BRUXELLES STRONCA IL GOVERNO: “UNFIT” da IL MANIFESTO e IL FATTO
Dall’autonomia alla flat tax. Bruxelles stronca il governo
PIANI IN ARIA. La Commissione incalza l’Italia sul Pnrr. Ma le vere bacchettate sono sui provvedimenti bandiera. Male anche su green e catasto
Andrea Colombo 25/05/2023
Da Bruxelles fioccano bacchettate. Di ogni tipo e su tutti i fronti. L’occasione è la presentazione dei Report sulla situazione degli Stati dell’Unione: nel gruppo di pagelle presentate dai commissari Gentiloni e Dombrovskis quella dell’Italia è piena di insufficienze. Ci sono i ritardi del Pnrr, certo, ma lì i toni restano felpati: «Non ci sono significativi ritardi sinora ma chiediamo uno sforzo perché adesso viene la parte più pesante e c’è bisogno di un forte impegno, in particolare se si chiede di cambiare il Piano: siamo disponibili ma va fatto al più presto possibile».
Nella situazione data sono toni più che concilianti ma entro certi limiti. Il governo ha capito l’antifona e nei giorni scorsi Fitto ha inviato una lettera ai ministri coinvolti nel Pnrr fissando una data precisa. Entro la giornata di ieri voleva sul tavolo tutte le proposte di modifica del Piano dei vari dicasteri, in modo da poterle inviare entro fine mese a Bruxelles. Chissà se è riuscito a ottenerle: il quadro al momento dell’arrivo della missiva-ultimatum era ancora molto confuso.
IN OGNI CASO I RISULTATI della verifica sugli obiettivi del Pnrr verranno inoltrati alle Camere la settimana prossima, nella relazione semestrale. Poi inizierà la trattativa vera e propria con la Ue, a partire dalla visita semestrale dei tecnici della Commissione a metà giugno: dovrà concludersi comunque entro la fine di agosto. Il ministro, rispondendo al question time alla Camera, ha ripetuto che il governo ha adempiuto a tutti i provvedimenti necessari per sbloccare la terza rata del Recovery in soldoni apportando le modifiche richieste da Bruxelles. Che tuttavia non ha ancora sbloccato quei 19 miliardi fermi dal 28 febbraio.
Ma gli appunti sul Pnrr sono davvero il meno, punture di fioretto. L’ascia arriva quando si passa alle scelte politiche del governo, che la commissione passa per le armi una dopo l’altra. L’autonomia regionale? «Rischia di mettere a repentaglio la capacità del governo di indirizzare la spesa pubblica» con impatto negativo sulle finanze pubbliche e «sulle disparità regionali». Traduzione: scassa i conti pubblici e moltiplica la diseguaglianze.
Le prime misure introdotte dalla legge di bilancio sulla strada della Flat Tax? «Hanno portata ridotta e sollevano preoccupazioni in termini di equità ed efficienza del sistema fiscale perché riducono l’effetto di redistribuzione della ricchezza». Di sfuggita mettono anche «sotto pressione la sostenibilità del welfare». Se questo è l’antipasto ci si può figurare quale sarà il verdetto se e quando la Flat Tax verrà estesa.
TUTTO QUI? MACCHÉ! C’è ancora la sostenibilità dei conti pubblici. Al momento non desta preoccupazione, grazie al ritiro dei sostegni per la pandemia e la ripresa eccezionale dell’anno scorso. Però tra livello elevatissimo del debito e invecchiamento della popolazione, dunque anche della platea dei pensionati, «i rischi per la sostenibilità del bilancio sono elevati a medio e lungo termine». E la delega fiscale? «Aumenta i rischi legati all’equità e la riduzione degli scaglioni Irpef rischia di ostacolare la progressività del sistema tributario». La transizione ecologica? «Il sistema fiscale non la promuove a sufficienza» e l’Italia non ha realizzato «un’introduzione più rapida delle rinnovabili».
CON I BALNEARI qualche passo avanti è stato fatto ma le troppe proroghe ostacolano i progressi nel settore. Nulla di nulla invece sul catasto: i commissari sottolineano la mancanza col pennarello rosso. Le finestrelle sull’età pensionabile non sfuggono agli strali: basta con le misure temporanee che permettono pensionamenti anticipati. Opportuno anche un maggior controllo sulle principali banche, troppo esposte nei confronti del nemico russo. Per finire un consiglio certamente sgradito a tutto il governo ma in particolare al ministro Lollobrigida: per contrastare la bassa natalità si può ricorrere, almeno nel breve periodo, «alle politiche migratorie».
Insomma la Commissione non boccia questa o quella misura del governo italiano ma la sua intera impostazione di fondo, in particolare quando ci sono di mezzo le leggi indicate dalla Lega che resta la vera bestia nera a Bruxelles. In compenso sul Pnrr la Ue non calca affatto la mano: la contraddizione sembra essere il segno di una disposizione ambivalente nei confronti del governo e in particolare della sua premier, leader dei Conservatori europei. Un doppio registro che proseguirà almeno sino alle prossime elezioni europee.
