ASSANGE RIMANE SENZA CERTEZZE: LA TORTURA CONTINUA da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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ASSANGE RIMANE SENZA CERTEZZE: LA TORTURA CONTINUA da IL FATTO

Assange rimane senza certezze: la sentenza a data da destinarsi

LIBERTÀ ALLA SBARRA – Decisione rimandata. Udienza chiusa, vecchie accuse mai provate: non si saprà niente almeno fino al 4 marzo

STEFANIA MAURIZI  22 FEBBRAIO 2024

Londra. Udienza chiusa a Londra. Julian Assange rimane sospeso nel suo stato di totale incertezza sul futuro. Vita o morte. Per ora la realtà è il carcere. Chi si aspettava un verdetto subito sull’estradizione rimane deluso. Sulle spine almeno fino al 4 marzo. Nessuna certezza sulla data della sentenza. Intanto le accuse sono sempre quelle, gli Usa le ripetono dal 2010. Quattordici anni, come un disco un rotto. WikiLeaks ha messo a rischio vite umane, pubblicando centinaia di migliaia di documenti segreti che contenevano i nomi di informatori, fonti e contatti delle truppe e della diplomazia americana in Afghanistan, Russia, Iran, Cina e in altri paesi autoritari: rendendo pubblici quei nomi, Julian Assange e la sua organizzazione hanno messo in pericolo centinaia di persone vulnerabili, sostengono gli Stati Uniti da oltre un decennio. E ieri mattina, davanti ai due giudici della High Court di Londra, i legali che rappresentano gli Stati Uniti nel processo di estradizione di Assange, Claire Dobbin e Joel Smith, sono tornati a ripeterlo, citando quanto l’accusa aveva affermato il 20 febbraio 2020, quando il processo di estradizione si è aperto la prima volta: “Gli Stati Uniti sono a conoscenza di fonti, i cui nomi non redatti o la cui descrizione era contenuta nei documenti pubblicati da WikiLeaks, che sono successivamente spariti, sebbene gli Stati Uniti non possano dimostrare a questo punto che la loro scomparsa sia il risultato delle pubblicazioni di WikiLeaks”.

Quattro anni dopo, gli avvocati degli Stati Uniti continuano a non poterlo dimostrare. E allora perché continuare a dichiararlo anche davanti alla High CourtIl Fatto Quotidiano ha seguito il dibattimento a Londra fra difficoltà snervanti. Per due mesi le autorità inglesi non hanno voluto confermare a noi giornalisti l’accredito e le modalità di accesso, siamo stati informati solo il giorno prima dell’udienza, mentre ci imbarcavamo sul volo. File per ore davanti alla Corte, nessun posto garantito né per i parlamentari né per la stampa. Noi giornalisti siamo stati mandati prima su una galleria vittoriana senza tavoli per scrivere, dove era impossibile sentire quanto veniva discusso in dibattimento e capire chi parlava. Anche quando siamo stati ammessi nella maestosa aula della corte a cinque metri dai due giudici – pareti in pietra e legno, soffitto alto oltre dieci metri – l’acustica era così carente, che noi giornalisti abbiamo perso metà udienza.

Nessun nuovo argomento da parte delle autorità americane. Hanno ripetuto che le accuse contro Assange non sono di natura politica, come invece aveva sostenuto ieri la difesa di Assange, che aveva chiarito che il trattato tra Stati Uniti e Regno Unito proibisce l’estradizione per accuse di tipo politico. Per gli americani il fondatore di WikiLeaks ha pubblicato documenti classificati che hanno messo vite a rischio, anche se dal 2010 non hanno mai portato un solo nome di persona uccisa, ferita, imprigionata a causa di quelle rivelazioni. Non solo: nel 2013, durante il processo alla fonte di WikiLeaks, Chelsea Manning, davanti alla Corte marziale, il Brigadier General, Robert Carr, capo dell’Information Review Task Force, che aveva indagato per conto del governo americano sulle conseguenze della pubblicazione di quei documenti, aveva testimoniato di non aver trovato un solo esempio di persona uccisa. Undici anni dopo quel processo, gli Stati Uniti non hanno prodotto un solo nome. Durante il dibattimento di ieri, che la moglie, Stella Moris, il padre e il fratello di Assange hanno seguito con volti visibilmente segnati dalla preoccupazione, i legali americani hanno argomentato che WikiLeaks “ha pubblicato materiali che potevano essere studiati da gruppi terroristici”. Anche questa è un’altra accusa sentita e risentita, tanto che Manning, sulla base di questo argomento che i file pubblicati da WikiLeaks potevano anche essere letti da al Qaeda e dai nemici degli Usa, era stata incriminata “per aver aiutato il nemico”, un reato punibile con la pena capitale. Ma durante il processo era stata scagionata. Colpisce che, nell’udienza su Assange torni in ballo. “Ieri abbiamo portato alla Corte delle informazioni sui piani della Cia per rapire o uccidere Julian Assange”, dichiara al Fatto Jennifer Robinson, legale del fondatore di WikiLeaks, “l’ostilità della Cia verso Julian dimostra il rischio estremo che corre, se estradato negli Usa”.

