Giuseppe O. Longo | Ridondanza, ambiguità e linguaggio
di Giuseppe O. LONGO –
[il testo è tratto dall’articolo Informazione, ridondanza, ambiguità, pubblicato su «Aperture. Rivista di cultura, arte e filosofia», n. 14/15, 2003, https://www.aperture-rivista.it/]
La ridondanza
A questo proposito, una delle caratteristiche più importanti dei fenomeni comunicazionali è la ridondanza. La definizione che darò di ridondanza è molto generale. Forniamo a un osservatore una configurazione (una figura, uno scritto, una successione numerica…) in parte coperta, in modo che l’osservatore possa osservarne solo una porzione. Se dalla parte visibile l’osservatore può ricavare inferenze sulla parte nascosta, cioè se può congetturare la configurazione nascosta con esito migliore di quello puramente stocastico, allora la parte visibile contiene informazioni su quella nascosta e nel suo complesso la configurazione è ridondante. Quando la parte nascosta viene scoperta, essa fornisce all’osservatore una quantità di informazione (o di “sorpresa”) minore di quanto gliene avrebbe fornita se egli non avesse avuto accesso alla parte scoperta. Al limite, se la parte scoperta consente di risalire univocamente e completamente a quella nascosta, questa, una volta disvelata, non fornisce alcuna informazione che l’osservatore già non possegga. Naturalmente la presenza di ridondanza e la sua quantità dipendono, come l’informazione, dal singolo osservatore, dalle sue capacità di osservazione e di associazione, dalla sua storia, dal suo addestramento e così via.
Dal punto di vista comunicativo in genere, e in particolare dal punto di vista tecnico, le implicazioni della ridondanza sono enormi. Per esempio nel caso di uno scritto la ridondanza conferisce robustezza al testo, cioè consente di ricostruirlo anche quando ne venga distrutta o distorta una parte. Nella lingua parlata le vocali sono quasi sempre ridondanti, ma consentono di articolare in modo comprensibile il discorso e si oppongono al suo deterioramento. Quindi la ridondanza si oppone validamente ai disturbi e alle interferenze nella comunicazione: tutta la teoria matematica dell’informazione è in fondo uno studio sul rapporto tra informazione e ridondanza. e sui metodi per eliminare o introdurre ridondanza nel flusso dei messaggi.
La ridondanza è strettamente connessa con il significato (per Gregory Bateson ridondanza e significato sono quasi sinonimi): come ho detto, una figura contiene ridondanza quando da una sua parte possiamo risalire con buona probabilità al tutto, cioè quando osservandone quella parte possiamo dire “ho capito che cosa rappresenta la figura, ne ho colto il significato!”. Si pensi al caso di certe forme o figure “ovvie” e molto frequenti, come la circonferenza, di cui si offra all’osservatore solo una porzione (una semicirconferenza). L’osservatore è spinto a interpretare la semicirconferenza come parte di una circonferenza sulla base di considerazioni di simmetria, cioè di una particolare forma di ridondanza. In questo completamento l’osservatore si basa sul significato, il quale a sua volta riassume numerose esperienze precedenti dell’osservatore: essendosi imbattuto molte volte in figure simmetriche, egli applica al caso attuale questa sua esperienza.
Se invece una figura è priva di ridondanza ogni sua parte ci fornisce un quantità d’informazione che non dipende dalle parti già osservate. In tal caso la figura non ha struttura o significato, non si può “capire” o riassumere con una regola: le sue parti sono indipendenti tra loro, è una figura aleatoria, come la successione binaria di teste e croci che si ricava lanciando una moneta non truccata. Osservando per esempio una parte iniziale di questa successione non siamo in grado di fare sulla parte successiva previsioni migliori di quelle che potremmo fare senza osservare il tratto iniziale: testa e croce, ad ogni lancio, sono equiprobabili e questa è l’unico dato che possediamo per quanto lunga sia la successione che abbiamo osservato fino a quel momento. Non c’è modo di “capire” una successione binaria aleatoria.
