IL DETURPATORI DEL VERO 25 APRILE da IL FATTO e IL MANIFESTO
I deturpatori del vero 25 aprile
DI SANA COSTITUZIONE – Le voci che invitano a dimenticare si fanno sempre più forti. Ricordiamo invece le parole di Galante Garrone: “Il bene non può patteggiare con il male, sarebbe tradire i nostri morti”
MAURIZIO VIROLI 25 APRILE 2023
È diventato difficile mantenere vivi nella coscienza degli Italiani il significato e la consapevolezza della Liberazione.
Anno dopo anno diventano sempre più forti le voci che deturpano la verità. Hanno cominciato col dirci che la lotta di liberazione è stata una guerra civile, Italiani contro Italiani, che ci furono crimini e crudeltà da una parte e dall’altra, che anche i repubblichini avevano ideali, e amavano la patria. Perdoniamo, dimentichiamo tutto è l’invito che abbiamo ascoltato tante volte.
La giusta risposta a queste convinzioni l’ha già data Alessandro Galante Garrone in un discorso che tenne a Torino nel 1958: “Noi uomini della Resistenza siamo stati longanimi coi nostri avversari (anche troppo!), e abbiamo sinceramente desiderato il perdono e l’oblio degli atroci insulti patiti. Ma nessuna riconciliazione è possibile, se non con chi accetta come un fatto irrevocabile la vittoria degli ideali di libertà e di giustizia rappresentati dalla Resistenza e trasfusi nella Costituzione. Il bene non può patteggiare col male, la civiltà con la barbarie: questo sarebbe un tradire i nostri morti”. Non merita aggiungere altro.
Altrettanto insensata è l’idea che il fascismo ha salvato l’Italia dalla rivoluzione bolscevica. Riflettiamo pacatamente su questa affermazione. Il 30 ottobre 1922, quando Vittorio Emanuele III chiamò Benito Mussolini a formare il governo, non c’era in Italia alcun pericolo di rivoluzione bolscevica. Lo hanno sostenuto non gli antifascisti, ma lo stesso Mussolini: “Noi – scriveva il 2 luglio 1921 – pensiamo che la guerriglia civile si avvia all’epilogo […] Dire che un pericolo ‘bolscevico’ esiste ancora in Italia significa scambiare per realtà certe oblique paure. Il bolscevismo è vinto. Di più: è stato rinnegato dai capi e dalle masse”.
Esaminiamo i fatti. Prima di quel disgraziato 30 ottobre, i fascisti avevano distrutto sezioni e cooperative socialiste, comuniste e popolari, aggredito militanti dei partiti democratici e di sinistra. Giunti al potere, hanno praticato l’ignobile metodo dell’assassinio politico: il 23 agosto 1923, gli squadristi di Italo Balbo hanno massacrato don Giovanni Minzoni ad Argenta; il 10 giugno 1924, per ordine di Mussolini è stato assassinato Giacomo Matteotti; il 15 febbraio 1926, a causa delle ferite subite per mano fascista, Piero Gobetti è morto a Parigi; il 7 aprile 1926, dopo essere stato ripetutamente aggredito dei fascisti, è spirato Giovanni Amendola; il 27 aprile 1937, è morto in carcere Antonio Gramsci; il 9 giugno 1937, Carlo e Nello Rosselli sono stati barbaramente trucidati per ordine diretto del governo italiano. L’elenco potrebbe continuare. I fascisti hanno ucciso Italiani perché loro scopo non era difendere lo Stato liberale, ma distruggerlo, come hanno fatto con sistematica determinazione. È questo l’amore della patria?
Per intendere il significato della Liberazione è necessario capire da che cosa ci siamo liberati. E per capire dobbiamo liberarci dal luogo ormai purtroppo comune che “il fascismo ha fatto anche cose buone”. Parlino i fatti. Fra il 1925 e il 1926 il governo Mussolini ha emanato le cosiddette “leggi fascistissime” che hanno tolto agli Italiani la libertà di parola e di stampa, la libertà di associarsi in partiti politici e in sindacati (a eccezione del partito e dei sindacati fascisti, naturalmente) e la libertà di sciopero. Ha istituito il tribunale speciale per la difesa dello Stato al fine di perseguire i reati di antifascismo. Fra il 1931 e il 1935 ha scatenato una brutale repressione in Cirenaica e la guerra di conquista in Etiopia. Nel settembre del 1938 ha emanato le famigerate leggi razziali volte a colpire i cittadini italiani di razza ebraica. Il 10 giugno 1940 Mussolini ha dichiarato guerra all’Inghilterra e ha aggredito la Francia, già sconfitta, e ha mandato gli italiani a morire in Africa, in Grecia, nei Balcani, in Russia. Nel settembre del 1943 ha fondato, per ordine di Hitler, la repubblica sociale italiana. Una serie di atti d’amore davvero esemplari verso l’Italia e gli Italiani.
