CUORE DI TENEBRA da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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CUORE DI TENEBRA da IL MANIFESTO

La maggioranza Ursula trema. Il vento di destra sull’Unione

CUORE DI TENEBRA. Il Ppe si conferma primo partito, si sfalda l’asse franco-tedesco. Ecr guidata da Meloni +3

Andrea Valdambrini, BRUXELLES  10/06/2024

La maggioranza ci sarebbe, e sarebbe la riedizione della Grosse Koalition formato europeo: popolari, socialisti e liberali insieme fanno circa 400 voti. Il che vuol dire autosufficienza, al netto dei franchi tiratori che sempre aleggiano su un voto segreto come questo. Al netto anche dell’ipotesi di un von der Leyen bis, che fino a stanotte sembra essere tornato in campo dopo un progressivo appannamento negli ultimi mesi, ma deve comunque essere confermato dai capi di Stato e di governo che si vedranno presto a Bruxelles. Con il paradosso del caso francese: il più grande detrattore del sistema degli spitzenkandidaten, e dunque in questo caso della riconferma di von der Leyen, è Emmanuel Macron, king maker ridotto a anatra zoppa dalla valanga Le Pen che ha travolto il suo governo, portandolo allo scioglimento dell’Assemblée Nationale.

Nella direzione di una maggioranza non inedita vanno tutte le prime dichiarazioni dei candidati capolista, a partire da Ursula von der Leyen, che sottolinea la centralità del Ppe e la necessità di continuare il lavoro fatto finora con le altre due grandi famiglie politiche europee.

«Queste elezioni ci hanno dato due messaggi» considera la leader tedesca. «In primo luogo, al centro rimane una maggioranza a favore di un’Europa forte». Ma dato che «gli estremi, a sinistra e a destra, hanno guadagnato consensi», è proprio per questo che il risultato comporta una grande responsabilità per i partiti pro-Europa. «Possiamo divergere su singoli punti, ma abbiamo tutti interesse alla stabilità e vogliamo tutti un’Europa forte ed efficace», conclude.

Le fa eco lo sfidante spitzenkandidat per i socialisti, Nicolas Schmit: «È chiaro per noi che siamo aperti a una forte cooperazione con tutte le forze democratiche di questo Parlamento». Ricordando che «siamo il secondo gruppo che mantiene il numero dei suoi membri», si dice pronto a «negoziare un accordo per rendere l’Europa più forte, più democratica e più sicura». Questo significa, come ha sempre dichiarato dall’inizio della campagna elettorale, che «non c’è nessuna possibilità per noi socialdemocratici di collaborare con chi vuole smantellare, indebolire questa Europa che cerchiamo di costruire da decenni». L’invito a collaborare di nuovo è chiaro.

COME SEMPRE in questi casi, l’importante è fare i conti. Il totale degli eurodeputati è 720, la metà più uno fa 361. La somma dei tre grandi partiti da soli sarebbe perfino di più della cosiddetta “maggioranza Ursula”, che la spuntò per soli 9 voti, e di cui facevano parte anche elementi esterni alle famiglie tradizionali, come gli eletti M5S. Questo perché in realtà nel Parlamento eletto nel 2019 la soglia era più alta (c’erano 747 deputati: i britannici erano ancora dentro).

Guardiamo i risultati dalla prospettiva di Bruxelles, che naturalmente è diversa da quella di Roma e delle altre capitali. Stando alla proiezione dell’1,30 del mattino di oggi, il Ppe si conferma primo partito, soprattutto grazie ai buoni risultati in Germania e Spagna e Polonia e anzi guadagna 15 seggi, arrivando a 191. Leggero calo per i socialisti del gruppo S&D, fermi a 135. Dalla Francia arriva la debacle dei liberali macroniani, che contribuisce a far perdere al gruppo Renew 20 eurodeputati circa: è il peggior risultato in termini assoluti, insieme a quello dei Verdi. Questi ultimi franano da oltre 70 a 53.

BENE INVECE Conservatori e riformisti (Ecr) grazie a Meloni e al Pis polacco, anche se l’aumento sul totale dell’aula di Strasburgo è poco visibile: 72 seggi (+3). Gli identitari di Id, l’altro gruppo di estrema destra, salgono di 10 arrivando a quota 58: un buon risultato, considerando che manca all’appello AfD da poco espulsa. Il successo degli Id è dovuto non certo alla Lega, quanto all’exploit del lepeniano Rassemblement National. Stabile Left, ultimo gruppo in termini numerici, che si arricchisce però di una delegazione italiana, Avs, la prima dai tempi della Lista Tsipras. Da non trascurare i 100 eurodeputati tra i non iscritti (c’è dentro il partito ungherese del primo ministro Orbán, Fidesz, ma anche i 5S, ancora in cerca di casa europea) e new entry non affiliate (ad esempio il partito di Sarah Wagenknecht).

