COMUNISTI, RESISTENZA E COSTITUZIONE da IL MANIFESTO
Comunisti, Resistenza e Costituzione
25 APRILE. Quel che non piace ai revisionisti. La centralità nel Cln e la firma di Terracini, presidente della Costituente, alla Costituzione: per questo l’identità del Pci è uno dei perni della Repubblica
Davide Conti 25/04/2023
«Non sono comunista e nemmeno lo diventerò, ma se qualcuno si azzardasse a ridere della mia stella rossa gli mangio il cuore crudo». Sono le parole che Beppe Fenoglio mette sulle labbra del partigiano Alfredo e rievocano ciò che rappresentarono (negli anni duri e solitari dell’antifascismo ed in quelli drammatici e liberatori della Resistenza) la presenza, la forza e la fede politica dei comunisti nel nostro Paese.
Per questa ragione di fondo nei decenni di revisionismo e rimozione che viviamo, non stupisce che il principale obiettivo della destra postfascista e dell’anomala destra “liberale” sia stato quello di delegittimare ed eliminare un così ingombrante segno della nostra storia. Soprattutto rispetto alla radice fondativa della Repubblica: la Resistenza.
Assistiamo così alla propalazione di falsità ed accuse tanto da parte degli eredi del Msi oggi al governo, quanto di quella stampa proprietaria che rappresenta la voce delle classi dirigenti del Paese.
I partigiani comunisti “quinta colonna” dell’Urss; la separazione tra l’antifascismo non comunista “buono” e quello legato al Pci da condannare; l’equipollenza dei regimi nazifascisti e sovietico come riferimento “terzista” rispetto alla lettura “antitotalitaria” della storia del Novecento (una lettura antistorica avallata nel 2019 dalla risoluzione del Parlamento europeo su proposta dell’Ungheria di Orbàn e della Polonia di Kaczyński).
L’intelligenza dei fatti serve a restituire significato alle parole; orizzonte di senso agli eventi del passato; verità di fronte alla menzogna.
Il Partito comunista fu la principale forza di opposizione, l’unica strutturata clandestinamente in Italia, durante tutto il ventennio fascista negli anni bui del “consenso” al regime. Quelli delle persecuzioni contro i dissidenti; dell’abolizione di ogni libertà individuale e collettiva; delle guerre imperialiste e coloniali; delle leggi razziali; del patto con Hitler. Pagarono il prezzo più alto.
Il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato condannò 4.671 antifascisti e di questi 4.030 erano comunisti. Sui 28.115 anni di carcere comminati 23.124 toccarono ai membri del Pci clandestino.
Con il ritorno di Palmiro Togliatti in Italia e la “svolta di Salerno” del 1944 i comunisti accettarono (e spinsero a fare altrettanto i recalcitranti socialisti e azionisti) di far parte del governo monarchico di Pietro Badoglio pur di dar vita ad un fronte unitario di tutte le forze antinaziste per liberare l’Italia. Accettarono di rinviare la “questione istituzionale” alla fine della guerra e di scioglierla attraverso il voto popolare.
Rappresentarono la prima forza militare della lotta partigiana consegnando con le loro “Brigate Garibaldi” la metà totale delle donne e degli uomini combattenti della Resistenza (l’altra metà divisa fra azionisti, socialisti, liberali, monarchici, autonomi, democristiani.
La centralità comunista in seno al Comitato di Liberazione Nazionale nonché la firma di Umberto Terracini, da presidente dell’Assemblea Costituente, in calce alla Costituzione sugellarono l’identità storico-politica del Pci come uno dei perni della rifondazione dello Stato repubblicano.
Non ci sarebbe stata la Resistenza con i caratteri storici che abbiamo conosciuto senza il concorso plurale di tutte le forze antifasciste. Sicuramente non ci sarebbe stata nessuna Resistenza senza i comunisti.
«Non diremo mai che siamo stati i migliori -ripeteva il comandante dei Gruppi d’Azione Patriottica di Roma Mario Fiorentini- ma ripeteremo sempre che nessuno è stato migliore di noi».
Queste ragioni della storia fanno giustizia delle assurdità dell’oggi.
Un presente fatto di negazionismo istituzionale, nel quale si può ascoltare il Presidente del Senato, Ignazio Benito La Russa, affermare il falso storico dell’assenza dell’antifascismo nella Costituzione oppure i vertici dello Stato fuggire, è il caso della Presidente del Consiglio Meloni, di fronte ai conti con l’eredità del regime mussoliniano e del suo partito d’origine, il Msi, che se ne designò erede.
