CEFALONIA DIMENTICATA da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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CEFALONIA DIMENTICATA da IL MANIFESTO

Cefalonia dimenticata

17 SETTEMBRE 1943. Nell’ottantesimo dell’eccidio il ministero della Difesa non ha previsto commemorazioni in settembre. Sull’isola greca è la popolazione a farlo con un museo e memoria condivisa

Massimo Franchi  17/09/2023

La «più grande strage di italiani compiuta durante la guerra» è figlia dell’8 settembre ma non ha un numero di morti né una data di inizio precisi.

Per celebrarne gli ottant’anni a Cefalonia non ci sono state cerimonie ufficiali da parte del governo italiano. «Qualcuno dell’ambasciata verrà a ottobre ma non si sa ancora quando».

Così a ricordare le migliaia di morti della Divisione Acqui trucidati senza pietà dai tedeschi – per ordine dello stesso Hitler che chiese espressamente di «non fare prigionieri» – sono gli abitanti dell’isola e le associazioni dei partigiani e dei sopravvissuti.

Ieri è cominciata la quattro giorni del “Tre patrie fest 2023”, “programma viaggio-laboratorio” organizzato da Cidi (Centro di iniziativa democratica degli insegnanti) di Torino come corso di formazione assieme a tante associazioni a partire dalla Fondazione Cefalonia 1941/44, presieduta dal professor Costantino Ruscigno, l’Osservatorio civico europeo, l’Istituto di studi federalistici Altiero Spinelli e l’Anpi di Lecco.

A COMMEMORARE L’ECCIDIO, come tutti gli anni, è stata la popolazione locale. Perché a Cefalonia «quei giorni in cui il sangue scorreva nelle strade e nel mare e c’erano corpi di morti dappertutto non se li dimentica nessuno».

La foto che vedete è stata scattata domenica scorsa a Cefalonia, ancora piena di vacanzieri. Ritrae il vicesindaco – signor Tsilimidos – e la nutrita comunità italiana che vive sull’isola. Si trovano all’interno del monumento che sorge poco fuori da Argostoli, la capitale dell’isola un tempo colonia veneziana che l’esercito italiano controllò – dopo l’intervento dei tedeschi – dal 1941 al fatidico settembre del ’43.

LA NUOVA RECINZIONE, completata fra luglio e agosto, reca nuovo lustro a un luogo comunque fuori dalle mappe turistiche. Il marmo, la sua forma trapezioidale con al centro la croce sovrastata dalle bandiere di Italia, Grecia e Unione europea, le tante targhe con elenchi di morti lo rendono solenne sebbene siano i piccoli biglietti o mattonelle attaccate ai muri esterni a dare meglio l’idea dell’importanza degli avvenimenti.

In una con un fiore blu si legge: “S’inginocchi l’Italia davanti alla croce stesa su questi eroi che per primi hanno aperto le porte alla libertà”. Un altro ricorda un sopravvissuto: “In ricordo di Rattinghieri Ivo, superstite della 33esima Divisione fanteria di montagna Acqui, mai dimenticò i compagni qui caduti ispirando la sua vita ai principi di pace, libertà e giustizia”.

A pochi chilometri verso il faro di San Teodoro sorge poi la famigerata Casetta Rossa, dove i tedeschi compirono la maggior parte delle esecuzioni di militari italiani: oggi è una casa privata e visitarla è assai complicato.Cefalonia, settembre 1943. Museo Nazionale della Resistenza

La memoria dell’eccidio viene portata avanti anche in pieno centro nel piccolo ma ricco museo. Un museo molto particolare anche negli orari di apertura: «Ogni sera intorno alle 20,30», recita la scritta in italiano, greco e inglese. Sul fondo giallo che sovrasta la porta finestra d’ingresso si legge: «In memoria della Divisione Acqui», sempre in tre lingue.

Tutte le sere gli italiani che abitano stabilmente sull’isola si alternano e accolgono connazionali e turisti, colpiti da quello strano luogo in mezzo allo struscio fra un negozio alla moda e un bar.

NON È PIÙ GRANDE di una stanza ed è stipato di foto e documenti appesi alle pareti. La bandiera della pace che troneggia sul tavolo rende bene l’idea dello spirito con cui è stato messo in piedi: «Il museo è aperto al pubblico grazie al volontariato dei soci e l’ingresso è gratuito».

LA DOMANDA PIÙ FREQUENTE da parte dei turisti italiani e non è: «Quanti morti ci furono alla fine». La risposta parte i tedeschi – con pazienza e precisione. sempre da una premessa: «Noi non siamo storici». Seguita dalla stima che oggi va per la maggiore tra la categoria: «Fra i 5 e 10 mila uomini».
Una indeterminatezza che rimarrà all’infinito proprio a causa dell’ordine di Hitler del 17 settembre.

Sopraffatti dall’invio di migliaia di rinforzi e dai bombardamenti degli Stukas, gli italiani si arresero il 22 settembre. Poi iniziarono le esecuzioni sommarie che negli ultimi anni gli storici hanno ricostruito aver fatto tra le 1.400 e 3.600 vittime.

I loro corpi vennero buttati nelle fosse comuni, bruciati o gettati in mare. A questo numero vanno poi sommati i morti nei trasferimenti nei campi di prigionia in Germania: due navi colpirono delle mine italiane, una fu affondata dagli alleati.

E PROPRIO SUL MANCATO intervento degli alleati si stanno concentrando le ultime ricerche storiche: Stati Uniti e Regno Unito non andarono a Cefalonia e in tutta la Grecia perché già nel settembre del 1943 le sfere di influenza erano chiare: quella zona era già assegnata all’Unione Sovietica. Per questo decisero di aspettare settimane intere per intervenire, complice anche il silenzio del governo Badoglio e dei Savoia.

