GUERRA e COSTITUZIONE da IL MANIFESTO
Il ripudio dell’articolo 11 della Costituzione
DIVANO. La rubrica settimanale di cultura e società, a cura di Alberto Olivetti.
Alberto Olivetti 08/04/2022
L’Italia è tenuta a risolvere le controversie internazionali nel fermo divieto di far ricorso alle armi. È tenuta a rispettare la libertà degli altri popoli, rispetto che vale un non recare offesa – per nessuna ragione – con lo strumento della guerra. Al contrario. L’Italia è impegnata ad assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni e, per tanto, è sollecita e motivata nell’individuare ogni normativa universalmente condivisa che affermi, renda operativi e consolidi ordinamenti capaci di garantire nel mondo le istanze della giustizia e della pace.
A quel reciproco rispetto vanno improntate le relazioni fra stati in una condizione di riconosciuta parità che sola può, nel consenso dichiarato di ciascuno stato, addivenire alle eventuali limitazioni di sovranità che, in ciascuno stato, siano di incremento e di tutela della pace e della giustizia.
Il testo dell’undicesimo dei Principi fondamentali della Costituzione non è articolato in commi. Esso si compone di un’unica proposizione che dà svolgimento ad un costrutto compatto. È così che ogni sua nozione (come ogni sua frase) si tiene e acquista maggior vigore e senso nell’essere accostata ai concetti vicini, al modo delle controspinte che reggono un arco. È per questa ragione che l’art. 11 chiede di essere e letto e recepito e valutato nel suo insieme.
E allora bene si comprenderà nella sua pienezza il significato che assume qui il verbo ripudiare quando si congiunge alle altre voci verbali che accoglie nel suo svolgimento il testo: consentire, assicurare, promuovere, favorire e nel contesto di questo fitto intrecciarsi (dunque non estraendo ed isolando l’atto del ripudiare) lo si ragiona.
Risulterà allora, più di quanto non accada usualmente (si noti come sia consuetudine limitare la citazione dell’art. 11 alla sua prima frase, ottenendo in tal modo l’effetto di ritagliarla, quella frase, e farne un motto) il suo carattere attivo, regolativo e, dirò, programmatico, ché la chiave di volta sta qui nel compito al quale l’art. 11 della Costituzione vincola l’Italia, tenuta ad operare fattivamente con lo scopo di assicurare la pace e la giustizia tra le Nazioni.
Sicché il ripudio della guerra va inteso nella sua componente pragmatica, è tutt’uno con il promuovere relazioni e intese e con il favorire l’istituzione di organismi internazionali ed elaborare dispositivi e provvidenze capaci di assicurare la giustizia e la pace.
Dunque il non ricorrere alla guerra e il non attribuirle virtù alcuna e denunciarla come puro irrisarcibile danno comporta, anzi, impone e prescrive alla Repubblica Italiana nella conduzione delle sue relazioni internazionali un intenso, continuo ricorrere alle virtù operative che sanno avvalersi di uno strumentario politico ‘disarmato’.
Lettera e spirito posti a decisa confutazione dell’antico adagio «si vis pacem para bellum», prepara la guerra se vuoi la pace, e a disvelare, invece, di quella apparente saggezza una sua orribile verità riposta, quella che chiama pace il compimento della distruzione finale del nemico che ogni guerra inevitabilmente persegue e, quando la ottiene, la designa ‘vittoria’.
Nell’art. 11, pare a me risuonare un altro amaro latino che si trae dall’Agricola di Tacito: «ubi solitudinem faciunt, pacem appellant», chiamano pace, dove fanno il deserto. Il deserto, macerie e morte, che negli anni 1946 e 1947, i costituenti intesi ad assolvere il loro compito, ad occhi attoniti mostrava il mondo.
Sottolineavo la componente pragmatica che informa quel dettato costituzionale. Ha scritto Tullio De Mauro: «Una legge costituzionale mira non solo a regolare in generale un comportamento che possa aver luogo, ma mira a sollecitare che si attui tale comportamento, implica, comunque sia formulato, un invito, un ordine: è un testo che, come si dice nelle lingue moderne ricorrendo a due latinismi tecnici, è suasivo e iussivo, persuade e prescrive».
Quali formazioni politiche hanno fatto proprio l’invito ad un impegno attivo e ad una educazione dei cittadini italiani da perseguire nei termini che l’art. 11 prescrive? Intanto lo ripudia il governo italiano in queste prime settimane della guerra europea che divampa nel mondo.
Ucraina, la guerra merita di essere condannata ma bisogna raccontarla tutta la storia
Come diceva qualcuno, in guerra la prima a morire è sempre l’informazione. I media occidentali lo stanno tragicamente confermando. Nella massima parte, essi figurano come megafoni della voce del padrone a stelle e strisce: sono portatori di una visione a tal punto di parte, a tal punto sfacciatamente ideologica, che sembrerebbe impossibile accettarla anche in minima parte. Eppure i più, letteralmente, se la bevono.
