Tessere, narrare, ospitare. Forme del magistero femminile
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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Tessere, narrare, ospitare. Forme del magistero femminile

di Laura Marchetti*

1. L’identità narrativa e l’ospitalità

Forse, in effetti, noi siamo i testimoni – e gli artefici – di una certa morte, quella dell’arte di raccontare, dalla quale deriva quella della narrazione, in tutte le sue forme. Forse lo stesso romanzo è sul punto di morire in quanto narrazione…forse però nuove forme narrative, che non sappiamo ancora nominare, sono sul punto di nascere e che attesteranno come la funzione narrativa possa subire una metamrofosi ma non morire. Perché cosa sarebbe una cultura senza l’arte di raccontare?”[1]

C’è in queste parole di Paul Ricoeur, uno dei filosofi che più hanno riconosciuto il valore della narrazione, il senso di malinconia e di speranza per le sorti del racconto. Di esso piangiamo il lutto nell’epoca in cui la velocita delle tecnologie e l’imperialismo delle immagini visive rendono impossibile la pausa, la lentezza, l’attenzione, il piacere di essere riuniti e di prestare ascolto. Eppure abbiamo fede che rinasca sempre in nuove forme data la sua insostituibilità. Nel racconto c’è infatti la possibilità stessa della memoria, quella capacità del cervello di trattenere l’assente, che è poi la base di ogni conoscenza, di ogni apprendiento, di ogni azione educativa. Nel racconto inoltre vi è anche la possibilità dell’identità, qualcosa che, negli individui o anche nelle società, nelle culture, nelle nazioni, possa essere trasmesso in quanto dotato di senso perché, pur cambiando nel tempo, rimane fedele a se stesso[2].

L’identità, spiega infatti Ricoeur, può essere possibile solo“identità narrativa[3], ovvero attraverso quella mediazione che riporta il flusso di eventi, di azioni e di esperienze che caratterizzano la nostra vita, fra loro anche eterogenee e contraddittorie, all’interno dell’unità di una storia, di una vicenda trasmettibile agli altri (e magari anche ai figli, alle nuove generazioni). Nell’unità narrativa la comprensione della vita umana si illumina in quanto supera sia la concezione nichilistica della soggettività come una sequenza incoerente d’eventi (concezione pericolosa in quanto rende il “Sé” fluido, debole, conquistabile), sia la concezione della soggettività come una sostanzialità immutabile, inaccessibile al divenire (concezione altrettanto periolosa in quanto presuppone un “Sé” ostile all’altro e ad ogni apertura). Nell’identità narrativa c’è invece una concezione dinamica della soggettività che consente, senza che l’una prenda il sopravvento sull’altra, di sintetizzare sia la permanenza di una “identità-idem”, sia il cambiamento di carattere dovuto alle relazioni o alle circostanze temporali (l’“identità-ipse” o “ipseità”). Insomma il concetto d’identità narrativa permette di comprendere in che modo qualcuno possa rimanere la stessa persona nonostante i cambiamenti della sua vita, senza aver bisogno di ricorrere a un sé sostanziale, soggiacente e invariabile[4].

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*Il testo fa parte di Laura Marchetti, Per una didattica della carezza, Progedit, 2017.

Note al testo

[1] P. RICOEUR, Tempo e Racconto, Jaka Book, Milano 1987, vol, 2, p. 54.

[2] “La permanenza nel tempo è connessa con la nozione d’identità”, scrive P. RICOEUR in quello che, dopo la trilogia di Tempo e Racconto, è forse il suo saggio più importante sulla narrazione (P. RICOEUR, Sé come un altro, Jaca Book, Milano 1993, p. 240).

[3] P. RICOEUR, L’identité narrative, “Esprit”, 7-8, 1988, p. 295.

[4] Su questo si vedano i capitoli V e VI di Se stesso come un altro dedicati a “L’identità personale e l’identità narrativa” e “Il sé e l’identità narrativa”; si veda anche P. RICOEUR, La vita: un racconto in cerca di narratore, in Filosofia e linguaggio, a cura di D. Jervolino, Guerini e Associati, Milano, 1994, pp. 169- 185.

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