ADESSO È ORA DI DIRE BASTA CON L’EMERGENZA da IL MANIFESTO
Adesso è ora di dire basta con l’emergenza
EVENTI NON PIÙ ESTREMI. Dopo un lungo periodo di siccità che ha colpito questo inverno il Nord Italia ecco arrivare bombe d’acqua, piogge intense che hanno provocato l’alluvione di una parte importante del territorio […]
Tonino Perna 19/05/2023
Dopo un lungo periodo di siccità che ha colpito questo inverno il Nord Italia ecco arrivare bombe d’acqua, piogge intense che hanno provocato l’alluvione di una parte importante del territorio romagnolo con vittime e danni materiali ingenti. Ancora una volta, come da copione, la Regione Emilia Romagna chiederà lo stato di emergenza e inizierà la trattativa col governo per ottenere più risorse finanziarie possibili. Dopo aver seppellito le vittime di questa alluvione, aver sentito i soliti discorsi dai ministri di turno, tutto riprenderà come prima. Ci domandiamo: si poteva prevedere questo ciclone che ha colpito così durante il territorio emiliano-romagnolo? No, con un sufficiente anticipo. Gli eventi estremi, come cicloni, tifoni, trombe d’aria, bombe d’acqua, tormente di neve o di vento, sono prevedibili, rispetto all’impatto di un determinato territorio, solo 24-48 ore prima che il fenomeno si verifichi. E mai con esattezza assoluta. Ecco perché alcune volte, come tutti abbiamo riscontrato, viene dichiarato, in una determinata città, l’allarme meteo arancione o rosso, chiuse le scuole, e poi l’evento si verifica magari a venti-trenta chilometri di distanza, o all’ultimo momento non si verifica proprio per un improvviso cambiamento della direzione dei venti.
Ma se non è prevedibile esattamente il giorno e l’ora in cui un determinato territorio verrà colpito da questi fenomeni è ormai noto che gli «eventi estremi» sono sempre più intensi e sempre più frequenti. E non abbiamo visto ancora niente. Saremo sempre più esposti di fronte a questi fenomeni traumatici che abbiamo provocato immettendo, in poco tempo, una quantità enorme di anidride carbonica che ha fatto saltare l’equilibrio atmosferico, secondo quanto sostenne il Nobel Prigogine per i gas in un sistema chiuso, quando solo un elemento cresce in maniera esponenziale, generando le cosiddette «fluttuazioni giganti». In altri termini siamo entrati in una fase caotica del meteo di cui dovremmo prendere coscienza e pensare ai rimedi possibili. Ci sono per altro dei dati che parlano chiaro. Come per i territori a rischio sismico, così per le alluvioni abbiamo dei territori più esposti ed altri meno. I dati dell’Ispra sono eloquenti: l’Emilia Romagna è la regione con la percentuale più alta di territorio a rischio alluvioni, con la più alta percentuale di abitanti e di immobili ad alto rischio di essere travolti dalle alluvioni. Non si può dire che la Regione Emilia-Romagna non abbia fatto niente per curare questo territorio e prevenire le esondazioni, ma la normale amministrazione non basta più nell’era degli eventi estremi.
Occorre ripensare le città, i trasporti, la messa in sicurezza dei fiumi, la canalizzazione delle acque, approfittare dei periodi di siccità per allargare gli alvei e rafforzare gli argini, così come occorre munirsi di riserve d’acqua per i lunghi periodi di siccità. Insomma, si tratta di uscire dalla gestione ordinaria per sottoporre i territori ai cosiddetti “stress test”, ovvero a simulare l’impatto di eventi estremi per verificare la resilienza di una determinata zona, città o campagna. E questo vale per tutti, nessuno si può chiamare fuori. Se invece continuiamo ad invocare, di volta in volta, l’emergenza, a non prendere atto che dobbiamo fare i conti con un cambiamento strutturale, ne usciremo con un territorio devastato. Tutto è diventato Emergenza. Un incremento dei flussi migratori è un’emergenza, la siccità prolungata è un’emergenza, la pioggia intensa è sempre un’emergenza, come la mancanza di case per gli studenti o la disoccupazione giovanile. Tra poco arriverà la stagione degli incendi e riempiranno le prime pagine dei giornali e saremo ancora una volta impreparati. Basta con queste emergenze inventate di fronte a fenomeni strutturali. La vera emergenza è questo governo che dovrebbe preoccuparci ed allarmarci seriamente.
