Harrington. Olismo nella cultura tedesca
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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Harrington. Olismo nella cultura tedesca

di Ignazio MASULLI

Pubblichiamo la recensione di Masulli al libro di Anne Harrington, La scienza di nuovo incantata. L’olismo nella cultura tedesca da Guglielmo II a Hitler, Giovanni Fioriti Editore, Roma 2018, pp. 348, 34 euro.

È merito dell’editore Giovanni Fioriti aver pubblicato anche in Italia, dopo 22 anni, il ponderoso libro di Anne Harrington.

Non c’è bisogno di sottolineare che al termine olismo si possono ricondurre numerosi percorsi, antichi e moderni, del pensiero filosofico e scientifico. Non sono, infatti, poche le concezioni che hanno contrapposto l’eccedenza del tutto ad una mera somma delle parti. Un’antinomia in cui varie manifestazioni di pensiero olistico hanno polemizzato con impostazioni meccaniciste delle scienze naturali e sociali.

Anne Harrington ricostruisce con grande precisione e ricchezza di riferimenti una di queste vicende: quella di un gruppo di scienziati di lingua tedesca, biologi, neurologi e psicologi, che nei primi decenni del Novecento si batterono contro gli standard epistemologici e metodologici di una scienza a lungo intesa e praticata meccanicisticamente e deterministicamente. Il loro impegno consistette nel tentativo di riscattare la biologia e la psicologia da un atomismo riduttivo per ristabilire “una relazione proficua con il mondo naturale”. Sicché una nuova scienza della totalità avrebbe potuto “re-incantare” il mondo.

Diversi furono, tuttavia, gli approcci olistici ad una nuova scienza della vita e della mente in quegli stessi anni. E non c’è dubbio che alcuni ambiti di ricerca si dimostrarono più fertili di altri a tali approcci. Embriologia, botanica, medicina, neurologia, psicologia, e zoologia risposero molto meglio al richiamo alla totalità. E ciò, secondo l’autrice, si spiega per il particolare significato che in quei campi avevano i fenomeni della forma, dello sviluppo e dell’auto regolazione.

Aspetto tutt’altro che secondario del lavoro di Anne Harrington è quello di contestualizzare quei fermenti ed obiettivi scientifici nel più ampio quadro della storia sociale e politica tedesca dalla crisi del I dopoguerra all’avvento del nazismo. In particolare nell’ultimo capitolo si analizza il “processo di razzializzazione” dell’olismo e del suo “parziale assorbimento nella politica e nella mitologia del nazionalsocialismo”. L’autrice è, comunque, particolarmente attenta a evidenziale posizioni di scienziati liberali, democratici ed ebrei che, in quegli anni, furono pure attratti dalla critica olistica alla meccanizzazione, sia scientifica che sociale.

Merito indubbio di quest’ardua ricerca è di aver imperniato la ricostruzione su quattro biografie di scienziati olistici attivi tra il 1890 e il 1945: il biologo comportamentale Jacob von Uexküll, il neurologo Constantin von Monakow, lo psicologo della Gestalt Max Wertheimer e il neuropsichiatra Kurt Goldstein. I riferimenti biografici, da un lato, hanno consentito una ricostruzione agile di molteplici rimandi, rapporti e confronti, dall’altro, vivacizzano non poco la narrazione.

Strumento molto importante dell’efficace tessitura è un uso sapiente della metafora. Il suo “registro multiplo d’espressione”, come lo definisce la Harrington, le ha consentito di collegare il contenuto della scienza olistica della vita e della mente al suo contesto culturale evitando ogni rischio di riduzionismo del primo nel secondo.

Nelle conclusioni l’autrice non manca di dar conto di importanti e successivi sviluppi di concezioni olistiche in contesti molto differenti, riferendosi soprattutto alla nuova sinistra statunitense degli anni ’60. Anche quei giovani scoprirono una “macchina in mezzo a loro” costituita dalla “autorità ipercentralizzata di un complesso militare-industriale capitalistico avanzato”. Ma questa parte, necessariamente più sommaria, presenta alcune semplificazioni.

Alla fine, il lettore resta convinto che un’analisi altrettanto ampia e approfondita di quella dedicata da Anna Harrington alla storia dell’olismo nella cultura tedesca dalla fine Ottocento al nazismo sarebbe necessaria per il frutto più maturo e di gran lunga più incisivo della concezione olistica nella storia della scienza contemporanea. Vale a dire quella che, coniugandosi principalmente con la teoria dei sistemi complessi, ma non solo, ha favorito straordinari approdi come l’ecologia della mente di Gregory Bateson, l’epistemologia genetica di Jean Piaget, i sistemi lontani dall’equilibrio termodinamico di Ilya Prigogine, il campo acashico di Ervin Laszlo, l’autopoiesi di Francisco Varela, l’epistemologia della complessità di Edgar Morin, gli equilibri punteggiati dell’evoluzione diStephen J. Gould e Niles Eldredge, il semplice e il complesso di Murray Gell-Mann. Per citare solo alcuni dei maggiori protagonisti dell’impresa scientifica degli ultimi cinquant’anni che si sono valsi di una concezione olistica.

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