I monopolisti del discorso non vi dicono che la Ue ha già dichiarato guerra alla Russia. Ha inviato in Ucraina sistemi d’arma non solo difensivi ma offensivi, la Nato sta pensando di mandare gli aerei da combattimento. Inviare armi difensive a un paese in guerra non è un atto di guerra contro il suo nemico, lo è però l’invio di armi offensive. Gli Usa stanno conducendo una strategia bellica indiretta, usando l’Ucraina come “bastone contro la Russia” (Giulietto Chiesa). E, insieme, usando la Ue come “prima linea” del conflitto, inducendola a mandare armi offensive in Ucraina: e ciò del tutto contro l’interesse della Ue stessa, che in questa guerra ha solo da perdere.
Lo scopo di tutto ciò? Difendere l’Ucraina e la sua sovranità? Nemmeno per sogno! Avete sentito Draghi? Dobbiamo batterci perché l’Ucraina entri in Ue, ha asserito: altro che neutralità e sovranità ucraina! Lo vuole il popolo, dicono i media nostrani: ne siamo sicuri? Perché il guitto Zelensky – un attore Nato, è il caso di dire – limita i partiti d’opposizione, allora? Che cosa desiderano realmente gli ucraini?
LEGGI ANCHE
Draghi dopo l’intervento di Zelensky in Aula: “Vogliamo l’Ucraina nell’Unione europea. A chi resiste vanno dati aiuti militari”
A mio avviso l’obiettivo vero per gli Usa e per la loro colonia Ue è a) annettere l’Ucraina nella propria area d’influenza e b) provocare il regime change in Russia: detto altrimenti, sostituire Putin con un “fantoccio” atlantista, modalità Eltsin che svendeva il paese a Washington e rotolava ubriaco di vodka. E ciò di modo che la Russia, un poco alla volta, si normalizzi, fino a diventare colonia di Washington tra le tante.
Sembrava, in effetti, che quello fosse il suo destino dopo il 1989: piegarsi, umiliarsi, genuflettersi al cospetto della civiltà del dollaro. Tutto cambiò con Putin, che iniziò a dire di no: no all’espansionismo Nato, no all’atlantizzazione degli spazi post-sovietici, no alla cultura del nulla di marca globalista. Per quello, Putin è da anni tra i nemici principali della “globalizzazione”, vale a dire della americanizzazione coatta del pianeta.
Nel 2014 gli Usa dirigono da dietro le quinte un golpe in Ucraina (velvet revolution), noto come Euromaidan: e vi insediano un “governo fantoccio” a loro gradito, atlantista e filo-Ue. Tale governo inserisce in Costituzione la volontà di entrare nella Nato. Nel 2021 Usa e Ue armano pesantemente le forze armate ucraine. Il guitto Zelensky nasce in quel contesto: come prodotto in vitro di serie televisive hollywoodiane, letteralmente recitando un copione scritto in terra americana. Da attore a presidente del suo paese in un attimo, con un solo obiettivo: favorire il transito dell’Ucraina verso la Ue e verso la Nato, di fatto portando le basi militari Usa ai confini con Mosca.
LEGGI ANCHE
Le armi che inviamo a Kiev: la lista segreta
Nessuno – almeno, non io – vuole giustificare o magari glorificare il gesto di Putin, ossia l’invasione dell’Ucraina: la guerra, ogni guerra, merita di essere condannata, a partire da quelle del proprio paese (l’Italia sta sciaguratamente mandando armi in Ucraina, come sappiamo, con una retorica guerrafondaia stomachevole e orwelliana, appellano “missione di pace” l’invio di mitraglie pacifiche e di missili democratici).
Si tratta però di raccontarla tutta la storia: e se vogliamo, come vogliamo, condannare la guerra, dobbiamo condannarla a partire dal suo reale cominciamento e dalle sue reali cause, vale a dire, appunto, dall’espansionismo della Nato verso Oriente, verso le aree post-sovietiche. Detto altrimenti, con parola cara a Lenin e obliata dalle sinistre fucsia – la nuova “sinistrash” postmoderna, interscambiabile con la destra bluette –, la causa primissima è l’imperialismo made in Usa. Rammentiamo che, nel 2008, a Bucarest, la Nato aveva proclamato senza perifrasi che Ucraina e Georgia, presto o tardi, sarebbero entrate nella Nato stessa. Se si vuole condannare una rissa, si condanna non solo il contegno – certo criticabile – di chi ha tirato l’ultimo pugno, ma anche, ovviamente, di chi ha assestato i colpi precedenti, e magari anche di chi l’ha avviata.
No Comments