GUTERRES INVOCA L’ART. 99 DELL’ONU. IL PRECEDENTE COREANO da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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GUTERRES INVOCA L’ART. 99 DELL’ONU. IL PRECEDENTE COREANO da IL MANIFESTO

L’allarme di Guterres: Striscia a rischio tracollo umanitario

FERMATE IL MONDO. Il segretario Onu invoca l’articolo 99. Wall Street Journal: Washington e Tel Aviv in rotta di collisione su durata e obiettivi della guerra

Giovanna Branca  08/12/2023

«È la prima volta durante il mio mandato da Segretario generale» ha sottolineato Antonio Guterres in un post su X in cui dà notizia di aver invocato l’articolo 99 dello Statuto delle Nazioni unite. «Il Segretario generale – recita l’articolo – può richiamare l’attenzione del Consiglio di sicurezza su qualunque questione che a suo avviso possa minacciare il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale». Nella sua lunga lettera al presidente di turno del Consiglio – l’ecuadoregno José Javier De La Gasca LopezDomínguez – Guterres ricapitola quanto ha più volte ripetuto in questi due mesi di guerra: la condanna dell’attacco di Hamas al sud di Israele, la cattura degli ostaggi, le «agghiaccianti» violenze sessuali subite dalle donne israeliane (a cui l’Onu ha prestato attenzione con grande ritardo). Per poi invocare l’intervento della comunità internazionale sul «rischio del collasso umanitario» a Gaza che sotto «bombardamento continuo delle Idf» va incontro, scrive Guterres, a «condizioni disperate in cui anche la fornitura di aiuti umanitari minimi diventerà impossibile». Potrebbe seguire una situazione «ancora peggiore», incluso lo scoppio di epidemie e «sfollamenti di massa nei paesi vicini».

ALL’APPELLO di Guterres – a cui Israele ha prontamente riposto che è lui la minaccia alla stabilità internazionale – si sono subito uniti l’Alto rappresentante per gli affari Esteri Ue Josep Borrell e Tedros Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità. Il portavoce della Commissione Ue ha indirettamente risposto a Tel Aviv affermando «non sono a conoscenza di alcun paese membro dell’Ue che sia contrario al segretario generale».

Anche negli Stati uniti si muove qualche cosa, oltre ai costanti appelli pubblici del segretario di Stato Antony Blinken affinché Israele si impegni di più a proteggere le vite civili (ieri in una telefonata con il ministro degli Affari strategici israeliano Ron Dermer ha anche affermato che Israele deve lasciar entrare più aiuti umanitari nella Striscia). Giovedì il Wall Street Journal riportava le rivelazioni di fonti anonime al corrente delle conversazioni intercorse la scorsa settimana fra Blinken, di nuovo in visita a Gerusalemme, e il gabinetto di guerra israeliano, durante le quali il segretario di Stato avrebbe detto chiaramente che gli Stati uniti si aspettano che la guerra si concluda nel giro di settimane, e non mesi come ipotizzato da Israele. «Tutti riconosciamo che più a lungo» questa guerra continua «e peggio sarà per tutti», ha dichiarato un funzionario Usa al Wsj, secondo il quale «la pazienza degli Stati uniti si sta esaurendo». Non solo: a detta della testata Tel Aviv e Stati uniti sono entrati in rotta di collisione anche sullo scopo della guerra. Mentre per il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu è «sradicare» Hamas, Washington ritiene questo obiettivo impossibile da raggiungere, e spinge verso un “punto di caduta” in cui Hamas viene rimossa dalla posizione di potere che occupa a Gaza.

IERI DAGLI USA è intervenuto anche il senatore Bernie Sanders, che ha spiegato il suo no all’approvazione del progetto di spesa di Biden: non perché non sostenga la resistenza Ucraina contro la Russia, né il diritto di Israele a dare guerra a Hamas che ha «commesso un’atroce invasione». «Ma non hanno il diritto di condurre una guerra contro l’intero popolo palestinese».
Sempre nella giornata di ieri il Belgio si è accodato agli Stati uniti nel negare l’ingresso nel Paese ai coloni israeliani responsabili di violenze contro i palestinesi. «Proporrò inoltre – ha affermato la vicepremier Petra De Sutter – che il Belgio si batta per un divieto di viaggio a livello comunitario». Il Guardian riporta infatti che durante un vertice ieri a Bruxelles si è discusso di questa eventualità, resa improbabile dal fatto cheil passaporto israeliano consente la libera circolazione nell’area Shengen. Sarebbe quindi al vaglio l’ipotesi di inserire i coloni che hanno partecipato ad azioni violente in Cisgiordania su una lista nera di singole persone colpite da sanzioni. Ed è stata la stessa polizia israeliana, ieri, a fermare una marcia di coloni di estrema destra a Gerusalemme alla moschea di Al-Aqsa.

