“ENI, CI VEDIAMO IN TIBUNALE” da GREENPEACE e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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“ENI, CI VEDIAMO IN TIBUNALE” da GREENPEACE e IL FATTO

Portiamo ENI in tribunale per #LaGiustaCausa. Vogliamo giustizia per le persone e il Pianeta!

Greenpeace Italy  9 Maggio 2023

Insieme a ReCommon e dodici tra cittadine e cittadini italiani – molti provenienti da aree già colpite dagli impatti dei cambiamenti climatici – abbiamo deciso di portare ENI in tribunale per fermare i suoi piani distruttivi.

Abbiamo notificato l’atto di citazione sia nei confronti della società, che del Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A., in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante sulla società. 

Con #LaGiustaCausa chiediamo al Tribunale di Roma:

  • l’accertamento del danno e della violazione dei diritti umani alla vita, alla salute e a una vita familiare indisturbata. 
  • che ENI sia obbligata a rivedere la propria strategia industriale per ridurre le emissioni derivanti dalle sue attività di almeno il 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, come indicato dalla comunità scientifica internazionale per mantenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5 gradi Centigradi secondo il dettato dell’Accordo di Parigi sul clima.
  • la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze, azionista influente di ENI, ad adottare una politica climatica che guidi la sua partecipazione nella società in linea con l’Accordo di Parigi. 

Perché è una Giusta Causa

«Faccio causa a ENI e alle realtà statali che la controllano perché le loro strategie non rispettano gli accordi di Parigi in termini di emissioni di CO2», spiega Vanni, uno dei cittadini con cui abbiamo fatto partire #LaGiustaCausa.

«L’operato di ENI contribuisce ad aggravare notevolmente la crisi climatica, con conseguenze sempre peggiori per me e per il mio territorio, il Polesine. Nei pressi del Delta del Po, il mare avanzerà sempre di più nelle nostre terre, e con la risalita del cuneo salino rischiamo di trovarci a vivere in un vero e proprio deserto o di essere costretti abbandonare la nostra casa e la nostra terra». «La Regione in cui vivo, il Piemonte, subisce già oggi gli effetti di una drammatica siccità, come dimostra il bassissimo livello delle precipitazioni registrato quest’inverno», racconta invece Rachele.

«Un problema che probabilmente si aggraverà in futuro. Ecco perché ho deciso di partecipare a questa azione legale in qualità di parte lesa. Non ritengo giusto che il principale fornitore di energia italiano, di cui lo Stato tra l’altro è il maggiore azionista, possa portare avanti anno dopo anno un programma di investimenti che va contro gli obiettivi fissati dall’ultimo rapporto dell’IPCC, massima autorità scientifica globale in fatto di cambiamenti climatici».

L’attuale strategia di decarbonizzazione di ENI è palesemente in violazione degli impegni presi in sede internazionale dal governo italiano e dalla stessa società. È inaccettabile che, a fronte di extra profitti record realizzati nel 2022, ENI continui a investire nell’espansione del suo business fossile, a danno del clima e delle comunità locali che in tutto il mondo subiscono gli impatti del riscaldamento globale. La conferma di Claudio Descalzi al vertice della società da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, avallata dall’intero governo, rende inoltre quest’ultimo complice di scelte che aggravano la crisi climatica. 

Un’azione legale senza precedenti in Italia

#LaGiustaCausa – questo il nome della campagna che promuove l’iniziativa legale contro ENI, è la prima del suo genere contro una società di diritto privato in Italia. Si inserisce nel quadro delle cosiddette climate litigation, azioni di contenzioso climatico che, secondo il database del Sabin Center for Climate Change Law della Columbia University, ad oggi ha raggiunto a livello mondiale quota 2.276. 

Cosa puoi fare tu

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Nuove alluvioni, nuovi disastri. Chi se lo sarebbe aspettato?

Renzo Rosso    9 MAGGIO 2023

Il disprezzo per la scienza da parte di politici, maggiorenti e media italiani è una costante storica. Non solo per la questione dell’acqua, esso permea molti altri ambiti della società, sempre più remissiva di fronte all’abuso della credulità popolare. E l’alibi principe per giustificare l’ignavia istituzionale e l’emergenza affaristica è il cambiamento climatico, una urgenza umanitaria che l’umanità ha dimostrato ampiamente di non voler mitigare negli ultimi trent’anni. Ogni volta che il bel tempo si prolunga in modo anomalo riducendo le risorse captabili di acqua dolce, ogni volta che piove un po’ troppo e si verificano disastri e si piangono vittime, lo stupore è l’immediata reazione di politici, maggiorenti e media: mai visto a memoria d’uomo! Chi se lo sarebbe aspettato?