“Ora si saprà quanto gli Usa insabbiano i loro crimini bellici”

STELLA MORIS – “Mio marito non sarà al sicuro lì: volevano ucciderlo…”

 STEFANIA MAURIZI  22 FEBBRAIO 2024

Londra. È uscita dall’Alta Corte di Londra alla svelta, accompagnata dagli avvocati del marito Julian Assange, Stella Moris, moglie del fondatore di WikiLeaks. E alla folla radunatasi davanti al tribunale nel giorno della seconda udienza d’Appello, in cui i giudici di Londra hanno esaminato gli argomenti delle autorità americane a favore dell’estradizione, ha detto: “Gli Stati Uniti stanno commettendo un un abuso del proprio sistema legale e cercando di perseguitare e intimidire tutti noi”. In ballo, continua Moris, “c’è la possibilità di rendere pubblici i crimini commessi dagli Stati. L’esito di questa udienza rivelerà l’ampiezza di questi insabbiamenti”. Però un esito ieri non c’è stato. I giudici hanno invece rimandato la decisione a data da destinarsi. Eppure questo è un processo cruciale, continua a ripetere la moglie di Assange: perché “stabilisce in sostanza se egli vivrà o morirà”. Le abbiamo rivolto qualche domanda prima dell’inizio dell’udienza di ieri. Domande alle quali Stella Moris ha risposto sulle condizioni di Assange, anche ieri non presente in aula per motivi di salute, nonché sul futuro che lo aspetterebbe se venisse estradato.

Gli Stati Uniti continuano a sostenere che le pubblicazioni di WikiLeaks hanno messo a rischio le fonti che parlavano con la diplomazia americana. Come rispondete a queste accuse?

Gli Stati Uniti ripetono le argomentazioni che il Pentagono ha fornito loro. Sono tesi prive di fondamento, ma su cui Washington insiste per cercare di portare i giudici dalla propria parte.

Anche oggi suo marito non ha potuto partecipare all’udienza per motivi di salute. Come sta?

Avrebbe voluto molto partecipare di persona all’udienza, ma non sta bene, non ce la fa.

Ieri la difesa di Julian Assange ha sostenuto che, sotto la direzione di Mike Pompeo, la Cia ha elaborato piani per uccidere o rapire Assange. Queste accuse ora sono al centro di un’indagine penale dell’autorità giudiziaria spagnola. È preoccupata che, in caso di estradizione, suo marito possa essere esposto a rischi di azioni extragiudiziali?

Julian non potrà mai essere al sicuro negli Stati Uniti: è il Paese che ha tramato per assassinarlo. A prescindere da quello che potrà fare l’attuale amministrazione, il Regno Unito sa bene che può accadere di tutto una volta che Julian si troverà sul suolo statunitense, soprattutto ora che mancano pochi mesi alle elezioni presidenziali..

Se Assange venisse estradato, lei e i suoi figli vi trasferirete negli Usa per stargli vicino?

Non sappiamo cosa accadrà, ma io e i nostri figli lotteremo sempre per la libertà di Julian, ovunque ci porti la battaglia.

La spia che venne dal Pincio

Marco Travaglio  22 FEBBRAIO 2024

Nel 2003 Giuliano Ferrara, direttore del Foglio berlusconiano, confessò con fierezza che nel 1985-’86 aveva fatto l’“informatore prezzolato della Cia” e si era “lasciato corrompere senza troppi problemi” da un “giovane sveglio e simpaticissimo agente americano” che lo pagava in “dollari avvolti in una busta giallina, fantastica, del peso giusto. E perdere l’innocenza era meraviglioso. Qualche conversazione avveniva al Pincio” e “il passaggio di mano della busta aveva qualcosa di erotico”. L’Ordine dei giornalisti riuscì a non fare nulla e ora ci tocca pure leggere la spia Ferrara che dà lezioni di deontologia ad Assange. E si permette pure di irridere le sue drammatiche condizioni dopo 13 anni di cattività: “Si è sposato, ha fatto due bei figlioli” e ora “l’augurio è che in carcere il riscaldamento funzioni meglio che nella tana del lupo siberiano”, ma soprattutto che il reprobo rifletta “su quel lancio di agenzie rubate in libertà, altrimenti 175 anni sono anche pochi” (oltre che una spia, Ferrara è anche un noto garantista). La differenza fra l’Impero del Bene e quello del Male è tutta qui: il primo, se fai il giornalista e dai notizie vere, ti arresta, ti seppellisce vivo ma malato in galera, poi ti condanna a morte o a vita; il secondo, se fai l’oppositore xenofobo, ti arresta, ti condanna a 21 anni e ti fa o ti lascia morire.

Intendiamoci: in un Paese in cui La Stampa non dedica una riga all’udienza su Assange a Londra, Repubblica un trafiletto affogato nelle sette pagine quotidiane su Navalny e il Corriere un cazziatone di Aldo Grasso a Riccardo Iacona per avere “sposato la causa di Assange”, definito “attivista che non ha mai fatto giornalismo d’inchiesta” (vuoi mettere le inchieste di Aldo Grasso), ma ha commesso “reati” (quali, visto che nessuno l’ha condannato?), c’è da rallegrarsi perché almeno il Foglio mette Assange in prima pagina. Poi, certo, mente spudoratamente secondo le usanze della casa: abituato a contar balle fin da piccolo, Ferrara non può che detestare Assange che dava notizie vere. Infatti lo accusa di aver messo a “serio rischio l’incolumità di informatori e soldati della Cia e del Pentagono” e le loro “magagne senza le quali la nostra libertà non esisterebbe”. Ora, Assange non ha messo a rischio la vita di nessuno e la nostra libertà esisterebbe anche se Cia e Pentagono non avessero sterminato un milione di innocenti tra Afghanistan e Iraq né torturato prigionieri ad Abu Ghraib e a Guantanamo (dove le torture continuano). Anzi, se i crimini documentati da Wikileaks non fossero stati commessi, oggi avremmo qualche titolo a dare lezioni di democrazia a Putin. A proposito: i “giornalisti” pagati dalla Cia dovrebbero allegare i bonifici sotto la firma e farvi seguire l’articolo. Se avanza spazio.

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