recessione, ha detto Jeremy Hunt. Nulla di più falso, la stagflazione britannica è il prodotto della Brexit di cui il partito laburista non smette di vantarsi. Ma molti cittadini britannici gli hanno creduto.La stessa narrativa viene applicata al missile atterrato in Polonia. Si dice che se non ci fosse stata l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, nessun missile lanciato dall’Ucraina che si sarebbe schiantato in Polonia. Io invece vorrei sapere se esiste un’indagine in corso e ne vorrei conoscere le conclusioni, chi lo ha lanciato, perché e perché nessuno ci ha allertato. Ci dovrebbe essere un’interrogazione parlamentare, i governi dovrebbero chiedere spiegazioni alla Nato, ed invece tutto tace.

Fa comodo ormai presentare l’invasione dell’Ucraina come la radice di tutti i mali che si abbattono su di noi. Ma stiamo attenti, da qui ad arrivare alla conclusione che prima o poi bisognerà estirparla il passo è breve. Senza la compartimentalizzazione delle guerre per procura della guerra fredda qualcuna potrebbe sfuggirci di mano ed in un batter d’occhio i pezzi del puzzle della terza guerra mondiale si incastrerebbero.

Meglio, molto meglio lavorare per la pace ed ammettere i propri errori.

La soglia massima del privato

NUOVA FINANZA PUBBLICA. La rubrica settimanale di economia politica a cura di autori vari

Massimo Bortolon  19/11/2022

All’indomani dello scoppio della crisi del 2007-08, che a stretto giro infiammò la crisi del debito sovrano in Europa fra 2009-12, quando era fresco il sentore del pericolo dei processi di finanziarizzazione, venne istituito un organismo che avrebbe dovuto monitorare il sistema per avvertirci di tali rischi. Si tratta del Financial Stability Board (FSB). Tale ente, durante gli anni in cui del tema non importava più a nessuno, ha continuato a sfornare rapporti nella indifferenza generale, l’ultimo dei quali è uscito pochi giorni fa, il 16 novembre.

In esso si trovano dati interessati dei paesi interessati (cioè degli Stati appartenenti al G-20: Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Sud Corea, Messico, Russia, Arabia Saudita, Sudafrica, Turchia, Uk, Usa, e Ue). Per esempio il ritmo dell’indebitamento di natura non-finanziaria per settori: Stati, imprese e famiglie. Le loro passività sommate, per tutti i suddetti paesi, se nel 2010 restavano saldamente sotto i 10 trilioni (1tr sono 1000 miliardi) di dollari, arrivavano sopra i 20 nel 2014, ed oggi superano in scioltezza la soglia degli 80 trilioni. Dobbiamo preoccuparci?

Il dato finale trova senz’altro conferma nel Sovereign Borrowing Outlook 2022 dell’OECD; fonte che parla di un diverso insieme di paesi, a tratti coincidente, ma più ampia, arrivando a 38 paesi. Questa è specificamente dedicata all’indebitamento degli Stati che emettono titoli, quindi facendoseli prestare sul mercato. E pure qui si individua una dinamica crescente, culminante del 2020. Il rapporto vede una dinamica crescente del fabbisogno finanziario dello Stato, cioè di quanto i governi devono chiedere in prestito ai privati sul mercato.

Ma vanno considerati gli altri due settori: imprese e famiglie. Nello stesso studio del FSB si vede come i debiti delle aziende hanno avuto una dinamica abbastanza simile a quelli pubblici; questi ultimi, dopo un robustissimo balzo verso l’alto del post-2008 si mantengono in una fascia fra 80-90% rispetto al pil, mentre i primi dal 2013 decollano e dal 2015 restano in una banda fra 90-95% sul pil – senza che, per inciso, i soliti commentatori ci proponessero le solite paternali applicando al settore privato la necessità di austerità e di compressione delle spese. Nel 2020 esplodono entrambi oltre il 100%, ridiscendendo un po’ nel 2021. Il debito delle famiglie invece resta “virtuosamente” sotto il 70% il tutto il periodo considerato.

Tutto questo ci può suggerire due considerazioni: primo, la asimmetria fra invocare il taglio della spesa agli Stati e quello alle imprese è clamorosamente viziato da pregiudizi anti-statalisti e non trova riscontri nemmeno nei dati più mainstream. Risulta infatti assai evidente che un restringimento del ruolo dello Stato nel settore finanziario libera risorse di liquidità che anziché essere impiegate per comprare titoli pubblici che restano sostanzialmente sicuri potranno essere riversate su obbligazioni private il cui esito più usuale è nutrire le solite bolle finanziarie.

Secondo: è rimasto nella storia come sia stato screditato quello studio che vedeva un indebitamento pubblico oltre il 100% come particolarmente problematico – sbugiardato per una errata impostazione dei dati, dopo però aver dato una legittimazione accademica alla austerità. Invece è restato pressoché ignoto un altro studio (Too Much Finance del 2012, pubblicato dal Fondo Monetario Internazionale) di Arcand, Berkes, Panizza, secondo il quale un indebitamento privato oltre il 110% del pil produce effetti depressivi sulla crescita ed amplifica i possibili shock finanziari.

Facendo la somma dei debiti aziendali e privati è palese che siamo in territorio assai rischioso – e non solo per la crisi indotta dal Covid – e le scarse prestazioni economiche degli ultimi anni tenderebbero ad avallare tale esito. Studio molto meno noto di quello che invece era diretto a stabilire soglie del debito statale, nonostante non sia noto alcun errore in cui gli studiosi che lo hanno prodotto siano incorsi. Insomma sì, qualche preoccupazione sarebbe bene averla.

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