Le presunte “cose buone” del fascismo – le colonie estive, le bonifiche delle paludi, le opere assistenziali per la maternità e l’infanzia – sono del tutto irrilevanti di fronte al male che il fascismo ha inflitto all’Italia e agli Italiani. Quelle cosiddette cose buone non erano tali per la semplice ragione che Mussolini le ha fatte non per il bene degli Italiani, ma per rafforzare il consenso al regime: il consenso di uomini e donne che lo stesso regime aveva reso servi. Se avesse voluto il bene degli Italiani, il fascismo avrebbe lasciato loro il bene più prezioso, la libertà. Nessuna bonifica, nessuna colonia estiva, nessun concordato, nessuna opera assistenziale compensa la perdita della libertà. Per gli uomini e le donne liberi, s’intende; per i servi è tutt’altro discorso.
Altra sciocchezza è la tesi che la Resistenza è stata dal punto di vista militare insignificante. La verità è che l’iniziativa militare della Resistenza costrinse i tedeschi a impegnare contro i partigiani truppe e mezzi che sarebbero stati invece rivolti contro gli alleati. In molti casi l’iniziativa partigiana fu indispensabile per la liberare le città. Le ricerche degli storici – si legga il libro di Alessandro Natta L’altra Resistenza. I militari italiani internati in Germania 1997 – hanno messo davanti agli occhi di tutti che, accanto alla Resistenza partigiana, ci fu quella dei soldati dell’esercito italiano. Più di seicentomila soldati catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre accettarono la prigionia in Germania piuttosto che aderire alla repubblica di Salò. La loro fu una scelta per la patria, pagata in molti casi con la vita. Che cosa sarebbe successo se quei seicentomila soldati avessero aderito alla repubblica di Salò, fossero stati riarmati e inviati a combattere contro gli Alleati?
Sorvolo, per carità, appunto, di patria sulla tesi che l’8 settembre 1943 morì la patria italiana e che la Resistenza non riuscì a farla rinascere. Si leggano le pagine di Piero Calamandrei e di Natalia Ginzburg, per citare solo i nomi più noti. Fra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 morì un modo di intendere la patria, e rinacque un’altra ben più alta idea di patria che aveva radici lontane nel nostro Risorgimento.
Ultima, per ora, deformazione della verità è l’opinione del presidente del Senato Ignazio La Russa che “nella Costituzione non c’è alcun riferimento all’antifascismo”. Falso: la nostra Costituzione è tutta antifascista. Contro l’idea e la pratica che la sovranità appartiene al duce, afferma il principio della sovranità popolare; contro il delirio totalitario che “tutto è nello Stato”, afferma che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, quei diritti che il fascismo disprezzava perché fondamento dell’odiato liberalismo; contro la dottrina fascista delle razze superiori e del cattolicesimo religione di Stato, afferma che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale senza distinzione di razza, di lingua e di religione; contro l’esaltazione fascista della guerra di conquista, afferma che l’Italia ripudia la guerra; contro l’esistenza stessa di un partito fascista ha la norma finale, non transitoria, XII. E l’elenco potrebbe continuare.
La nostra Liberazione è stata una straordinaria esperienza di rinascita religiosa e morale che può capire solo chi ama la libertà e che deve essere salvaguardata dalle menzogne e narrata con le parole giuste.