L’ambiguità
L’ambiguità, in quasi tutte le sue manifestazioni, è collegata alla ridondanza e al significato, quindi è altrettanto difficile da racchiudere in una definizione. Tuttavia nella prassi comunicativa si osserva una convergenza verso un significato comune ai parlanti, per cui l’oggetto del discorso diviene progressivamente abbastanza condiviso e consente un’intesa comunicativa (e anche pragmatica). Talora invece, per diversi ordini di motivi, questa convergenza non ha luogo e in questi casi si può dire che la comunicazione è e resta ambigua.
L’ambiguità ha a che fare con l’interpretazione (semantica) di una situazione o messaggio da parte di un osservatore o destinatario. Dunque l’ambiguità non è intrinseca alla situazione o al messaggio, ma (come l’informazione e la ridondanza) è relativa all’osservatore. Riguarda il rapporto tra situazione e osservatore o tra messaggio e destinatario.
Consideriamo un gioco comunicativo tra sorgente e destinatario: la sorgente emette un messaggio parziale, attende l’interpretazione del destinatario, poi emette un prolungamento del messaggio che può o confermare l’interpretazione data o contraddirla. L’interpretazione consiste, schematicamente, nell’enunciazione da parte del destinatario di un ipotetico prolungamento del messaggio o di una regola in base alla quale è possibile costruire il prolungamento. Se il prolungamento poi fornito dalla sorgente coincide con l’ipotesi del destinatario, il prolungamento è ridondante e l’interpretazione si rivela corretta. Altrimenti contiene un’informazione nuova, in base alla quale il destinatario può rivedere l’interpretazione e ricavare un nuovo prolungamento o nuove regole per costruirlo. Si ha una trasgressione delle regole precedenti. Il fatto che la parte iniziale del messaggio possa essere prolungata in modi diversi e, a priori, tutti legittimi, o coerenti, si esprime dicendo che questa parte iniziale del messaggio è ambigua.
L’ambiguità contenuta nelle porzioni di messaggio emesse via via dalla sorgente, ambiguità che viene ridotta, ma non sempre eliminata, dai successivi prolungamenti, deriva da quella che si potrebbe chiamare la “povertà del messaggio”: ogni messaggio (parziale) contiene un’informazione finita, che non è in genere sufficiente a individuare la regola con cui costruire l’unico prolungamento del messaggio (infinito) che poi verrà generato dalla sorgente. Ogni messaggio parziale è compatibile con molti (con infiniti) messaggi completi: la sua ridondanza non autorizza un’interpretazione univoca. Si pensi al caso del fisico che riceve messaggi consistenti nei fenomeni osservati e che ne cerca un’interpretazione, cioè una teoria. Alla luce di fenomeni nuovi la teoria può sempre rivelarsi “sbagliata” e va sostituita con una teoria nuova.
Si consideri ad esempio una successione numerica (non aleatoria) infinita: ogni tratto iniziale (finito) della successione può sempre essere prolungato in infiniti modi, tutti compatibili con quel tratto. Ogni ulteriore prolungamento della successione via via offerto dalla sorgente elimina alcuni prolungamenti fin lì compatibili, ma ne restano sempre infiniti, più o meno plausibili. Tra questi l’osservatore può preferirne alcuni ad altri, in base a criteri personali come la semplicità, la bellezza, l’esperienza…
Tutte o quasi le situazioni hanno più “spiegazioni”, dove la spiegazione è un prolungamento o completamento plausibile della situazione. Fornire una spiegazione di una situazione, in altri termini, consiste nell’integrare o completare la situazione “visibile” con parti ipotetiche e nascoste della situazione a partire dalla ridondanza, cioè dal significato. Non è necessario che le spiegazioni compatibili siano tutte presenti all’osservatore in termini espliciti. Le molte interpretazioni possibili possono restare vaghe, a livello di una consapevolezza implicita e sfumata.
Se una situazione non contiene ridondanza (come accade per una successione binaria del tutto casuale, o una figura aleatoria), non esiste nessuna indicazione (significato) che possa essere estratta e sfruttata per costruirne un prolungamento. La situazione, non avendo significato, non può essere ambigua nel senso detto sopra, poiché non è interpretabile. Si situa al di qua del livello di ambiguità. Si potrebbe anche dire che si tratta di un’ambiguità di livello superiore, che l’osservatore può riassumere ricorrendo a termini come “casuale”, “aleatorio” e simili. Ciò potrebbe indicare l’esistenza di una gerarchia di livelli di ambiguità.
