LA CIECA REPRESSIONE DEGLI INDIFFERENTI da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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LA CIECA REPRESSIONE DEGLI INDIFFERENTI da IL MANIFESTO e IL FATTO

La cieca repressione degli indifferenti

ATENEO BLINDATO. Gli indignati difensori del confronto tra atenei oggi lasciano picchiare i propri studenti. Dimostrando che la linea di faglia tra chi protesta e chi si fa scudo dei manganelli non è il dialogo, è l’indifferenza

Andrea Fabozzi  17/04/2024

«Violenza vergognosa» dice la ministra dell’Università Bernini, ma ce l’ha con gli studenti picchiati e arrestati all’Università di Roma. Non con i poliziotti, che ancora una volta hanno alzato i manganelli sulla protesta, portando a casa un bottino di pestati e fermati.

Protesta veemente e disperata perché disperata è la situazione di Gaza che per fortuna studentesse e studenti non dimenticano. Dovendo offrire i loro corpi a chi li vorrebbe distratti.

Immediato il tentativo di raccontarli come irresponsabili. Estremisti, come se l’estremismo non fosse quello al potere di chi bombarda i civili da mesi e di chi lascia fare.

Ma è un tentativo inutile e fasullo, tanto sensate solo le loro ragioni che hanno già trovato accoglienza in altri senati accademici, in altri rettori che si sono ritratti dalle fondazioni armate e in centinaia di docenti che le richieste dei collettivi appoggiano.

Non stiamo parlando di boicottaggi, non stiamo parlando di antisemiti, come ce li racconta chi tiene gli occhi chiusi per non aprirli sui suoi fallimenti e sulle catastrofi che alimentano.

Scambi culturali, relazioni aperte tra università, desiderio di conoscenza dell’altro sono preziosi proprio perché non si fondano sull’apatia e su una presunta neutralità della scienza.

Gli indignati difensori del confronto tra atenei oggi lasciano picchiare i propri studenti.

Dimostrando che la linea di faglia tra chi protesta e chi si fa scudo dei manganelli non è il dialogo, è l’indifferenza.

Sapienza, scontri e arresti. La destra: “Nuovi terroristi”

STUDENTI CONTRO RETTRICE – Con Tel Aviv “Niente stop”. Commissariato sotto assedio. Approvato il testo della Polimeni

SALVATORE CANNAVÒ  17 APRILE 2024

Ancora scontri alla Sapienza sul conflitto in Palestina. Il corteo degli studenti, a cui si sono accodati diversi docenti, è stato bloccato dalla polizia mentre sfilava fuori dalla Città universitaria per protestare contro il fermo di due studenti. Per ottenere il loro rilascio gli studenti hanno manifestato fino a tarda sera davanti al commissariato di San Lorenzo fino a quando i due sono stati mandati a casa ai domiciliari e oggi saranno processati per direttissima. “Ancora una volta la nostra università si rifiuta di ascoltarci”, spiega il comunicato dei Collettivi studenteschi “rispondendo alle nostre proteste con violenza e repressione. Ma non sarà questo a fermarci”. “Abbiamo impedito l’irruzione nel Rettorato e nel Commissariato” replica invece la Questura che lamenta diversi feriti. E che la protesta non si fermerà si capisce da quanto deciso dal Senato accademico e dal Consiglio di amministrazione convocati dalla Rettrice Antonella Polimeni che, anche per la sua presenza nel Consiglio scientifico della fondazione MedOr, finanziata da Leonardo, è fortemente contestata. La riunione congiunta ha prodotto un documento in cui la Sapienza risponde alle contestazioni unendosi “ai crescenti sentimenti di dolore e orrore suscitati dall’escalation militare e dalla conseguente crisi umanitaria alle quali si sta assistendo in Palestina”. Israele viene nominato appena quando si chiede di “interrompere immediatamente le morti e i massacri tra i civili, aumentati costantemente dall’ingresso delle truppe israeliane nella Striscia”. L’università avvia poi iniziative simboliche come “l’attivazione del Dottorato nazionale di Studi per la pace” e un budget dedicato alle posizioni di Visiting Professor provenienti dalle zone del conflitto in Medio Oriente. Ma nell’ultimo punto il documento del Senato accademico è molto netto: “Rifiutare l’idea che il boicottaggio della collaborazione scientifica internazionale, la rinuncia alla libertà della didattica e della ricerca, e la negazione delle associate responsabilità di ogni singolo ricercatore possano favorire la pace e il rispetto della dignità umana”.