La parola «fascista» e la sua evoluzione
25 APRILE. In un momento in cui il linguaggio sembra scivolare, slittare sul piano semantico e parole e frasi vengono usate con colpevole sconsideratezza anche a livello istituzionale, è bene interrogare sempre […]
Mauro Palma* 25/04/2023
In un momento in cui il linguaggio sembra scivolare, slittare sul piano semantico e parole e frasi vengono usate con colpevole sconsideratezza anche a livello istituzionale, è bene interrogare sempre noi stessi sui significati che attribuiamo ai vocaboli. Agli aggettivi, in particolare, perché questi qualificano i termini a cui si riferiscono. Quindi, mi chiedo quale sia la connotazione che implicitamente pongo all’aggettivo “fascista”. Certamente non può essere quella del rinvio a un modello sociale e politico del tempo andato, quasi vedendo il rischio del suo identico riproporsi; ma neppure recidere il legame con esso.
Perché l’aggettivo indica qualcosa che di quel modello è la progressiva evoluzione, il suo riconfigurarsi nella contemporaneità sociale, comunicativa, valoriale. Non ne è scisso, arrivando a qualificare un elemento semantico e comportamentale che di quel germe è di fatto nutrito.
Oggi quel germe – che rende la preoccupazione che oggi avverto non un inutile retaggio di qualcosa che non c’è più – lo ritrovo nella incapacità di riconoscere, forse perfino di saper leggere, l’appartenenza di ogni persona alla stessa connessione umana. L’incapacità di riconoscere, parafrasando la Arendt dell’analisi del totalitarismo, che la tragedia di cui quell’aggettivo è portatore non risiede nella non volontà di garantire specifici diritti, ma nella perdita della consapevolezza di appartenere ognuno a una stessa comunità disposta e capace di garantire qualsiasi diritto per tutti. A monte dei diritti ‘umani’ da garantire c’è il dovere di riconoscere la stessa umanità dei soggetti che si vuole portatori di tali diritti.
‘Fascista’ è quell’atteggiamento – e, quindi, quella persona che lo assume come proprio – di chi pensa che ci sia un altro che non è lui stesso, perché ha una struttura intrinseca di diversità totalizzante e che, nell’ipotesi migliore, debba essere lui a riconoscere come portatore di diritti o forse anche a tutelare; in quella peggiore lo percepisca come aggressore dei suoi diritti.
Perché interrogarsi su quest’aggettivo che sembra a me così leggibile? Che ritrovo attualmente in taluni atteggiamenti e anche molte espressioni linguistiche di interlocutori vari, talvolta anche benevoli nel loro dire? Perché la celebrazione della Liberazione non può limitarsi soltanto al doveroso ricordo del superamento del regime e della fine della catastrofe verso cui aveva portato il Paese. No, essa deve includere anche la liberazione da quel sentimento di alterità esclusiva che si era imposto come senso comune nella collettività e che aveva condotto a non riconoscersi più nell’unico ‘corpo’ dell’umanità. Una esclusione che, però, riemerge continuamente e che pone in crisi la capacità attuale di far vivere il senso profondo della liberazione.
Perché la giornata odierna chiede ancora che si debba lavorare – molto – perché ci si possa affrancare dalla necessità di definire come fascista qualcosa o qualcuno. Non perché l’aggettivo non serva e non qualifichi, ma perché l’idea di una alterità non appartenente non abiti più la nostra società. Allora avremo sconfitto i fascisti.
* Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale
Fermiamo la giostra delle provocazioni di governo
25 APRILE. Il linguaggio «comico» post-fascista analizzato da Ascanio Celestini
Ascanio Celestini 25/04/2023
Il governo più nero dal 25 aprile del ‘45 lancia sassi nello stagno. Gasparri vuole il riconoscimento della capacità giuridica del concepito. La ginecologa Anna Pompili dichiara che se l’embrione è una «persona» significa che l’aborto è un omicidio «e le donne e i medici che lo praticano assassini». Ma Gasparri a questo giro di giostra aggiunge l’idea di una «Giornata del nascituro» e il reato di maternità surrogata.
Piantedosi blocca una nave. Nel suo giro di giostra capisce che rischia il processo come Salvini e si inventa una strategia nuova. Giovanni Maria Flick chiarisce che «è ovvio che assegnando porti di sbarco lontanissimi si vuole tenere occupate a lungo le navi umanitarie, impedendo loro di salvare altre vite».
Nel frattempo compare il decreto anti-rave. La giostra riparte e nel prossimo giro bastano 51 persone e il raduno è illegale. Da 3 a 6 anni di galera e una multa fino a 10.000 euro. In Gran Bretagna e in Francia il reato non è punito col carcere. In Germania e Usa sono praticamente considerati legali.
