IL DIO PIL: “AVANTI IL MERITO INDIETRO I DIRITTI” da IL MANIFESTO
Modello Orban-Meloni, avanti il merito indietro i diritti
Gli interventi contro gli effetti della competizione individuale sono sbagliati. Il problema non è chi accumula ricchezza ma chi non partecipa alla gara del mercato
Salvatore Cingari 27/12/2022
Victor Orban l’aveva detto in uno dei suoi più celebri discorsi, al Chatham House di Londra nel 2013: non si tratta di combattere il neo-capitalismo, bensì di difendere la produzione nazionale. Il codice del lavoro deve essere più flessibile. Il sistema fiscale non deve redistribuire la ricchezza bensì avvantaggiare coloro che vogliono lavorare di più e assumere personale. Il concetto di Stato sociale – per Orban – appartiene al passato e lo stato deve essere costruito sul merito e non sui diritti.
E’ facile notare l’affinità con gli orientamenti del governo Meloni: non bisogna ripristinare il diritto al reddito di tanti soggetti impossibilitati a esercitare pienamente la cittadinanza per meccanismi indipendenti dalla loro volontà, bensì chiedere in cambio qualcosa affinché se la meritino; il sistema fiscale deve procedere in senso anti-progressivo perché la redistribuzione toglie a chi ha meritato per dare a chi non merita; le pensioni minime non vanno alzate più di tanto perché l’anziano non produce e non è più meritevole.
Questi assunti si sposano all’idea che non bisogna disturbare “chi vuole fare”. Dunque qualsiasi intervento della collettività, per attenuare gli effetti della competizione individuale, è disfunzionale: anche il salario minimo. Il problema non è chi accumula ricchezza a discapito delle moltitudini, bensì chi non si getta con sufficiente energia nella gara del mercato per emulare questi campioni.
Stesso discorso per la questione ecologica. La Meloni lo ha detto chiaramente: tutela dell’ambiente sì ma finché non limita le esigenze produttive. A ben vedere la posizione vitalistica collima con quella di Fratelli d’Italia (e della Lega) nei mesi della pandemia: la collettività non deve disturbare chi vuole produrre imponendo restrizioni sia pure dettate da motivi sanitari.
Ma non vi ricordate l’irrequietezza di Renzi verso le restrizioni di Conte? Queste posizioni produttivistico-competitive, infatti, non fanno altro che radicalizzare quelle da decenni coltivate dallo stesso centrosinistra e dalla cultura mainstream. Né pentastellati, né democratici hanno sostenuto forme di patrimoniale. Lo stesso reddito di cittadinanza dei cinque stelle non è universale ma meritocraticamente subordinato allo scambio con il lavoro. Per non parlare del Pd che lo aveva recisamente avversato, con una determinazione che ritroviamo nella cultura imprenditorial-produttivistica portata avanti dall’ex renziano Bonaccini (non basta dirsi difensori della sanità e dell’istruzione pubblica per pensare di poter combattere le diseguaglianze e la precarietà del lavoro accresciuta con il job act), con la cui vittoria al congresso il cerchio politico del populismo di mercato verrebbe a chiudersi in modo pressoché ermetico.
Ma per capire cosa è successo guardiamo nello specchio della storia. C’è stato solo un punto da cui dissentivo nella bella intervista che qualche settimana fa, su queste giornale, Enzo Traverso ha rilasciato a Roberto Ciccarelli. E cioè che il culto del merito sia proprio di una cultura neoliberista e non del retaggio fascista, in quanto quest’ultimo sarebbe stato statalista e autoritario. Infatti – e questo valga anche per i critici di Stella Morgana – da un lato autoritarismo e neoliberismo sono venuti assieme alla luce della politica di governo novecentesca: con Pinochet nel ’73 per poi rideclinarsi in salsa “democratica” con Reagan e la Thatcher.
Ma andando più indietro al regno delle madri, va considerato che il fascismo nasce liberista in politica e – come variamente argomentato di recente da Alessio Gagliardi – anche nella fase in cui ha reagito alla Grande depressione con dirigismo e nazionalizzazioni, ha seguito un movimento globale interno al capitalismo, continuando peraltro a comprimere i salari e a predicare l’austerità per i ceti meno abbienti (su ciò anche gli studi di Clara Mattei).
La politica antiproletaria di Mussolini, infatti, raccoglie le istanze nazionaliste che non solo volevano scongiurare il pericolo bolscevico ma anche le politiche sociali riformiste imputate di sottrarre risorse alla competitività del capitale italiano. Se per il nazionalista “democratico” Sighele la democrazia si basa su diseguaglianze legate al merito, per il nazionalismo antidemocratico (quello di Corradini, Rocco e Coppola), invece, la democrazia affossa il merito, impedendo alle capacità e alle intelligenze di emergere. Ma sarà lo stesso Mussolini – come ha ben spiegato anni fa Angelo D’Orsi – a farsi interprete della reazione della borghesia contro l’erompere delle masse al governo delle città, rivendicando un filtraggio selezionista e meritocratico, di cui uno Stato forte si facesse garante. Per garantire, cioè, che i più forti continuassero ad avere la loro giusta ricompensa e non fossero disturbati.
