È PIRATERIA ISTITUZIONALE, SÌ A BOICOTTAGGI CONTRO GLI USA da IL FATTO
È pirateria internazionale, sì a boicottaggi contro gli Usa
Gianfranco Viesti 5 Aprile 2025
Le decisioni sui dazi sono un atto di pirateria internazionale: Trump applica alle relazioni fra Stati l’approccio che ha sempre seguito nella conduzione dei suoi affari personali. Il punto è che gli Usa sono diventati un “Paese canaglia” nelle relazioni internazionali. Il che fa risaltare ancor più gli aspetti negativi del piano europeo di riarmo: indebitarsi e ridurre le spese sociali per comprare armi americane. La pirateria merita risposte forti, ferme e intelligenti. La forza non può che venire dal concerto europeo. Non reagire o mostrare incertezza rende più forti i pirati, espone al rischio di ulteriori richieste. Le risposte devono essere però intelligenti. I contro-dazi sono probabilmente indispensabili, per quanto possano accrescere i nostri costi, servono a mostrare determinazione. Ma vanno accompagnate da misure chirurgiche contro gli interessi degli oligarchi americani: come tassazioni mirate sugli affari online delle grandi imprese tecnologiche; limitazioni dei diritti di accesso ai mercati europei: molte proposte sono sul tavolo della Commissione Ue. Peccato che il governo italiano sia, alla meglio, afono. Il vicepresidente Tajani ancora pochi giorni fa invitava a risolvere la questione comprando più gas dagli Usa. L’altro vicepresidente Salvini svolge il ruolo di quinta colonna dei pirati. La premier, convinta che fare la claque all’insediamento del Capo le avrebbe conferito un ruolo importante, sostiene ora risibilmente che la situazione non va drammatizzata. Chissà se i diretti interessati si faranno sentire: se i piccoli imprenditori esportatori leghisti reagiranno; se Confindustria riuscirà a battere i pugni; se taluni sindacati, supini alle scelte di Meloni, troveranno voce. Anche la società civile europea deve muoversi, ad esempio, con i boicottaggi: non solo di Tesla e Starlink, anche di altri interessi americani. Giusto per far vedere al vice Vance che anche i “parassiti” sono in grado di farsi sentire.
Contro i dazi serve una nuova autonomia strategica nell’Ue
Pasquale Tridico 5 Aprile 2025
L’esperienza ha dimostrato che l’assenza di una solida politica industriale può generare un circolo vizioso di declino produttivo e competitivo, come nell’automotive in Italia. Il mutato panorama geopolitico evidenzia inoltre l’importanza dell’autonomia strategica come elemento chiave per la prosperità economica e la sicurezza dell’Italia e dell’Ue. La politica industriale europea deve quindi affrontare con decisione il problema delle dipendenze dall’estero, riducendo la vulnerabilità nell’approvvigionamento di materie prime, tecnologie e beni intermedi essenziali. Solo così l’Europa potrà costruire un modello di sviluppo basato sulla cooperazione anziché su dinamiche di subordinazione, soprattutto alla luce dei mutamenti geopolitici e commerciali con l’introduzione dei dazi da parte degli Usa. L’Ue deve rispondere a queste nuove misure con una politica che rafforzi la propria autonomia strategica in campo economico, tecnologico e monetario, seguendo queste 5 indicazioni.
1. Si dovrà approfittare di questi cambiamenti per rafforzare la nostra presenza commerciale nei Brics, in Asia, America Latina e Africa. La Via della Seta, aperta dal Conte-1 nel 2018, oggi sarebbe stata una buona alternativa di diversificazione commerciale, ma è stata chiusa acriticamente da Meloni in una visione appiattita sugli Stati Uniti.
2. Nel nuovo quadro commerciale, si deve usare la leva fiscale oltre ai dazi per rafforzare la posizione dell’Ue davanti a negoziati con gli Usa: attaccare in modo convinto l’elusione fiscale delle multinazionali americane, introdurre una web tax che colpirebbe principalmente le corporation Usa e continuare con la minimum tax a tutte le multinazionali che fanno business in Ue.
3. In questo contesto è utile anche introdurre l’Euro digitale, un progetto della Bce rimasto in sospeso, per rafforzare l’autonomia strategica e monetaria.
4. Si dovrebbe rafforzare la domanda interna (con investimenti pubblici) che negli ultimi anni è stata compressa con una politica di deflazione e svalutazione che ha rafforzato solo le esportazioni, riducendo i consumi interni.
5. Infine, la politica industriale deve essere integrata con le politiche di sviluppo e del lavoro. Non si può avere una politica industriale di successo se il lavoro è povero, i salari sono bassi e precari, i contratti offrono scarse tutele e la formazione non garantisce lo sviluppo delle competenze necessarie. In un contesto geopolitico fragile, le esportazioni possono essere compromesse: se il nostro modello è costruito unicamente su competizione salariale per favorire l’export, come è successo negli ultimi 30 anni, la crescita è dipendente dall’estero, dalla globalizzazione e dal turismo.
Anche per questo, il Riarmo Ue è sbagliato: oltre che deprecabile per motivi politici, aumenta le spese di ciascuno Stato membro per gli eserciti, in modo frammentato. Senza un coordinamento, con una disparità nella capacità di spesa dovuta ai diversi spazi fiscali, Paesi come l’Italia saranno costretti a fare nuovo debito. Il nostro rapporto debito/Pil supererà il 150% a causa dei costi legati alla difesa e contemporaneamente si dovrà tagliare il welfare. La dipendenza della spesa in armi americane, oggi pari al 70%, aumenterà ulteriormente e la nostra autonomia strategica perirà. La politica industriale Ue deve contrastare queste dipendenze anche per l’acquisizione di materie prime, tecnologie e beni strategici: è necessario rafforzare la produzione in modo selettivo ponendo obiettivi chiari per la crescita della capacità produttiva domestica. Solo così l’Europa costruirà rapporti commerciali e produttivi all’insegna non di dipendenze e ritorsioni, ma di cooperazione e mutui benefici. E sarà più forte, autonoma e competitiva nel contesto globale.
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