In questo giorno così importante mi interessa cercare di capire come la classe al potere sta cambiando le parole. Perché cambiando le parole si finisce per cambiare anche le cose che quelle parole vogliono dire. E quando penso alla classe al potere non intendo solo i post fascisti. Non è un caso che le politiche sui migranti siano andate avanti da Minniti a Piantedosi senza contraddizioni.
Riparte la giostra e nell’ordine salgono Meloni, La Russa e Lollobrigida. La prima dice che i martiri delle Fosse Ardeatine furono «massacrati solo perché italiani». Non è vero. Lo dicono anche i tedeschi che uccisero dei «comunisti badogliani».
L’etichetta «massacrati solo perché italiani» torna comoda per un paragone con un’altra mezza invenzione, quella delle foibe. Anche in quel caso si dice che furono uccisi solo perché italiani dimenticando l’invasione della Jugoslavia e le migliaia di vittime dell’esercito fascista.
Poi spunta La Russa. Parla come un comico. Riferendosi all’azione militare di via Rasella, dichiara che i partigiani non colpirono «biechi nazisti delle SS ma una banda musicale di semi-pensionati». La verità è che erano nazisti addestrati per reprimere la resistenza e avevano un’età media di 38 anni. Ma è vero che cantavano marciando.
Alessandro Portelli, che ha scritto un testo importante per comprendere i fatti, ci ricorda che «il canto richiama tutta una mitologia del rapporto fra tedeschi e la musica, che evoca insieme simpatia e terrore». Mica una banda coi pifferi e le trombe.
È roba di pochissimi giorni fa la dichiarazione di Lollobrigida. Al bar sotto casa mia non lo chiamano per nome, né per cognome. Dicono: il cognato della Meloni.
«Non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica… e vabbè gli italiani fanno meno figli li sostituiamo con qualcun altro».
Sta parlando di lavoratori che contribuiscono attivamente alla crescita del paese, pagano servizi di ogni genere comprese le pensioni degli italici anziani. Ma per lui, evidentemente (e si capisce sentendo l’intervento per intero), hanno diritto solo a lavorare e, se possibile, scomparire in un modo o nell’altro per non sostituire l’etnia dello stivale con quella d’oltremare. Ma soprattutto le parole mi fanno paura. «Sostituzione etnica». Il Cognato ha detto che gli è scappata «per ignoranza». Dice che non ne conosceva il significato. No. Sono le parole che usano queste persone. Le usano in sezione, al bar, dal barbiere, al pranzo di Natale.
Nello stesso bar del Cognato potremmo incontrare di nuovo La Russa che parla di Costituzione dicendo che «non c’è alcun riferimento all’antifascismo» altrimenti sarebbe stato un «regalo al Pci e all’Urss». L’antifascismo che ha tenuto insieme tutti i partigiani dagli anarchici ai monarchici viene rovesciato con l’anticomunismo che ha portato i fascisti ai vertici dei poteri occulti dai servizi segreti alla P2 passando per le mafie. La Costituzione è antifascista. Possiamo dire la stessa cosa della seconda carica dello Stato?
Perché mi fanno paura queste parole? Perché mi viene in mente la teoria dei cerchi concentrici ipotizzata da un collaboratore di Moro, Corrado Guerzoni.
«Per cerchi concentrici ognuno sa che cosa deve fare. Non è che l’onorevole X dice ai servizi segreti di recarsi in Piazza Fontana e mettere una bomba. Non accade così. Al livello più alto della stanza dei bottoni si afferma: il Paese va alla deriva, i comunisti finiranno per andare presto al potere. Poi la parola passa a quelli del cerchio successivo e inferiore dove si dice: sono tutti preoccupati, cosa possiamo fare? Si va avanti così fino all’ultimo livello, dove c’è qualcuno che dice “va bene, ho capito”. Poi succede quello che deve succedere. Una strage in una banca, in una stazione, in una piazza, sopra un treno. (…) E se vai a dire all’onorevole X che lui è il mandante della strage di Piazza Fontana, ti risponderà di no. In realtà, è avvenuto questo processo per cerchi concentrici».
Il 25 aprile del 1945 è la liberazione da questo linguaggio, da queste parole sporche che lanciano sassi nello stagno italiano.
Questo mi fa paura. Fermiamo la giostra. A forza di lanciare sassi i cerchi si allargano.
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