Quando piove come dio la manda
L’AMBIENTE A PAROLE. Di fronte a una calamità naturale, è facile dire che così è la natura, come è altrettanto facile lamentarsi delle autorità (gioire per questo, come fanno gli sciacalli della destra, […]
Pier Giorgio Ardeni 19/05/2023
Di fronte a una calamità naturale, è facile dire che così è la natura, come è altrettanto facile lamentarsi delle autorità (gioire per questo, come fanno gli sciacalli della destra, è meschino). Davanti al dramma, si dice, «non è il caso di fare polemiche». Il disastro cui stiamo assistendo, però, non è solo colpa di Giove pluvio. Una pioggia intensa, in breve tempo, può accadere. Ma, e questa è la prima domanda, eravamo preparati? Certo, non si può prevenire tutto, le calamità sono così. Ma non lo sapevano i nostri amministratori e governanti che gli alvei dei fiumi vanno ripuliti, che gli scoli non funzionano se vengono tombati, che le piogge percolano a valle se le pendici dei monti sono state erose? Quanti e quali investimenti strutturali non sono stati fatti per tenere in ordine fiumi e canali, anche per contenere i danni causati da eventi eccezionali, in realtà, sempre più frequenti, come ci ricorda chi studia il cambiamento climatico?
La regione Emilia-Romagna è terza in Italia per consumo di suolo e prima per consumo di suolo in aree alluvionabili. Tra le province che hanno più cementificato, quattro sono nella regione e Ravenna è seconda solo a Roma, secondo gli ultimi dati Ispra. La capacità di assorbimento idrico del suolo è stata sistematicamente ridotta, rendendolo impermeabile – se su un campo cadono 10 mm d’acqua in superficie ne rimane 1, se cadono su un’area asfaltata ne rimangono 6. Così, enormi masse d’acqua non sono più smaltibili dalla rete fluviale e dei canali e, quando si hanno eventi atmosferici anomali, assumono la dimensione del disastro, fiumi e torrenti esondano e le città vanno sott’acqua. Del dissesto idrogeologico ci ricordiamo quando c’è una catastrofe – com’è stato a Ischia – per poi scordarcene. Noi cittadini ce ne dimentichiamo.
Ma chi ci amministra, e ha promesso di farlo, non dovrebbe dimenticarsene. Anche sul piano del rischio idrogeologico, secondo quanto dicono i dati, la regione Emilia-Romagna primeggia. Abbiamo Leggi Regionali che permettono incrementi d’uso del suolo tra i più alti d’Italia, cui si aggiungono gli interessi dei Comuni (per gli oneri di urbanizzazione che ne ricavano), dei privati e delle imprese a cementificare, in nome, sempre, dello sviluppo, che sapientemente i nostri politici coniugano con le paroline che rassicurano, come occupazione e benessere. In Regione governa il centrosinistra, come a Bologna e in vari altri comuni della Romagna.
A Roma, governa la destra. Entrambi, però, hanno un unico faro: lo sviluppo. Ma è proprio questo sviluppo che va cambiato. Se continuiamo a destinare vaste aree di terreno fertile a piattaforme cementificate per la logistica e le industrie non facciamo che perseverare in una direzione che porterà solo danni. Costruire nuove strade e edifici – con tutto il patrimonio edilizio abitativo e commerciale già inutilizzato o abbandonato – è folle. Ora c’è in programma una grande arteria viaria a 18 corsie che circonderà Bologna.
Una bella, enorme colata di cemento e asfalto, con annessi piazzali per distributori di benzina e servizi. Sarà per fluidificare il traffico, si dice, che così non farà che aumentare, invece di diminuire. Aumentando l’emissione di gas nocivi, riducendo ulteriormente la superficie di suolo libero. Perché, invece, non potenziare i trasporti pubblici, investendo in 10mila navette e autobus? Perché non favorire il trasporto su rotaia?
La collina e la montagna sono state abbandonate. Rimboschimenti fasulli – conifere ovunque, dove non cresce il sottobosco, terreni argillosi lasciati franare, tamponati con cemento -, la montagna disabitata, con nessuno a presidiare il territorio. E come si fa, del resto, a risiedere dove non c’è più un ospedale, un ufficio, una fabbrica, e tutto intorno è deserto?
Forse che nei programmi di chi è stato eletto non vi fosse una sincera vocazione ambientalista? A Bologna come in Regione il “verde” è sempre stato in cima alle priorità, non v’è chi non si dichiari «a favore dell’ambiente». Ma poi, sotto la vernice verde, sopravvive il buon vecchio sano modello di sviluppo industrialista. Che rende felice il consumatore, l’automobilista, il buon cittadino medio (anche perché non c’è autobus o treno). Salvo poi piangere se la città gli si allaga.
Cambiare modello di sviluppo non dovrebbe voler dire solo cambiare stili di vita e consumi. Dovrebbe voler dire prendersi cura diversa del territorio e della natura. Spendendo per prevenire, tutelare e curare, non intervenendo solo nell’emergenza, quando piove come dio la manda. Smettendola di mangiarsi suolo e terreni perché, come vediamo, la natura risponde e ce la fa pagare (cara). Se c’è una sinistra ambientalista, che batta un colpo, per favore, contro i responsabili prima che sia troppo tardi.
