LA DESTRA MANGANELLA CHI CONTESTA LA RAI da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
15219
post-template-default,single,single-post,postid-15219,single-format-standard,cookies-not-set,stockholm-core-2.4.4,select-child-theme-ver-1.0.0,select-theme-ver-9.11,ajax_fade,page_not_loaded,,qode_menu_,wpb-js-composer js-comp-ver-7.8,vc_responsive

LA DESTRA MANGANELLA CHI CONTESTA LA RAI da IL FATTO

La destra manganella chi contesta la Rai

GHALI E “LO STOP AL GENOCIDIO” – Napoli, Torino & C. 12 feriti. Manifestazioni contro l’ad Sergio che ha imposto la “riparazione” pro-Bibi . I poliziotti caricano, Salvini li difende

TOMMASO RODANO  14 FEBBRAIO 2024

L’onda di Sanremo è sempre più lunga, la tensione aumenta: ancora manifestazioni sotto le sedi della Rai, ancora risposte repressive e scontri.

Soprattutto a Napoli, dove alcune centinaia di manifestanti si sono dati appuntamento sotto gli uffici della televisione pubblica a Fuorigrotta.

Bandiere palestinesi, maschere dell’“alieno” che ha accompagnato Ghali a Sanremo, lo slogan “stop genocidio” e uno striscione con la scritta “Radio Televisione Israeliana”. Il sit-in aveva un obiettivo: essere ricevuti e ascoltati negli uffici del servizio pubblico e chiedere spiegazioni sulla linea editoriale con cui racconta la strage quotidiana di Gaza, schiacciata sulle ragioni di Netanyahu. È il risultato, a distanza di due giorni, della lettera di solidarietà a Israele che l’amministratore delegato Roberto Sergio ha fatto leggere a Mara Venier, prendendo le distanze dalle parole di Ghali e dall’altro rapper Dargen D’Amico.

Il sit-in era organizzato dalle realtà politiche e sociali della sinistra cittadina: la “Rete Napoli per la Palestina”, SiCobas Napoli, Potere al Popolo, Ex Opg “Je So’ Pazzo” e Laboratorio politico “Iskra”. Prima dell’inizio, gli agenti della Digos hanno distribuito un foglio della questura: una prescrizione che invitava i manifestanti a “non creare intralcio alle attività Rai”, “non esporre vessilli, striscioni, bandiere discriminatorie o a carattere razziale o religioso” e “non pronunciare slogan inneggianti all’odio razziale”.

Il clima è peggiorato presto: le forze dell’ordine, allineate sotto ai cancelli chiusi della Rai, hanno reagito alla pressione del corteo spianando i manganelli. Il bilancio ufficiale è di 12 feriti, di cui 5 poliziotti. Gli agenti sono stati colpiti da sassi e aste di bandiera, mentre i manifestanti manganellati ne sono usciti con ferite copiose e volti rigati dal sangue. Tra di loro c’era Mimì Ercolano, 45 anni, sindacalista dei Cobas. “Siamo stati vittime di una reazione violenta, spropositata e inattesa – ha detto Ercolano –. Stavolta davvero non ce lo aspettavamo, eravamo lì pacificamente, armati solo delle bandiere”. Nella calca anche un fotografo del Mattino, storico quotidiano di Napoli, è stato ferito alla testa dal casco lanciato da un manifestante.

Era presente l’ex sindaco Luigi de Magistris. “C’è stata qualche spinta, ne ho viste tante alle manifestazioni, ma sono volate manganellate pesanti. Non c’era nessun pericolo, c’è stato un uso sproporzionato della forza”, ha detto De Magistris al Fatto. “Ho l’impressione – ha aggiunto – che stiamo entrando in una fase buia della Repubblica. La Rai sembra la Radiotelevisione israeliana, c’è una criminalizzazione del dissenso e ora i manganelli. I segnali sono brutti”.

Dopo gli scontri una delegazione dei manifestanti è stata ricevuta negli uffici della televisione pubblica, ma è uscita insoddisfatta dall’incontro: “Alla fine la Rai ci ha concesso solo un minuto di intervista con una rappresentante dei palestinesi a Napoli. Pretendiamo un’informazione completa”.

