Storia dell’ambiente. Dieci domande a Piero Bevilacqua
Intervista di Giuseppe DI TONTO, pubblicata su «Il bollettino di Clio», novembre 2016
1) Lo studio dell’ambiente, della sua storia e delle relazioni che l’uomo ha da sempre costruito con esso rappresentano il centro di interesse di questo nuovo ambito della storiografia contemporanea che ha avuto il suo massimo sviluppo negli ultimi decenni del XX secolo. Tuttavia non si può dire che non ci sia un’eredità storiografica dalla quale hanno preso spunto i nuovi studi di storia ambientale: dalla scuola geografica di Vidal de la Blanche agli studi di Lucien Febvre e di Marc Bloch, dalle sollecitazioni di Fernand Braudel verso quella che lui chiamava la “geostoria” agli studi sul clima di Emmanuel Le Roy Ladurie per rimanere nell’ambito della storiografia francese. Per aiutarci ad entrare in questo mondo, potrebbe segnalarci quelle che, secondo lei, sono state le principali tappe di questo ambito dell’indagine storiografica fino ad oggi?
Bevilacqua. Indubbiamente, sul piano strettamente storiografico, sono questi i precedenti più rilevanti che anticipano e aprono i nuovi orizzonti verso la storia ambientale. Sul piano più latamente culturale non bisognerebbe tuttavia dimenticare gli apporti della cultura americana, che non sempre si presenta in forma di contributo storiografico, ma certamente introduce temi che troveranno ampi sviluppi nella ricerca storica successiva. Penso agli studi e ai dibattiti sulla wilderness, vale a dire la “natura selvaggia”, da tutelare di fronte all’avanzare dell’urbanesimo e dell’industrializzazione, che ha portato, in Usa, alla creazione dei primi parchi nazionali della storia già nella seconda metà dell’Ottocento, ai contributi di studiosi come David Thoreau (1817-1882) di John Muir (1838-1914), soprattutto agli scritti di una figura anticipatrice come quella di George P.Marsh (1801-1882), autore di un testo profondamente precorritore Men and Nature (1864) riscoperto nella seconda metà del XX secolo. E vorrei anche segnalare l’influenza più tarda soprattutto sul versante urbanistico, di Lewis Mumford, autore di The City in the History (1961, ora ripubblicato da Castelvecchi, 2013)
Sul piano strettamente storiografico direi che un punto di partenza importante è l’opera di Marc Bloch I caratteri originali della storia rurale francese (1931). Com’è noto, questo testo viene più o meno universalmente riconosciuto come il capostipite della storia agraria, un nuovo territorio della ricerca storica, e soprattutto del paesaggio agrario. Un’opera a cui si ispirerà il nostro Emilio Sereni con la sua Storia del paesaggio agrario italiano (1961). Ma è importante ricordare i contributi di Lucien Febvre, con testi come La terra e l’evoluzione umana (1923), che costituisce una serrata critica al determinismo geografico di ambito tedesco, tutta orientata a restituire agli uomini la libertà e la responsabilità di decidere il proprio destino, al di là delle avversità dell’ambiente naturale. Un libro che oggi risulta in buona parte datato, ma che per tanto tempo inserì i temi della geografia umana di Vidal De la Blache nella riflessione e nella ricerca storica. Sempre Febvre, nel 1935, scrive un libro sul Reno, Le Rhin. problèmes d’histoire et d’économie (pubblicato in italiano da Donzelli, 1997) facendo di questo grande corso d’acqua che attraversa il Nord d’Europa un soggetto storico. Una novità non da poco nella lunga tradizione storiografica occidentale. Stesso ardimento innovativo mostrerà più tardi Fernand Braudel, che nel 1949 pubblica la prima edizione della Mediterranée, un capolavoro della storiografia novecentesca, che fa del grande mare interno dell’Europa del Sud il centro di un affresco di popoli, di economie, di commerci e di paesaggi di impareggiabile fascino. Infine, come giustamente suggerito nella domanda, occorre ricordare lo studio pioneristico di Emmanuel Le Roy Ladurie, Histoire du climat depuis l’an mil (1967) che ricostruisce gli andamenti climatici di alcune regioni agricole della Francia sulla base degli andamenti delle vendemmie per un gran numero di anni. Un modo molto originale di utilizzare fonti archiviste, utili per ricostruire la storia agraria, al fine di analizzare le vicende di un nuovo soggetto storico: il clima. Naturalmente la storia del clima si è poi avvalsa, nei decenni successivi, di sistemi scientifici molto più sofisticati e sistematici di quelli che poté usare Le Roy Ladurie, ricavandoli dagli archivi monastici francesi.
Dunque, la storiografia francese della scuola delle Annales ha contribuito molto ad aprire territori inesplorati alla ricerca, a favorire nuove sensibilità nei confronti dei territori, degli spazi, delle geografie entro cui si svolge la storia umana. Ma va detto che si tratta, a ben valutare oggi questi autori – non è una diminutio, ma un’ovvietà – non certo di storia ambientale ante litteram, ma di storia economica. Una storia economica che guarda ai fiumi, alle terre, ai mari e alle montagne, come risorse e spazi protagonisti del processo economico, i cui primi agenti restano sempre gli uomini coi loro bisogni produttivi, di scambi, di vita. Un grande passo in avanti rispetto alla storiografia del passato, ma non si tratta della storia ambientale che guarda alla natura indipendentemente dal suo valore ed uso economico. Una storiografia, per intenderci, che incomincia a esprimersi, soprattutto in USA e in Germania e poi in Italia – curiosamente, ma forse significativamente, non in Francia, che dopo la grande stagione annalistica perde il suo smalto – a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso. Non c’è, dunque, io credo – e in quello che dico, ovviamente, c’è molto della mia vicenda personale, ma significativa, perché io sono stato per anni un affascinato studioso della storiografia annalistica – un passaggio naturale e immediato da Bloch e Braudel alla storia dell’ambiente. In mezzo c’è una profonda revisione culturale e teorica, un bagno nella letteratura ecologista internazionale, negli studi di Rachel Carson, Barry Commoner, nel pensiero filosofico di Edgar Morin, negli studi storico-teorici di Hans Immler, nelle ricerche dell’agronomia biodinamica, che metteva a nudo i limiti dell’agricoltura industriale, ecc.
