“JENIN JENIN”: VOLTI E MACERIE DI UN PASSATO CHE NON PASSA MAI da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
12967
post-template-default,single,single-post,postid-12967,single-format-standard,cookies-not-set,stockholm-core-2.4.5,select-child-theme-ver-1.0.0,select-theme-ver-9.12,ajax_fade,page_not_loaded,,qode_menu_,wpb-js-composer js-comp-ver-7.9,vc_responsive

“JENIN JENIN”: VOLTI E MACERIE DI UN PASSATO CHE NON PASSA MAI da IL FATTO

Volti e macerie di un passato che non passa mai: ecco Jenin

NEL CAMPO PROFUGHI IN CISGIORDANIA – L’operazione israeliana. Almeno 13 palestinesi morti, migliaia di sfollati Al Samoud, Al Jazzera: “Shireen mi è morta in braccio. Noi lasciati soli”

 MICOL MEGHNAGI E MOSÉ VERNETTI  16 LUGLIO 2023

A vent’anni dall’invasione del campo profughi di Jenin, la storia sembra ripetersi. Quello di inizio luglio è stato l’attacco più massiccio nell’area, dal 2002: 12 palestinesi e un soldato israeliano hanno perso la vita, circa tremila palestinesi sono stati costretti a lasciare le proprie case. Mille militari dell’esercito israeliano sono entrati nel campo profughi dove sospettavano di trovare “hub di coordinamento e comunicazione tra i terroristi”.

Proprio nei giorni scorsi il presidente palestinese Abu Mazen, dopo 18 anni di assenza, è riapparso qui a Jenin, accolto da una folla inferocita che cantava, per schernirlo, “Battaglione! Battaglione!” (in riferimento al Battaglione di Jenin, un gruppo militante locale che si è rafforzato negli ultimi anni), mentre il suo vice è stato letteralmente cacciato via. Ahmed, il direttore creativo del “Freedom Theatre”, racconta che “vive una doppia oppressione, quella israeliana e quella interna alla propria comunità. L’Autorità palestinese eroga poche migliaia di euro all’anno per l’educazione. Tutto il resto va in sicurezza. Ma quale sicurezza?”, si chiede. “Io credo in una resistenza culturale – prosegue Ahmed – e per questo paghiamo con le nostre vite”. Il suo Teatro della Libertà si trova nel cuore del campo ed è stato fondato nel 2006 da Juliano Kharris, che amava definirsi “al 100% ebreo e al 100% palestinese”.

Da qualche giorno siamo nel campo profughi insieme al famoso regista e attore palestinese Mohammed Bakri, per girare il sequel del suo documentario Jenin Jenin. “Detesto i numeri 2 – spiega il regista – ma l’indifferenza non è una alternativa”. Jenin Jenin uscì nel 2002. Incontriamo i bambini di allora, che oggi hanno poco più di vent’anni. Osaid, paramedico e combattente, ferito alla gamba mentre guidava un’ambulanza durante l’ultima incursione, ci confida in lacrime: “L’Autorità palestinese non ci difende. Se non proteggo io la mia gente, chi altro dovrebbe farlo?”. Osaid, 23 anni, non ha mai lasciato il campo e il suo desiderio più grande è quello di vedere il mare.

Ci raggiunge il giornalista di Al Jazeera, Ali Al-Samoud. Conosce ogni anima che attraversa il campo profughi, e porta sul petto una spilla con il volto di Shireen Abu Akleh, la collega che l’anno scorso è rimasta uccisa dopo essere stata colpita da spari alla testa durante un raid dell’esercito israeliano. La foto che ritrae Ali, anche lui ferito allora, con Shireen tra le braccia in fin di vita, ha fatto il giro del mondo. “Sono anni che aspettiamo l’intervento della comunità internazionale. Siamo stati lasciati soli e quindi dobbiamo difenderci”.

Il protagonista che apriva il film di Bakri oggi ha cinquanta anni. Abou è sordomuto e lo incontriamo a casa, una casa che si è trasformata in un mausoleo: suo figlio è stato ammazzato dall’esercito israeliano nel 2021. Le sue mani disegnano la forma di una pistola e la sua voce emette suoni di spari, mentre insieme alla moglie, ci racconta il giorno in cui suo figlio è stato strappato alla vita.

Di fronte a noi immagini di distruzione e pianto. Ma nel sorriso di Hana, 8 anni, seduta nella sua cameretta, ora ridotta a cumulo di macerie, si intravede spazio per la speranza. “Da quando hanno distrutto la nostra casa, mia sorella maggiore non vuole più tornare. Ma noi non ci arrendiamo. Hanno distrutto tutto, ma noi lo ricostruiremo”.