L’ambasciatore dovrebbe venire a ottobre. Noi italiani, come tutti gli anni, abbiamo ricordato i nostri morti assieme ai greci perché non succeda mai più

La responsabile dell’associazione Mediterraneo è Anna Muscettola. Figlia di Giuseppe, tenente medico campano della Divisione Acqui che durante l’occupazione italiana sull’isola conobbe Maria Cappatu. Galeotta fu una strana febbre. «Non le passava e allora la sua famiglia decise di contattare il medico degli italiani che lo curò e se innamorò. Lui sopravvisse all’eccidio nascosto dai greci e alla liberazione si sposarono nella chiesa di Argostoli. Poi si trasferirono in Italia. A Napoli mia madre trovò altre donne greche mogli di italiani e le frequentò, sentendosi più vicina a casa. A Cefalonia tornammo tutti gli anni e io qua conobbi mio marito greco nel 1967. L’ho sposato l’anno dopo e quel giorno mio padre disse: “Una l’ho presa a questa isola e una l’ho data”. Da allora vivo qua e ora bado ai miei nipoti, naturalmente bilingui. Mio padre non c’è più. Ho deciso di tenere vivo il ricordo suo e di tutti gli italiani morti qua perché tragedie come quella non si ripetano più».

Una storia molto più vera e normale del melenso “Il mandolino del capitano Corelli”, filmone americano del 2001 in cui gli stereotipi dominavano la scena.

«Comunque noi dell’associazione Mediterranea non apparteniamo a nessun pensiero politico», ci tiene a precisare la signora Anna, da brava figlia di militare seppure medico.

LUIGI PINTOR PIÙ VOLTE sul manifesto fu uno dei pochi giornalisti a ricordare l’eccidio di Cefalonia che considerava «la prima pagina (dopo porta San Paolo) della Resistenza». Quando nel 2001 Indrò Montanelli criticò l’allora presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi per la sua visita a Cefalonia sostenendo che “i morti erano soldati in divisa sotto le bandiere del regio esercito”, Pintor gli rispose per le rime: «Si rivolterebbero nella tomba, quei caduti, se ne avessero una. Non avevano più bandiere, non avevano più un esercito, non avevano più una patria: questi simboli che li avevano mandati a morire, si erano dileguati lasciandoli soli. Il loro re, i loro alti comandi, il loro stato, erano disertori e imboscati. Qualcuno era nascosto lì vicino, a Brindisi, a due braccia di mare: moralmente morto senza aver combattuto».

Cefalonia

 LUIGI PINTOR 02/03/2001

Sui diecimila soldati e ufficiali della divisione Acqui, massacrati a Cefalonia nel settembre del 1943, avrò scritto almeno dieci volte. Sono anche andato nell’isola a cercare il cimitero militare che però non c’è, perché il maggiore von Hirschfeld che ordinò il massacro precisò che quegli italiani erano gente che non meritava sepoltura. C’è solo un piccolo monumento, una specie di ossario incavato nel terreno, puramente simbolico.
Ora è motivo di compiacimento che il presidente Ciampi vada ad onorare quei caduti e quel luogo, dove è stata scritta la prima pagina (dopo Porta S. Paolo) della Resistenza. Una pagina anomala e dimenticata perché, secondo Indro Montanelli, è stata scritta da soldati in divisa sotto le bandiere del regio esercito e in fedeltà alla patria.
Si rivolterebbero nella tomba, quei caduti, se ne avessero una e se leggessero i giornali. Non avevano più bandiere, non avevano più un esercito, non avevano più una patria: questi simboli, che li avevano mandati a morire, si erano dileguati lasciandoli soli. Il loro re, i loro alti comandi, il loro Stato, erano disertori e imboscati. Qualcuno era nascosto lì vicino, a Brindisi, a due braccia di mare: moralmente morto senza aver combattuto.
Quei diecimila decisero di resistere e di morire per referendum, un caso unico nella storia militare. Un caso unico perché unico, o molto raro, è il caso di un intero esercito abbandonato a se stesso. Non in un’isola greca ma su tutti i fronti, trenta divisioni nei Balcani, cinque divisioni sui colli fatali di Roma, soldati laceri e seminudi che risalivano o discendevano la penisola. Con una sola consigliera che vale per tutti, militari e civili, in simili circostanze: la dignità personale e una vaga speranza, in conflitto con l’istinto di sopravvivenza e la resa.
Tu Indro Montanelli che sei uno storico monarchico e dici sempre la verità, dilla tutta e nient’altro anche questa volta. Informa gli storici tedeschi tuoi amici che un’inchiesta su Cefalonia fu aperta e chiusa in Germania perché non trovarono testimoni oculari. Dì che Wiesenthal provò a curiosare ma fu fermato perché non c’entravano la Gestapo e le SS ma l’onore della Wehrmacht. Leggi il libro di Marcello Venturi (1963) e la prefazione di Pertini (1972). Leggi l’esperienza di Alessandro Natta con le stellette. E se della Resistenza hai un’idea e una memoria approssimativa, dicci tutto del re sabaudo di cui rimpiangi la statura.
Cefalonia è stata dimenticata perché è un monumento al fallimento storico e all’ignavia, oltreché di simili personaggi o di una casa regnante o di un regime politico, di un’intera classe dirigente. Ed è uno spartiacque insormontabile tra un prima e un dopo. E’ questa cesura storica che non si è mai voluta ammettere ma che nessun revisionismo mi farà mai dimenticare. Con questo spirito accompagno modestamente Ciampi nella sua visita. Se invece vogliamo ristabilire una continuità ho una proposta: possiamo traslare la salma regale nell’ossario dell’isola come se fosse lì dal 1943.

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