Arresti di massa nella scuola dell’Onu: prigionieri spogliati, bendati e portati via

MEDIO ORIENTE. Catturati a decine nel nord di Gaza, tra loro sfollati, giornalisti, medici. In attesa di identificazione. La Mezzaluna sospende il lavoro a nord, le Nazioni unite prive di mezzi a sud: Gaza ha fame e sete

Chiara Cruciati  08/12/2023

I figli di Adham Abu Khader non mangiano da due giorni. Vivevano a Gaza City, persa la casa sono finiti all’ospedale Shifa. Da lì si sono spostati a Deir al-Balah, poi Khan Yunis. Infine Rafah. «Siamo in otto, senza cibo, acqua, medicine. E nessuna notizia».

La storia di Abu Khader la raccoglie al Jazeera, è l’identica storia di migliaia di famiglie palestinesi. A due mesi dall’inizio dell’operazione israeliana «Spade di ferro», seguita all’attacco di Hamas del 7 ottobre, 1,9 milioni di gazawi sono sfollati. L’86% della popolazione.

IDENTICA è anche la fame. Ieri video sui social mostravano centinaia di persone che a Deir al-Balah si erano ammassate lungo un cancello blu, il colore delle Nazioni unite, in attesa di un po’ di cibo. Nelle settimane scorse, si spingevano contro le barriere, allungavano le braccia, gridavano. Ora stanno lì, in un ordine irreale dettato dalla mancanza di forze, e di speranza.

I numeri della tragedia li ha dati ieri un rapporto del World Food Programme: il 97% degli abitanti del nord di Gaza e l’83% di quelli del sud non hanno cibo a sufficienza, il 90% del nord e il 66% del sud mangia qualcosa un giorno sì e uno no. A nord l’acqua potabile a disposizione ammonta a 1,8 litri, a sud a 1,5. Secondo gli standard dell’Oms ogni persona dovrebbe avere accesso a cento litri di acqua al giorno.

Ma a Gaza ormai è saltata ogni legge umanitaria, e morale. Al flusso ininterrotto di immagini di abusi, si è aggiunta ieri quella di decine di uomini palestinesi, spogliati dei loro vestiti, bendati e fatti inginocchiare dai soldati a Beit Lahiya. «L’esercito sta verificando se tra loro ci sono terroristi di Hamas o del Jihad Islami», riporta l’agenzia israeliana Kan. Tra loro ci sarebbe anche il corrispondente della londinese Al-Araby Diaa Kahlot.

Secondo la sorella, che ha parlato con la Euro-Med Monitor di Ginevra, Kahlot è stato preso mentre stava con la figlia di 7 anni e picchiato. La ong aggiunge che tra i catturati ci sono sfollati, anziani, medici e giornalisti, «una campagna arbitraria di arresti di massa».

Sono stati presi in una scuola dell’Unrwa ed esposti da un Netanyahu in cerca di sopravvivenza come trofei per l’opinione pubblica israeliana. Che continua a essere bombardata di numeri più che di immagini. Gli effetti umani dei raid a tappeto spariscono dalle tv, ci sono solo le immagini spendibili: palazzi distrutti, soldati in azione. Non ci sono i 350 palestinesi uccisi in appena 24 ore ieri, portando il bilancio (non definitivo, impossibile contarli tutti) a 17.177 dal 7 ottobre, senza considerare i 7mila dispersi.

Difficile contarli perché le procedure negli ospedali ancora aperti sono saltate e si opta per le fosse comuni sperando di frenare le epidemie. Ieri la Mezzaluna rossa palestinese ha sospeso le attività nel nord ormai in mano all’esercito israeliano: non ha più benzina per le ambulanze e comunque gli ospedali sono chiusi.

In contemporanea Martin Griffiths, responsabile Onu per gli aiuti umanitari, ha detto che a sud le Nazioni unite non hanno più un centro operativo: «Quello che abbiamo è opportunismo umanitario, provare a raggiungere per le vie ancora accessibili qualche persona bisognosa di cibo o acqua e dargli qualcosa».

GLI FA ECO Oxfam che definisce «impossibile qualsiasi risposta umanitaria in tutta la Striscia», per poi accusare molti paesi di complicità «del massacro di civili, degli sfollamenti forzati e delle atroci sofferenze che stanno vivendo due milioni di persone in trappola».

Sul campo i combattimenti proseguono, con Khan Yunis eletta a nuovo fronte. Non l’unico: ieri per ore sotto una pioggia di bombe è finita Rafah (dove si stanno muovendo gli sfollati che erano a Khan Yunis), riporta il giornalista Tareq Abu Azzoum di al Jazeera. «Tutta la Striscia è sotto attacco – continua – A Khan Yunis numerosi edifici multipiano sono stati spianati. Israele prova a distruggere gli edifici della parte est della città e assumere il controllo del centro, dove ritiene ci sia il quartier generale di Hamas».

Che risponde con i lanciarazzi: ieri, scrive il gruppo su Telegram, avrebbe distrutto 79 blindati israeliani. Bombe israeliane anche a nord: a Jabaliya colpita la moschea al-Awda, a Beit Lahiya – racconta un video girato dagli sfollati – i cecchini hanno circondato una scuola dove si sono rifugiate 7mila persone.

ONU: IL PRECEDENTE COREANO

https://www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=20050108094353

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