“Il Senato delibera condannando il massacro e chiedendo il cessate il fuoco, ma è solo una dichiarazione per pulirsi la coscienza. Neanche una parola sugli accordi. Nessuna intenzione concreta di interrompere la complicità con il genocidio” è l’immediata risposta dei Collettivi studenteschi che avevano indetto prima un presidio sotto il Rettorato, dove due ragazze si sono incatenate, poi un corteo di alcune centinaia di persone dentro la città universitaria e poi fuori fino alle cariche della polizia. Al Senato era stata inviata una petizione di “Studenti Sapienza for Palestina” e del “Comitato Sapienza per la Palestina” composto da docenti, per chiedere tre cose: la sospensione degli accordi con le università israeliane, tutti gli accordi con le aziende belliche, e con enti e fondazioni collegate (quindi MedOr) il riconoscimento esplicito del massacro dei civili palestinesi da parte dell‘Idf israeliana. L’appello aveva raccolto, a ieri mattina, l’adesione di 140 docenti, 110 tra assegnisti e dottorandi, 2014 studenti, 45 componenti del personale amministrativo. I firmatari sottolineano “il peso specifico delle università nell’oppressione sistematica del popolo palestinese” e accusano “la complicità dell’istituzione accademica con il progetto coloniale israeliano”. La delibera del Senato ha aggirato le richieste. E ieri pomeriggio, in molti puntavano il dito anche contro la lettera, inviata a tutti i membri del Senato, della Fondazione Elisabeth de Rothschild in cui si chiede di non aderire alle “incessanti pressioni dei collettivi studenteschi” sottolineando “l’evidente danno significativo per la Sapienza”. Dure reazioni invece dal centrodestra che parla di “criminali” e con il ministro Lollobrigida “degli anni bui del terrorismo e della violenza”. E mentre il ministro Piantedosi esprime solidarietà agli agenti feriti, anche Matteo Renzi attacca gli studenti.

“Non taccio e insisto: boicottiamo Israele”

CENSURATO IN GERMANIA – “Berlino pensa di ripulirsi così dalla Shoah”. “In Europa la democrazia non esiste più: Berlino sta alimentando l’autoritarismo”

DI GIAMPIERO CALAPÀ E COSIMO CARIDI   17 APRILE 2024

“In Europa hanno cancellato la democrazia, non esiste più la libertà di parola”. Yanis Varoufakis – 63 anni, economista greco, già ministro nel governo Tsipras, da cui poi si è separato fondando Diem25 dopo la scissione di Syriza – nei giorni scorsi non ha potuto prendere parte al Congresso per la Palestina di Berlino, interrotto dalla polizia, perché la Germania gli ha vietato qualsiasi attività politica nel paese, che fosse di persona o a distanza, addirittura la sua voce non poteva essere ascoltata. “Dovevo collegarmi in video-conferenza da Atene. La polizia è intervenuta con duemila e cinquecento agenti. Hanno interrotto bruscamente e sequestrato i microfoni. Addirittura i nostri compagni ebrei presenti sono stati arrestati. È stata poi indetta una manifestazione e la polizia ha bloccato la trasmissione della mia voce dagli altoparlanti, citando un ordine che vieta le mie attività politiche in Germania”.

Le è mai stato negato prima l’ingresso o qualche diritto in Germania?

No, nel 2019 ero candidato alle elezioni europee in Germania e ho ottenuto 135 mila voti.

Lei sostiene che “a Gaza sia in corso un genocidio, iniziato nel ’48, e che avviene con la complicità dell’Occidente”. È questo che in Germania non si può dire o che non è disposta ad accettare?