La Costituzione fu così inscindibilmente pensata, scritta, vissuta e legata all’antifascismo che l’unico divieto politico interessò la possibile ricostituzione del partito fascista. Normata dalla legge Scelba del 1952 venne applicata ai gruppi eversivi Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale alla metà degli anni Settanta ma già nel 1971 riguardò Giorgio Almirante, indagato dalla magistratura (autorizzata a procedere dal Parlamento) rispetto alla natura del Msi come ricostituito partito fascista.
Il 25 aprile e lo sguardo pulito sulla nostra storia migliore sgombra il torbido di tali racconti. Ci restituisce una teoria dello Stato nata dall’antifascismo e incardinata negli articoli della nostra Costituzione che rese diritto di cittadinanza a chiunque, come ricorda il comandante comunista Arrigo Boldrini: «La Resistenza l’abbiamo fatta per noi e per quelli che stavano con noi; per quelli che non hanno preso parte; e anche per quelli che erano contro».
Partigiani con il coraggio del mondo nuovo
PASSATO E PRESENTE. È vero che il fascismo di Giorgia Meloni non coincide con quello di Benito Mussolini (diversamente da quello di alcuni suoi ministri o sodali), e però per quanto si controlli, poi le sfugge la verità: che anche lei una riflessione critica su quel ventennio non l’ha mai neppure tentata
Luciana Castellina 25/04/2023
Primo anniversario del 25 aprile in presenza di un governo che trae la sua ispirazione politico-culturale da quelli che in quella data furono sconfitti. Che la nostra festa possa essere realmente condivisa è evidentemente impossibile. Ha fatto bene l’Arci a produrre per questa occasione un manifesto su cui è scritto:”25 aprile divisivo. Per i fascisti “. Perché sia giorno di fierezza anche per gli attuali Ministri dovrebbero aver fatto la rivoluzione dentro sé stessi, quella che tanti giovani nell’immediato dopoguerra hanno saputo fare, al contrario di loro, che non ne hanno mai avuto il coraggio e l’intelligenza.
È vero che il fascismo di Giorgia Meloni non coincide con quello di Benito Mussolini (diversamente da quello di alcuni suoi ministri o sodali), e però per quanto si controlli, poi le sfugge la verità: che anche lei una riflessione critica su quel ventennio non l’ha mai neppure tentata. Mi ha colpito una sua frase rivelatrice, pronunciata pochi giorni fa mentre prendeva l’aereo per Addis Abeba : «È’ un po’ – ha detto con il tono colpevole di una Ong un po’ in ritardo – che non ci occupiamo dell’Africa». Vale a dire: che non l’aiutiamo come in passato.
Una frase terrificante, perché sembra inconsapevole di come sia stata «aiutata» dal nostro paese nei non lontanissimi anni ‘30. C’è da domandarsi se Giorgia abbia mai saputo cosa hanno fatto i fascisti quando dell’Etiopia, della Somalia, e della Libia si sono «occupati». L’epoca di “faccetta nera ti verremo a liberar “ – scritta che, ricordo, campeggiava sulla parete della mia aula scolastica – una delle pagine più vergognose della nostra storia patria.
Certo è vero che ora non andiamo in Africa con le bombe a gas, bensì a fare accordi commerciali e a concordare misure per impedire che gli africani godano degli stessi diritti degli occidentali: il diritto di viaggiare dove gli pare, o ,almeno, quando gli è indispensabile. Ma si sa che la politica si adatta ai tempi, oggi di certe rozzezze come, per esempio, dei golpe militari, non c’è più nemmeno bisogno, la globalizzazione ha offerto strumenti più delicati. In compenso si è imparato a moltiplcare le guerre civili che offrono più o meno gli stessi vantaggi.
Non sapere, o non afferrare la sostanza di cosa sia stato il fascismo, è stato difficile e anche doloroso per quell* che nel ’’43-’45 avevano 18 anni o poco più. Uno dei grandi meriti di Togliatti, fu di averne preso conto con grande umanità: quando nel lontano febbraio 1944 sbarcò a Salerno appena liberata, non si mosse con spirito di vendetta rivolgendosi ai giovani fascisti che allora erano ancora la maggioranza, molti reduci della X Mas o dei Battaglioni M.