Nel frattempo, continua il processo di evacuazione forzata delle famiglie palestinesi dalle loro case a Gerusalemme Est. Come la criminalizzazione degli attivisti israeliani contro l’occupazione, attraverso arresti e punizioni collettive. Lo stesso vale per le demolizioni di scuole e case nel sud di Hebron. All’orizzonte non sembrano esserci proposte concrete da parte della comunità internazionale, se non l’obsoleta e ormai vuota frase: “Due popoli, due stati”.

“Il mio film censurato: dopo 20 anni torno per il sequel e quella violenza”

MOHAMMAD BAKRIREGISTA E ATTORE PALESTINESE – “I bambini di ‘Jenin Jenin’? Son giovani oggi: chi è morto, chi non è mai uscito Tutti combattono”

 M. MEG. E M. VER.  16 LUGLIO 2023

Abbiamo appena superato il checkpoint di al-Jalama. Direzione Jenin. Riprendiamo Mohammad Bakri, dallo specchietto retrovisore, mentre fuma una sigaretta con un sorriso a mezza bocca: “Sono iniziate le riprese di Jenin Jenin 2. Dimostrerò che non sono un bugiardo”. Nel 2002 Bakri, cineasta palestinese con passaporto israeliano, girava Jenin Jenin, potente testimonianza di uno dei capitoli più dolorosi della Seconda Intifada. Per due decenni, il regista è stato catapultato da un’aula di tribunale all’altra con l’accusa di diffamazione.

Bakri, vent’anni fa si trovava qui per girare il suo film Jenin Jenin. Che cosa è cambiato?

Mi sento tradito dall’umanità. È lo stesso sentimento che ho provato quando sono entrato nel campo, una settimana dopo il massacro, vent’anni fa. È un passato che non passa. I bambini di Jenin Jenin sono i giovani di oggi. Alcuni non hanno mai lasciato il campo, altri sono morti. Tutti combattono, la maggioranza resiste con le parole e non con le armi. Nei loro occhi ho visto il desiderio di vivere in pace. Ma non c’è pace senza giustizia. Siamo arrivati ad un punto in cui l’occupazione non è più sostenibile. Figure come Ben Gvir e Bezalel Smotrich hanno alimentato la violenza, già strutturale, nei confronti dei palestinesi.

Cosa la spinse a girare il film nel 2002?

Mi trovavo a manifestare per le strade di Haifa con migliaia di palestinesi e israeliani contro l’occupazione, quando dei soldati hanno iniziato a sparare. Ho pensato: se sparano a noi, qui ad Haifa, cosa starà accadendo a Jenin? E così sono partito.

Jenin Jenin ha avuto, come film, una vita travagliata. L’ultima censura è del 2022. Anche lei ha avuto diversi processi a carico…

Il mio film è stato bannato. Mi hanno distrutto. Ma la cosa più dolorosa è che mi hanno accusato di mentire. Perché mai? Non ho fatto altro che raccontare la violenza attraverso gli occhi di chi l’ha vissuta. Nessuno ha il monopolio della verità e del dolore. Come palestinese, resisto all’occupazione attraverso l’arte, il cinema, il teatro. Con la sola forza delle parole racconto la mia storia, che poi è una storia universale. Non ho fatto altro negli ultimi venti anni. Sento il dovere di proteggere i bambini di ieri che oggi hanno l’età dei miei figli e la responsabilità morale di difendere il mio lavoro.

Perché ha deciso di tornare?

Sono tornato a Jenin con una telecamera in mano per dimostrare che nel 2002 non avevo mentito. Lo devo alla comunità del campo profughi e alla mia famiglia. Le voci di oggi saranno le stesse di ieri. Mi accusano di aver mentito allora? Vorrà dire che mentiró di nuovo. Chi si rifiuta di ascoltare oggi, sarà costretto a farlo domani. Jenin Jenin è un invito alla pace, uno spaccato di una realtà violentata. E così sarà il suo sequel. Che cos’è l’occupazione? Mio figlio è innamorato di una donna che vive nella West Bank occupata. È preoccupato per il loro futuro. Vorrebbe portarla a vivere con lui in Israele. L’occupazione blocca la via dell’amore tra le persone. Ma la disperazione non è la mia strada. Preferisco raccontarmi che un giorno ci sarà la pace, la fine dell’occupazione, sapendo di mentire.

No Comments

Post a Comment

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.