Non sono interessato a ciò che la Germania non è disposta ad accettare, quanto affermo si basa sul diritto internazionale: è in corso un genocidio. Lo sostiene la relatrice speciale sulla Palestina per l’Onu Francesca Albanese e tutti gli esperti di diritto internazionale. La Germania dovrebbe proteggere la vita degli ebrei, questa è una delle sue ragioni di Stato. Invece protegge solo il governo israeliano che sta commettendo crimini di guerra.

La filosofa ebrea Nancy Fraser, la giornalista e attivista russa Masha Gessen, la scrittrice palestinese Adania Shibli e altri intellettuali sono stati umiliati dalla Germania per aver espresso critiche allo Stato di Israele. C’è ancora totale libertà di parola in Europa?

Assolutamente no. Hanno dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che non esiste libertà di parola. Non esiste più la democrazia in Europa e soprattutto in Germania, è una triste situazione: la Germania, la cui influenza economica è apparentemente in declino, sta alimentando un autoritarismo crescente.

Ma la libertà di parola non deve avere limiti secondo lei?

Al contrario, non credo nella libertà di parola illimitata: se c’è un nazista che urla insulti contro gli ebrei, la polizia ha l’obbligo di fermarlo. Ma quando lo Stato tedesco equipara la parità di diritti politici “dal fiume Giordano al Mediterraneo” all’antisemitismo sta facendo un favore a chi odia gli ebrei. Perché è come se l’Occidente dicesse che rivendicare i diritti umani universali equivale all’antisemitismo.

C’è distinzione tra la classe politica e la società civile tedesca?

Certo. La classe politica sta rendendo un grave disservizio alla reputazione della Germania. La maggioranza dei tedeschi non è razzista. Non vogliono essere complici di un altro genocidio. Se scorrerà molto sangue palestinese non purificherà la Germania dalla colpa per l’Olocausto.

Come sta reagendo la comunità internazionale?

C’è un’enorme differenza tra il nord e il sud del mondo. L’Occidente è diventato un vassallo d’Israele. Il resto del mondo è sconvolto dai doppi standard e non solo a Gaza. Per esempio l’Ecuador invade l’ambasciata messicana a Quito per arrestare l’ex vicepresidente, Jorge Glas: non una parola arriva da Berlino, dall’Italia, dalla Francia, dagli Usa. Non una parola quando Israele bombarda l’ambasciata iraniana a Damasco, territorio sovrano siriano.

Coloro che protestano contro la guerra, però, sono una piccola minoranza.

Ma la maggioranza degli europei è messa all’angolo e sfruttata da due decenni, soprattutto dopo la crisi finanziaria del 2008. L’Ue è stata trasformata in un’Unione di guerra. La Commissione europea sostiene che la crescita e il progresso tecnologico che non abbiamo avuto negli ultimi trenta anni lo avremo investendo in armi. Diciamo che lo facciamo, che emettiamo Eurobond per produrre razzi e munizioni. Cosa succede quando i magazzini sono pieni? Allora dovremo fare una piccola o grande guerra per smaltire le scorte e continuare a produrre.

Cosa bisogna fare, secondo lei, per l’Ucraina e per il Medio Oriente?

Per l’Ucraina abbiamo bisogno di un cessate il fuoco immediato e, quindi, di un processo di pace guidato dalle Nazioni Unite. Questa guerra senza fine non avrà vincitori, solo perdenti. Il presidente Zelensky condonando le atrocità di Israele, sostenendo la distruzione degli ospedali di Gaza, ha distrutto ogni sua narrazione contro Putin. Rispetto al Medio Oriente bisognerebbe perseguire un divieto immediato delle consegne di armi a Israele. Devono partire boicottaggio e disinvestimento dall’economia, finché Israele non accetterà di smantellare lo stato di apartheid, non solo a Gaza, ma anche in Cisgiordania.

Crede che ritornerà mai in Germania?

Mi riservo il diritto di ritornare in Germania quando lo desidero. È molto importante in questa fase storica che il movimento Diem25 Deutschland stia correndo per le elezioni europee e spero di aver successo nelle urne tedesche, sarebbe un segnale importante. Così da avere una rappresentanza della Germania nel parlamento dell’Unione europea che sia una voce per la pace e per i diritti umani fondamentali.

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