Capì fino a che punto tanti dei ragazzi che avevano aderito alla Repubblica di Salò avessero fatto quella scelta dopo aver subìto un ventennale bombardamento ideologico che giunse ad usare la stessa fraseologia socialista: «l’Italia proletaria s’è mossa», per rivendicare il nostro diritto ad avere, anche noi, le colonie. E poi l’uso stravolto dell’ «onore della patria». Ricordo bene lo sconcerto dei miei compagni di scuola più adulti che si arruolarono persino volontari nell’esercito di Salò, pur consapevoli che sarebbero stati ormai sconfitti, perché vergognosi del modo in cui il Re e Badoglio erano passati dalla parte dei vincitori l’8 settembre.
A loro Togliatti si rivolse scrivendo pagine bellissime per aiutarli a capire. E polemizzò aspramente con i liberali che subito volevano ridare allo Stato le tante case della Gil, anziché lasciarle in mano ai giovani perché potessero diventare luoghi di incontro e confronto.
E infatti – e questo è uno dei più bei ricordi che ho di quegli anni in cui ero segretaria della sezione comunista dell’ Università di Roma – fu proprio aver dialetticamente partecipato al percorso intrapreso dai ragazzi del grande gruppo Caravella presente nel “parlamentino” studentesco ( entro cui erano confluiti nel dopoguerra gli studenti ancora fascisti). Che, in un tempo abbastanza breve, impararono, e capirono; e infatti- a parte qualche ostinato, come per esempio il loro leader Caradonna, con il quale continuammo a lungo a picchiarci- il gruppo presto si dissolse. E molti passarono alla sinistra. Uno di loro, anni dopo, divenne addirittura avvocato del Manifesto.
Sono una minoranza riluttante i fascisti nostalgici come La Russa che si dice non tenuto ad essere antifascista perché nella Costituzione non è indicato come un dovere? Io penso di sì, pochi ancorché violenti e pericolosi. E però quelli che hanno votato per Fratelli d’Italia sono tanti e non possiamo sfuggire alla domanda: perché? Mi sono abbastanza chiare le motivazioni dei più anziani, rimasti proprio fascisti perché davvero reazionari. Ma una domanda dobbiamo porcela: cosa ha indotto tanti di quei votanti a scegliere Meloni?
Può bastare , a far loro capire, la denuncia delle malefatte del passato? Credo non basti se non riusciamo a testimoniare con quanto facciamo noi oggi che la democrazia, in nome della quale tanti giovani partigiani andarono a combattere, si è negli ultimi decenni a tal punto logorata – marcata come è dalla disuguaglianza e dalla arroganza del potere dominante – da non essere in grado di rendere sufficientemente evidente l’antagonismo che l’ha opposta al fascismo.
Richiamare gli orrori del passato, di cui occorre parlare perché conoscere la storia è necessario e utile, non è però sufficiente, se non denunciamo con analoga forza le brutture dell’oggi: possiamo forse parlare di valori occidentali con tutto quello che l’occidente sta facendo e ha fatto? Possiamo continuare a risolvere i problemi internazionali ricorrendo alle guerre? Possiamo subire la prepotenza di chi le produce e di chi si arroga diritti che ad altri vengono negati?
Possiamo evitare che al calo della natalità si risponda cancellando il diritto al lavoro così faticosamente conquistato dalle donne, se non denunciamo un sistema, quello attuale, che non si è mai impegnato seriamente a liberare le madri dalla schiavitù del doppio lavoro, così obbligandole alla tristissima scelta di dover rinunciare a fare una cosa così bella come scegliere, se lo si vuole, di mettere al mondo bambini? (perché questo è il prezzo – come tristemente ci dimostrano i dati – che molte devono pagare per diventare magistrate o poliziotte o commesse, in assenza di una civile socializzazione del lavoro di cura mai diventato nemmeno serio progetto?
Le democrazie occidentali sono certo meglio dei sistemi che reggono tanta parte del mondo, ma possiamo non renderci conto che questo è accaduto grazie a lotte e rivoluzioni che invece abbiamo proibito al resto del mondo con il nostro colonialismo?
Io credo che l’aspetto più straordinario della Resistenza opposta dai giovani partigiani, in particolare in Italia, non sia stata solo di “resistere”, come la parola potrebbe far pensare, ma, piuttosto, il coraggio di andare in montagna senza la copertura di un legittimo governo spodestato dai nazisti come quasi ovunque altrove, e però di aver rischiato la vita per una democrazia di cui intuivano i valori ma nemmeno avevano avuto modo di conoscere. Il coraggio di inventarsi come obiettivo un mondo nuovo.
Per combattere efficacemente il fascismo dobbiamo, insomma, saper individuare quanto di fascista c’è, sta tornando, nelle nostre società. Parlare solo del passato rischia altrimenti di apparire come una comoda e pericolosa copertura
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