Lunedì a Roma una manifestazione simile, molto più contenuta nei numeri e senza episodi di violenza, si era conclusa con l’identificazione e la denuncia di 9 studenti. Ieri la protesta ha coinvolto anche Torino, dove circa 500 persone hanno protestato sotto la sede della televisione pubblica. Anche qui la tensione era alta, con lanci di uova e bottiglie da una parte, di fumogeni dall’altra. Oggi tocca a Milano.

I fatti di Napoli hanno un riflesso nelle polemiche tra i partiti. Cinque Stelle, Pd e Alleanza Verdi Sinistra hanno chiesto un’informativa urgente del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, perché faccia luce sul comportamento della polizia. Ma l’unità delle sigle di opposizione è solo apparente: sui social l’ex ministro dem Andrea Orlando e l’eurodeputato Brando Benifei hanno accusato Giuseppe Conte di “difendere l’indifendibile Sergio”, ad della Rai. Fonti interne al Movimento hanno fatto trapelare la stizza dell’ex premier: “Abbiamo subito stigmatizzato il comunicato stampa di Sergio e abbiamo chiesto a Piantedosi di chiarire i gravi fatti di Napoli, ma per alcuni esponenti del Pd diventa un escamotage per attaccare Conte”.

Lega e Fratelli d’Italia invece marciano unite. Matteo Salvini difende l’ad della Rai: “La mia solidarietà umana e culturale a Roberto Sergio, e totale condanna per chi insulta e minaccia professandosi ‘pacifista’”. Parole simili da FdI: “Condanniamo la violenta manifestazione pro Palestina di Napoli. Altro che pace, si è trattata di un’iniziativa violenta. Ai lavoratori e ai vertici Rai, vittime di questa indegna aggressione, esprimiamo tutta la nostra solidarietà”.

Il ritorno dell’Eiar. Pronti i cartelli in Rai: “Qui non si parla di politica”

ALESSANDRO ROBECCHI  14 FEBBRAIO 2024

Comments

Lei è poeta? Bene, allora faccia il poeta e non rompa i coglioni. In sintesi la serena posizione della destra fantasy al potere in Italia su argomenti come “arte e politica”, “arte e società” e altre questioncelle di cui si dibatte da alcune migliaia di anni è questa, come potete vedere, molto articolata. In confronto, le scritte nelle osterie ai tempi del Ventennio – “Qui non si parla di politica” – erano un trattato di densa complessità semantica. Ora no, niente di tutto questo, ora si va per le spicce, come dice il deputato Giorgio Mulè di Forza Italia: “A Sanremo si va per cantare”. Ecco, bon, finito. E se qualcuno, oltre a cantare (e magari pure cantando!) dice delle cose sul mondo – dall’immigrazione all’ambiente, dalla guerra al genocidio di Gaza, alla fame nel mondo, ai salari bassi – ecco che “è uno sproloquio”, oppure (per i più colti) “le cose vanno dette nel loro contesto”, oppure, “ecco vuole farsi pubblicità”, o ancora “non sa quel che dice”.

All’ultimo step c’è anche il non mettere in difficoltà la sora Mara Venier, poverina, che all’età di 73 anni, e installata in tivù da quando c’erano i tram a cavalli, si presta alla lettura di un comunicato Eiar sollecitato dall’ambasciatore di Israele per paura di non fare carriera. Cerchiamo di capirla.

Gli argomenti per dire ad artisti, cantanti, scrittori, registi e altri esponenti della cultura il classico e volitivo “Stai al posto tuo” sono numerosi e, ahimè, sempre gli stessi. Il primo e più gettonato è l’intramontabile “non è il momento”, “non è il posto giusto”, “il contesto non è quello adatto”. Insomma, come ha detto zia Mara, “Questa è una festa e si parla di musica”, mica di immigrati (questo zittendo Dargen D’Amico), anche se poi ha letto il famoso comunicato, che non parlava di musica per niente. E vabbè.