DAL POMERIGGIO di ieri, l’emiciclo di Bruxelles è stato trasformato in una enorme sala stampa per più di 700 giornalisti tra radio, tv, web, agenzie e carta stampata. Lo schermo panoramico aggiorna in tempo reale circa la chiusura dei seggi nei vari paesi. Tutti gli occhi sono puntati sui grandi, che eleggono più eurodeputati: la Germania ha finito nel tardo pomeriggio, Spagna e Francia arrivano intorno alle 20, così come la Polonia. L’Italia è quella che si farà attendere più di tutti.

Tutto intorno alla sala stampa, il labirintico palazzo che ospita gli uffici dell’Europarlamento a Bruxelles, è puntellato dei quartier generali dei partiti e gruppi europei, pronti a commentare a caldo l’incedere sempre più preciso dei risultati. Dopo le 21 si susseguono le dichiarazioni dei leader dei gruppi, mentre gli spitzenkandidaten dovranno attendere oltre le 23, in modo da poter avere presente tutto il quadro, Italia compresa.

Ed è tra queste posizioni che arrivano un paio di piccole sorprese, dai due opposti lati dello spettro politico. La prima è quella della vicepresidente Ecr Assita Kanko, vagamente meloniana: «Abbiamo lavorato bene con von der Leyen, non vedo cosa potrebbe impedirci di lavorare con lei». L’altra è quella dei leader dei Verdi, l’uscente Philippe Lamberts e lo spitzenkandidat Bas Eikhout. Quest’ultimo lo dice chiaro: «Siamo delusi dal risultato», ma «pronti a prenderci la nostra responsabilità», creando «una maggioranza stabile al centro del Parlamento europeo». Se i numeri ci sono, arriva anche chi vuole aggiungersi per contribuire. Bisognerà capire come mettere insieme tutti questi pezzi.

L’argine saltato

EUROSHOCK. Per quanti sforzi facciano popolari e socialisti a fornire una versione edulcorata della cronaca, la vittoria delle destre estreme è un risultato clamoroso di fronte alla storia

Andrea Fabozzi  10/06/2024

L’Unione europea, con le sue scelte politiche di fondo, ha opposto un argine debolissimo alla destra più nera e questo argine è stato travolto dal voto di ieri. Il simbolo della disfatta è Emmanuel Macron che con la sua resa travestita da rilancio replica la condotta irrazionale che ha avuto sulla guerra in Ucraina.

Il destino del parlamento francese da qui a poche settimane appare segnato e con esso, tristemente, quello del cuore politico del continente. I partiti dell’estrema destra entrano da padroni di casa nell’Unione, una casa che non hanno contribuito a costruire e che hanno sempre provato a demolire.

Agli esiti neri di queste elezioni fa da contraltare la quinta quasi immobile dell’emiciclo di Strasburgo. Dove von der Leyen si proclama vincitrice e prova a raccontarsi come alternativa a quella destra estrema che ha contribuito a gonfiare. Il risultato elettorale è come una scossa potente che sul momento crepa l’edificio senza abbatterlo. L’equilibrio dell’europarlamento in fondo sembra cambiare poco.

La vecchia alleanza tra popolari, liberali e socialisti potrebbe avere i voti sufficienti per riproporsi imperterrita, indifferente al terremoto. Ma non si potrà fare finta di niente. Perché l’Europa unita si regge, ancora, sugli stati che la compongono: la Francia, come la Germania dove i neonazisti raggiungono Scholz, ne è dunque un pilastro sul punto di crollare.

Per quanti sforzi facciano popolari e socialisti a fornire una versione edulcorata della cronaca, la vittoria delle destre estreme è un risultato clamoroso di fronte alla storia. Partiti xenofobi e razzisti, in molti casi apertamente nostalgici e neo fascisti superano di slancio e travolgono formazioni che sono state l’architrave dell’Europa per ottant’anni. È un D-day – celebrato appena l’altro giorno – ma al contrario.

Il risultato italiano, con un’affluenza più bassa di quella media dell’Unione, è solo una conferma per Meloni e non un trionfo. Più chiaro il successo di Schlein che supera le migliori previsioni. Così come fanno abbondantemente Verdi e Sinistra, trainati – vedremo oggi – dai consensi per Ilaria Salis. Una luce, dentro un tunnel nerissimo.

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