L’esperienza dell’età mi consente di ricordare che la comunità scientifica — quella seria che pubblica sulle riviste internazionali e viene rigorosamente ignorata da media, maggiorenti e politici — ne aveva sommessamente parlato. E lo ha fatto da tempo immemore. Indicando perfino qualche rimedio.

Faenza alluvionata ma la cementificazione non si ferma: solo case, gli alberi li abbiamo tagliati tutti

La relazione della Commissione De Marchi del 1970 — istituita in seguito alle alluvioni fiorentina e veneta del 1966 — evidenziava, per esempio, la necessità di consumare il suolo in modo consapevole e l’esigenza di curare le colline e le montagne in maniera tale da salvaguardarne l’efficienza idrologica, tenuto conto del loro progressivo abbandono per via del crescente inurbamento.

D’altra parte, Giulio De Marchi aveva già espresso chiaramente queste idee nel 1952(1), dopo l’alluvione del Polesine: “Le piene di Po sono andate progressivamente aumentando nel corso degli ultimi secoli, ed è pure certo che esse aumenteranno ancora in avvenire. Dopo ogni piena disastrosa si procede alla ricostruzione degli argini danneggiati e a un loro sopralzo, senonché l’esame obiettivo dei fatti porta a riconoscere che le arginature, da sole, non possono costituire la soluzione definitiva e sicura del problema della difesa dalle inondazioni”. E suggeriva di adottare “nuovi indirizzi difensivi nel caso di eventi eccezionali, ma sempre possibili, di fronte ai quali le arginature esistenti siano decisamente insufficienti“.

De Marchi, ingegnere idraulico, aveva anche aggiunto: “Non oseremmo invece pronunciarci ora a proposito di possibili effetti della crescente immissione sia di fumi nella atmosfera, che potrebbe influire sul regime e sulla quantità delle precipitazioni, sia di anidride carbonica che, aumentando la percentuale di questo gas nell’atmosfera e diminuendone la permeabilità alla radiazione terrestre, tenderebbe ad aumentarne ulteriormente la temperatura“. Era il 1952. Forse non si poteva ancora osare, allora, ma già nel 1991(2) scrivevamo, perfino in italiano, che “le alterazioni dei rapporti fenomenologici tra i vari processi del ciclo idrologico, i cui effetti hanno ampio riflesso sulla modificazione del rischio idrogeologico, riguardano essenzialmente i problemi legati alla difesa e conservazione del suolo e alla protezione idraulica del territorio, sia nei bacini naturali che in quelli urbani”.

Alluvione di Sarno, a 25 anni dal disastro la migliore difesa resta la consapevolezza

Tra le conclusioni dalla Relazione della Commissione De Marchi (1970), colpisce l’affermazione “fra le varie preoccupazioni che hanno accompagnato la Commissione nello svolgimento del proprio lavoro, non è compresa quella che le generazioni future siano destinate a restare inoperose nell’ambito degli stessi problemi”. All’epoca, il concetto di sostenibilità era affatto ignoto a gran parte della comunità scientifica, anche se risale al pensiero di Adam Smith espresso nella Teoria dei Sentimenti Morali, pubblicata nel 1759, diciassette anni prima della Ricchezza delle Nazioni. Nel bagaglio intellettuale dei commissari c’era quindi la consapevolezza dell’impegno generazionale e il seme per una svolta radicale nelle politiche di difesa del suolo.

Come ha (in)operato la generazione “futura”? Ha ricevuto dai membri di quella commissione, protagonisti del miracolo civile ed economico del dopoguerra, com’erano stati De Marchi, Giulio Supino e Ardito Desio. I baby boomer sono stati all’altezza?

(1) De Marchi, G., Il problema della difesa del suolo dalle inondazioni qua-le si presenta dopo l’ultima piena del Po, Convegno sulla Difesa del Suolo e le Sistemazioni Fluviali, 2nda Giornata della Scienza, Milano, 16-19 aprile 1952.
(2) Burlando, P., Rossi, G. & R. Rosso, L’impatto del cambiamento climatico sul ciclo idrologico e le sue conseguenze su risorse idriche ed estremi idrologici, Ingegneria Ambientale, Vol.20, no.5, p.252-285, 1991.

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