Poi c’è un altro classico e sempreverde manganello per chi si ostina a occuparsi del mondo oltre a cantare una canzone (come se cantare una canzone non fosse occuparsi del mondo, poi!), ed è l’accusa di guadagnarci qualcosa, di lucrare in popolarità. “Vuole farsi notare!”, è la terribile accusa, magari pronunciata da politici di seconda, terza e quarta fila che venderebbero la madre per veder pubblicata una loro dichiarazioncina con fotina annessa. Questo fa sempre molto ridere, perché di solito – come nel caso di Ghali – quello accusato di volersi fare pubblicità dicendo “cessate il fuoco” è già molto, ma molto, ma molto più popolare e noto del pupazzetto che si indigna. Seguendo lo stesso ragionamento potremmo dire che Mulè (e altri) si fanno pubblicità parlando di Ghali, sarebbe più sensato, perché sono in effetti meno popolari e molto meno amati dal pubblico.

L’ultima cartuccia per tenere gli artisti “al posto loro” se la giocano in molti, compresi corsivisti, commentatori e paraguru dell’informazione, ed è – nell’impossibilità di smontare l’argomento – l’operazione di svilire chi lo pronuncia. Insomma, siccome è difficile di fronte a un “Basta con il genocidio!” rispondere “No, no, avanti con il genocidio!”, si contesta la lucidità, o la conoscenza dei fatti, o l’autorevolezza di chi lo dice. Come se si dovesse essere chissà quanto autorevoli per dire che non bisogna assassinare donne e bambini. Insomma è una variante del “Che ne sai tu che fai il cantante!”, detto quasi sempre da gente che ne sa infinitamente meno, ma si adegua. Deve sembrare ai volenterosi censori un’arma invincibile e acuminata. Insomma! Che ne sa un cantante di genocidi? Chi si crede di essere, eh, la Corte dell’Aja? Ops…

Caso Ghali, Moni Ovadia: “Gli artisti devono esporsi sulla politica. Da B. in poi hanno preferito evitarlo”

 LORENZO GIARELLI  14 FEBBRAIO 2024

“Ben vengano gli artisti che si esprimono sulla politica. Spero che non si esaurisca con la fine di Sanremo”. Moni Ovadia è autore, scrittore e attore di successo che non ha mai rinunciato a un genuino attivismo politico e sociale, in queste settimane critico soprattutto con il governo di Israele. Con le recenti uscite pubbliche di Ghali e colleghi, sembra che gli artisti vogliano esporsi sull’attualità più di quanto non abbiano fatto negli ultimi anni.

Moni Ovadia, è un buon segno se gli artisti si fanno sentire?

Io sono uno di quelli che non ha mai smesso di farlo. Un artista non può non rendersi conto di avere quasi un impegno verso i più deboli, i vessati.

Perché in Italia ce ne siamo dimenticati?

Mi spiace dirlo, ma il tasso di opportunismo, servilismo e vigliaccheria non conosce uguali. Nel momento in cui tirava una cattiva aria, da Berlusconi in poi, tutti hanno preferito evitare accuratamente di esporsi.

In altri Paesi, come negli Usa, è più comune vedere artisti schierarsi.

Sì, perché la tradizione anglosassone impone alle opposizioni di avere molto coraggio e consapevolezza del proprio valore, ancorché io veda gli Usa come i principali responsabili dei guai del mondo.

Perché è così importante farlo?

La funzione di un artista è fare da cassa di risonanza. E pure da controllo della politica, visto che la stampa mainstream mostra tutti i suoi limiti e spesso ripete solo le veline del potere. Per questo abbiamo bisogno che chi ha visibilità si informi – su Youtube, per esempio, esistono ottime conferenze e lezioni – e poi rilancino le proprie idee.

Spera di sentirsi meno solo?

Io ho sempre diffuso le mie idee contro la follia sionista, ma i miei mezzi sono limitati. Per anni ho provato a organizzare un grande concerto per la Palestina sul modello del Live Aid e avrei voluto coinvolgere star internazionali come Roger Waters. Purtroppo non mi è mai riuscito, ci vogliono soldi e relazioni e io, seppur conosciuto, sono pur sempre un artista di “nicchia”. Ma sono convinto che progetti del genere siano necessari.

No Comments

Post a Comment

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.