La follia di usare il Pnrr per portarci al disastro
DOMENICO GALLO 25 MAGGIO 2023
ASAP è una sigla che nel linguaggio delle semplificazioni riassume l’aforisma “As soon as possible”, che indica la necessità di fare qualcosa il più presto possibile. Una somma urgenza è l’imperativo che ha dettato la proposta di un atto legislativo formulata dalla Commissione al Parlamento europeo, indicata con il medesimo acronimo di ASAP (Act to Support Ammunition Production). Secondo il commissario europeo Thierry Breton, si tratta di un piano “mirato a sostenere direttamente, con i fondi Ue, lo sviluppo dell’industria della difesa, per l’Ucraina e per la nostra sicurezza”. Una produzione di straordinaria necessità e urgenza, che deve essere velocizzata al punto da consentire deroghe alla legislazione ordinaria perché le fabbriche di armi e munizioni possano funzionare giorno e notte, sette giorni su sette, entrando in “modalità economia di guerra”. In pratica, per sostenere le imprese della difesa nella produzione di munizioni e missili destinati all’Ucraina, il provvedimento in questione preveda la possibilità di disapplicare le norme in materia ambientale, di tutela della salute umana e della sicurezza sul luogo di lavoro. Per il finanziamento di questa missione bellica, l’ASAP permette agli Stati membri di utilizzare il Fondo di coesione, il Fondo sociale europeo e il Pnrr. In verità il Trattato sull’Unione europea esclude che in materia di politica estera e di sicurezza comune si possano adottare atti legislativi, ed esclude la competenza della Corte di Giustizia dell’Unione, trattandosi di un settore di collaborazione intergovernativa, in cui le eventuali decisioni possono essere adottate solo dal Consiglio europeo e dal Consiglio, che deliberano all’unanimità (art. 21 Tue).
Il Fondo europeo di coesione, il Fondo sociale europeo e i fondi stanziati per il Pnrr sono destinati a finalità sociali per incrementare il benessere dei popoli europei, non possono essere distratti per la guerra o, nella migliore delle ipotesi, per incrementare i profitti dell’industria bellica.
Senonché, come dicono i francesi: À la guerre comme à la guerre! Quando siamo coinvolti in una guerra, non si può andare troppo per il sottile, bisogna stringersi a Corte. Le regole del diritto sono le prime a essere calpestate, i diritti sociali possono, anzi debbono essere sacrificati alle esigenze della produzione bellica, non ci si può preoccupare di tutelare l’ambiente o la salute dei lavoratori: più cannoni e meno diritti. E non si può neanche protestare senza il rischio di essere linciati come antinazionali. Il Parlamento europeo ha condiviso l’esigenza di fare presto (As soon as possible) e ha votato il 9 maggio per adottare, con procedure d’urgenza l’atto legislativo (inammissibile secondo il Tue), con 518 voti a favore, 59 contrari e 31 astenuti. Secondo le cronache, fra gli italiani hanno votato contro solo i deputati del Movimento 5 Stelle e l’on. Massimiliano Smeriglio del Partito Democratico, in dissenso dal suo Gruppo. Per effetto della procedura d’urgenza, il Parlamento europeo voterà sul disegno di legge durante la prossima sessione, che si terrà dal 31 maggio al 1° giugno a Bruxelles.
Questo voto del Parlamento europeo sarà la ulteriore certificazione che l’Unione europea e tutti i suoi Paesi membri sono coinvolti a pieno titolo nella guerra e sono pienamente impegnati ad alimentarla e a proseguirla, fino alla vittoria finale, come pretende Zelensky.
In un documento pubblicato dal New York Times del 16 maggio, firmato da 15 esperti – analisti, docenti, ex diplomatici, ex consiglieri per la sicurezza nazionale e soprattutto ex militari di grado elevato – viene rivolto un pressante appello al presidente degli Stati Uniti e al Congresso perché si ponga fine al più presto alla guerra con la diplomazia. I firmatari denunciano “il disastro assoluto della guerra russo-ucraina”, con “centinaia di migliaia di persone uccise o ferite, milioni di sfollati, incalcolabili distruzioni dell’ambiente e dell’economia” e il rischio di “devastazioni esponenzialmente più grandi dal momento che le potenze si avvicinano a una guerra aperta”.
Ricordano l’osservazione di John F. Kennedy, 60 anni fa: “Le potenze nucleari devono evitare un confronto che dia all’avversario la scelta fra ritirarsi umiliato o usare le armi nucleari. Sarebbe il fallimento della nostra politica e la morte collettiva”.
Della saggezza di Kennedy non è trapelato nulla nella zucca dei leader politici europei. Per costoro la guerra non è un disastro assoluto, che bisogna fermare al più presto. La pretesa di realizzare la pace attraverso la vittoria punta proprio a quello che Kennedy voleva evitare, cioè mettere l’avversario dinanzi alla scelta di ritirarsi umiliato o di usare le armi nucleari.
Di cos’altro abbiamo bisogno per renderci conto che stiamo correndo verso la catastrofe?
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