Enzo Traverso: «Il ministro Valditara, l’anticomunismo come ideologia di Stato»
INTERVISTA. Lo storico Enzo Traverso: «Il ministro Giuseppe Valditara ripropone il mantra delle destre. E rischia di imporre una visione ufficiale del passato come nel socialismo reale, o nel fascismo. Perché non ne ha scritta un’altra in occasione dell’anniversario della Marcia su Roma?»
Roberto Ciccarelli 27/12/2022
«La lettera agli studenti scritta dal ministro dell’istruzione “e del merito” Giuseppe Valditara in occasione dell’anniversario della caduta del Muro di Berlino mi ha fatto sorridere per tre ragioni – afferma Enzo Traverso, storico delle idee e docente all’Università Cornell negli Stati Uniti – La prima: come mai non ha sentito il bisogno di scriverne un’altra nell’anniversario della marcia su Roma, punto di partenza di un regime nemico della libertà e democrazia, che ha lastricato la storia di cadaveri? La seconda: un governo espressione di una maggioranza che ha eletto un presidente della Camera che ha inviato messaggi di amicizia ad Alba dorata in Grecia o quello del Senato con i busti di Mussolini in casa fa l’elogio della liberal-democrazia? Poi nella lettera si parla di “nostalgie dell’impero sovietico”. Incarnate, se ne deduce, dalla Russia di Putin nella guerra contro l’Ucraina. Colpisce il fatto che il ministro che l’ha scritta appartenga alla Lega, nota per essere uno dei migliori alleati in Occidente di Putin. Mi chiedo se abbiano il senso del ridicolo».
Valditara ritiene di avere presentato un invito alla discussione sul comunismo e le sue contraddizioni…
Il ruolo del ministro dell’istruzione non consiste nel riscrivere la storia e una democrazia liberale non dovrebbe imporre una visione ufficiale del passato. Il socialismo reale aveva un’ideologia di Stato, il ministro Valditara vorrebbe fare dell’anticomunismo l’ideologia ufficiale dello Stato? Il metodo è lo stesso. Una vera democrazia liberale dovrebbe essere fondata sul rispetto della libertà e del pluralismo delle idee. Valditara pensa che democrazia liberale significhi anticomunismo. Mi sembra che questo episodio sia rivelatore della matrice antidemocratica del governo Meloni.
In che senso?
La concezione che questo ministro ha del proprio ruolo è simile a quella dei regimi totalitari che pensa di condannare. Nel socialismo reale, o nei fascismi, i ministeri dell’istruzione facevano propaganda.
Ha detto che la lettera è l’espressione di un «anticomunismo ufficiale»? Cosa significa?
Questo è l’architrave della Seconda repubblica. Berlusconi ne ha fatto il suo mantra per un ventennio di fronte al vuoto lasciato dall’auto-dissoluzione del Pci. Contro questa offensiva ideologica non c’è stata nessuna risposta, nessun tentativo di storicizzare criticamente il comunismo. Salvo il fatto di dire che era un’esperienza chiusa e da superare, non da elaborare ma da nascondere con vergogna. Questa rimozione ha creato un vuoto culturale che il post-fascismo ha occupato presentandosi come paladino della democrazia e identificando quest’ultima con il neo-conservatorismo.
Non ha l’impressione che la lettera possa essere condivise anche da una parte più ampia dell’opinione politica?
Sì, il testo di Valditara è l’espressione di una cultura cresciuta in un clima di anticomunismo ufficiale. È il risultato dei discorsi sui «ragazzi di Salò», per esempio. L’ambizione di recuperare la cultura liberale è stata anche del «centro-sinistra». Il problema è che non ha recuperato Gobetti, e nemmeno Bobbio. La tradizione liberale è diventata la facciata vuota della società di mercato e il neo-liberismo è diventato l’identità fondamentale del centrosinistra. Con un’armatura ideologica del genere è molto difficile contrastare l’offensiva delle destre post-fasciste.
Si prepara un’offensiva revisionista su larga scala?
Sicuramente. Ci sarà, da questo punto di vista, una continuità tra Meloni e Berlusconi. Riprenderanno temi come le foibe, i gulag, i crimini del comunismo. E non si parlerà dei crimini del colonialismo italiano e del fascismo. Si dirà che il fascismo era una reazione al comunismo. Sono discorsi rodati da tempo. L’obiettivo è legittimare come forza di governo un movimento che ha matrici fasciste.
Dio, patria, famiglia. E merito, impresa, profitto. Come si spiega il sincretismo della destra post-fascista?
La meritocrazia formulata in termini neoliberali, cioè società di mercato e liberal-darwinismo, non rientra nel codice culturale del fascismo: statalista, autoritario, xenofobo, nazionalista e razzista anche nell’idea del Welfare. Oggi però il governo Meloni è l’espressione più vistosa di una tendenza verso il neo-liberalismo autoritario che permette la convergenza tra la democrazia liberale classica e il post-fascismo. Quest’ultimo, per legittimarsi come forza di governo, ha introiettato i valori e i linguaggi del capitalismo.
Come si risponde a questa guerra culturale?
Facendo un lavoro tenace, ad impatto mediatico molto limitato inizialmente, attraverso le reti sociali, il lavoro di contro-informazione e contro-culturale. Bisogna spiegare cosa sia la storia del comunismo con le sue contraddizioni, la sua dimensione di oppressione ma anche quella di liberazione. Vanno decostruiti i modelli neo-liberali, meritocratici e autoritari e il discorso sulla memoria che ci sono proposti.
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