Lingua naturale e linguaggio scientifico
Nel linguaggio scientifico si cerca di rimuovere al massimo l’ambiguità. Poiché si privilegia la comunicazione rispetto all’espressione, si vuole trasmettere il contenuto in modo univoco. Ci si adegua insomma ai criteri di intercomunicabilità, ripetibilità eccetera dell’esperienza scientifica. A questo fine si costruiscono addirittura linguaggi formalizzati più o meno artificiali [..]. In particolare il linguaggio logico-matematico mira a una rimozione totale di ambiguità, anche se quest’aspirazione può essere attuata solo in parte, dato che non è possibile recidere del tutto il legame tra il linguaggio specializzato e il linguaggio ordinario, che funge da metalinguaggio.
All’opposto, nel linguaggio narrativo, e ancora più nel linguaggio della poesia, l’ambiguità ha una funzione importante, poiché serve a moltiplicare i significati, le metafore, le allusioni implicite ed esplicite. Qui l’ambiguità contribuisce al valore estetico dell’opera consentendone una pluralità di interpretazioni, nessuna delle quali a priori può arrogarsi il titolo di unica corretta. Naturalmente l’introduzione di ambiguità in un’opera letteraria (o la sua non rimozione) può essere effetto di una volontà e di un piano precisi oppure di un’operazione più o meno inconsapevole: i risultati possono avere valore artistico diverso nei due casi [1].
Questa differenza tra i linguaggi scientifici e quelli letterari si riflette nella difficoltà più o meno grande di tradurre un’opera in un’altra lingua. La difficoltà è minima per le opere scientifiche più formalizzate, che al limite non hanno neppure bisogno di essere tradotte essendo quasi prive del tessuto connettivale costituito dal metalinguaggio naturale, mentre può essere grandissima per le opere poetiche. Al limite la traduzione di una poesia può essere un’operazione impossibile [2].
Un’osservazione particolare, che si riflette sulle ricerche di intelligenza artificiale, riguarda la difficoltà di riprodurre in un programma per calcolatore l’uso e la comprensione di un linguaggio naturale. L’impostazione algoritmica, in cui si cerca di dettare regole che prevedano tutti i casi possibili, urta contro la natura ambigua e approssimativa del linguaggio naturale. Poiché interagisce continuamente con la parte non linguistica dell’esperienza umana, la lingua risolve spesso le ambiguità a livello pragmatico: le definizioni di una lingua naturale sono piene di eccezioni, e a loro volta le eccezioni presentano eccezioni (si pensi alla difficoltà di definire un termine comune, ad esempio “uccello” o “pesce”), senza che ciò costituisca grave impedimento alla comunicazione efficace. In una lingua naturale le definizioni esaurienti e complete sono poche o punte, e riguardano quasi sempre sottolinguaggi specializzati. In un sistema artificiale, che non ha esperienza extralinguistica, il ricorso alla prassi per risolvere le ambiguità è, almeno per il momento, quasi impossibile: la lingua naturale viene trattata dal programma di intelligenza artificiale come se fosse un sistema chiuso e le ambiguità vi restano incapsulate».
[1] A questo proposito si osservi che essendo l’opera letteraria (o figurativa) in sé conclusa, non esiste la possibilità di scartare un’interpretazione (di un lettore) a favore di un’altra (di un altro lettore) grazie a un “prolungamento” come invece avviene nel caso della successione numerica infinita sopra accennata. Da ciò una sorta di “impossiblità di principio” di un’interpretazione critica unica, corretta e definitiva di un’opera artistica o letteraria.
[2] Anche la parafrasi o riassunto è un’operazione che risente del contenuto di ambiguità del testo. Mentre si può riassumere un testo scientifico senza tradirlo troppo (di un teorema basta dare l’enunciato, eliminando la dimostrazione; oppure si possono dare dimostrazioni più o meno stringate, senza che questo comprometta in modo essenziale la trasmissione e la comprensione del risultato), riassumere un’opera letteraria può risultare difficile e rischia di dare risultati del tutto insoddisfacenti. Si pensi ancora alla poesia.
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