Chiediamo scusa ai giovani «imbrattatori» di opere d’arte
Una verità sconvolgente su questa classe dirigente, quella che governa ora, ma non è senza colpe neppure chi ora è all’opposizione: riparare i danni frutta più soldi che prevenirli
Massimo Serafini 19/05/2023
Forse bisognerebbe chiedere scusa agli «ecovandali», quei giovani che imbrattano i muri con vernice lavabile per segnalare coi loro gesti che a queste tragedie saremmo arrivati, che le famose opere d’arte sui cui vetri tiravano pomodori ben altri pericoli correvano, quelli di rimanere sommerse, portate via dalle devastanti piene che le piogge intense e concentrate del cambiamento climatico, sono la normalità in un paese che da tempo si sta tropicalizzando.
CIÒ CHE NON È PER NULLA normale è che ad ogni pioggia, modesta od eccezionale che sia, siano sistematicamente associati morti, devastazioni, frane ed alluvioni. Anzi più a fondo si guarda e più emergono le colpe e le responsabilità: di aver autorizzato un’occupazione del suolo demenziale ed infinita, spesso abusiva che, a fronte di una popolazione di cui si lamenta la bassa natalità ha raddoppiato negli ultimi vent’anni il patrimonio abitativo e disseminato l’Italia di opere pubbliche per la maggior parte inutili, mal scelte, mal ubicate o semplicemente dannose.
Due parole fanno capire le responsabilità dell’intera classe dirigente: disastro colposo. Perché non hanno fatto nulla pur conoscendo i dati sconvolgenti che sette comuni italiani su dieci sono in dissesto e a rischio di frana o inondazione.
Mentre l’Emilia Romagna andava sott’acqua loro tagliavano le risorse alla difesa del suolo lasciandole invece per il Ponte sullo Stretto che unirà la Calabria che sprofonda alla Sicilia che a sua volta frana e si allaga, un bel monumento alla inutilità e alla stupidità, oltre che l’ennesimo favore alla speculazione mafiosa.
NON CI PUÒ ESSERE però una valida alternativa a questo governo delle destre se per chi si candida ad esserlo non diventa priorità politica e programmatica ciò che gli e le ambientalisti ripetono da decenni: la più grande e urgente opera pubblica di cui questo paese ha bisogno è la messa in sicurezza del suo territorio.
C’è una verità sconvolgente su questa classe dirigente, quella che sta governando, ma non è esente da colpe neppure chi ora sta all’opposizione: riparare i danni frutta più soldi che prevenirli.
Perché meravigliarsi e indignarsi, mi chiedo, se la notte di uno del tanti terremoti che hanno devastato l’Italia, qualcuno rideva? Sono certo che altri avvoltoi, della stessa risma di questi, staranno fregandosi le mani, davanti agli uffici del presidente della regione Emilia Romagna pensando agli affari che faranno per riparare i danni delle alluvioni.
IL PANE CON CUI si cibano questi speculatori è la cultura dell’emergenza continua, che i decisori politici alimentano.
Nel declino della struttura industriale del paese, due settori invece crescono e si sviluppano: quello delle armi e quello delle catastrofi, che ricostruisce le case crollate, le strade franate, gli argini travolti e lo fa senza mai prima conoscere e riparare la terra su cui sta ricostruendo. Fino a che la cultura dell’emergenza prevale su quella della prevenzione e manutenzione il coma territoriale del “bel paese” crescerà e il comitato d’affari aspetterà ansioso che la prossima catastrofe lo riempia di soldi.
Si destinino le risorse per finanziare i tre capisaldi di una politica di prevenzione: la conoscenza del territorio, la sua manutenzione e rinaturalizzazione e la diffusione su di esso di presidi tecnico scientifici.
Conoscere, per fornire una carta del rischio, a scala 1:5000, che dica con chiarezza a chi amministra dove si può costruire e infrastrutturare e dove no. ma anche quanta terra va restituita al fiume delocalizzando per garantire più sicurezza alla cittadinanza.
MANUTENERE e rimboschire per garantire il miglior deflusso delle acque e il più efficace consolidamento delle frane. Infine presidi tecnici permanenti in ogni bacino idrografico per informare costantemente le popolazioni e chi le amministra sullo stato del territorio e sulle conseguenze di una perturbazione. In quale cassetto polveroso è stata dimenticata la legge 183 di difesa del suolo con le sue autorità di bacino e la sua scelta pianificatoria?
A BEN VEDERE TUTTO ciò costerebbe meno di quanto costa ricostruire dopo il disastro, soprattutto offrirebbe più lavoro e maggiore protezione alle popolazioni.
Non è la cementificazione passata che va denunciata, ma quella futura già prevista e finanziata. Chi si indigna per come è stato trattato il territorio abbia il coraggio di dire ad ogni sindaca/o che butti nel cestino tutte le opere previste, o che il disastro emiliano romagnolo deve spingere a mettere in discussione i propositi fossili di questo governo perché bruciare gas e non installare le energie rinnovabili non ci fa transitare da nessuna parte, tantomeno nella sostenibilità, ma continua solo a esporci a maggiori pericoli.
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