2) Ma che cos’è la storia dell’ambiente? È possibile precisare il suo oggetto di studio, le caratteristiche costitutive di disciplina o piuttosto per la molteplice possibilità di approcci e di temi ci troviamo di fronte ad un campo di ricerca predisposto per sua natura alla contaminazione (si pensi ad esempio al rapporto con la geostoria), sfuggente quindi ad una rigida formalizzazione?
Bevilacqua. È certamente difficile racchiudere in un’unica formula la storia dell’ambiente. Intanto perché ci sono molte scuole nazionali, ciascuna delle quali è nata in un determinato contesto geografico a all’interno di una specifica tradizione culturale e storiografica. Per esempio negli Stati Uniti la storia ambientale ha privilegiato molto l’impatto della colonizzazione europea a partire dal 1492. In Europa, invece (vale a dire soprattutto in Germania e poi in Italia) continente di antichissima antropizzazione, hanno prevalso i temi della distruzione delle risorse e dei fenomeni di inquinamento generati dallo sviluppo industriale. Ma all’interno delle stesse correnti storiografiche nazionali ci sono, com’è naturale, diversità d’impostazione, di approcci, punti vista, ecc. Un autorevole storico tedesco, tanto per dare un’idea, Peter Sieferle, autore di studi importanti sulla storia dell’energia, ha ad esempio teorizzato una storia, capace di passare “dall’antropocentrismo al concetto di ecosistema”. Il che equivale a una storia ambientale in grado di ricostruire l’evoluzione della natura per mezzo delle discipline scientifiche (botanica, biologia, chimica, ecc.) in cui la vicenda umana diviene di fatto marginale, non è più centrale. D’altra parte, occorre considerare che si tratta di una disciplina ancora giovane, per cui ogni autore cerca sperimentalmente una propria strada, sia pure all’interno di una tradizione nazionale. Quel che si può sicuramente dire è che, indipendentemente dalle scuole e dalle tradizioni, la storia ambientale riconosce nella natura un soggetto storico, condizionato e modificato dagli uomini, ma la cui evoluzione conserva una relativa autonomia rispetto all’azione umana. Evoluzione che si manifesta con processi specifici da indagare tramite strumenti multidisciplinari, processi e fenomeni che non sono senza influenza sulla condizione e sulla storia umana.
3) Come è già accaduto per altri ambiti della ricerca storica, ad esempio la storia sociale, la storia dell’ambiente ha introdotto nel discorso storico nuovi soggetti spesso ignorati o poco analizzati, per fare solo qualche esempio: animali, fiumi, laghi, foreste, il paesaggio e le sue trasformazioni, il clima e i suoi andamenti, i prodotti e le condizioni di inquinamento della terra. In che modo essi vanno trattati? Quali domande occorre porsi nei loro confronti e come inserirli in un discorso più ampio di storia generale?
Bevilacqua. Ne abbiamo già parlato a proposito degli storici francesi. Io credo che le vicende di tali soggetti vadano affrontate soprattutto in una dimensione di storia locale, vale a dire con ricostruzioni che privilegino il rapporto tra le popolazioni e questi elementi fondamentali dell’habitat: laghi, foreste, terre, ecc. Un bell’esempio di storia di questo tipo è la ricostruzione che uno dei maggiori storici ambientali americani, Donald Worster, ha fatto del così detto dust bowl, letteralmente “palle di sabbia”, le tempeste di sabbia che negli anni Trenta del Novecento hanno sconvolto le campagne degli Stati centrali degli USA. Qui la prolungata siccità, seguita da tempeste di vento hanno devastato il top soil, cioè lo strato fertile del terreno, distruggendo i raccolti e le terre coltivate a grano di migliaia di famiglie contadine (Dust Bowl: The Southern Plains in the 1930s, 1979). In questa storia, centro ambientale della vicenda è il terreno, che uno sfruttamento intensivo ha esposto al processo erosivo degli agenti naturali, generando una delle più gravi grandi catastrofi ambientali del ‘900.
4) La storia dell’ambiente appare in tutta evidenza di estrema complessità per il suo intreccio di approcci e di studi che investono le scienze naturali e biologiche, l’economia, la demografia, le religioni, le culture. Modi diversi di osservare lo stesso tema con innegabili difficoltà che investono le fonti che lo storico deve identificare e padroneggiare. È possibile ricostruire un quadro sintetico di queste problematiche? Quali fonti, tra quelle disponibili, si rivelano di più facile uso nella didattica della storia?
Bevilacqua. Certamente la storia ambientale comporta un vero salto epistemologico, rispetto all’intera tradizione storiografica, fondata esclusivamente sui saperi umanistici, dei secoli e dei millenni precedenti. Possiamo dire che fino a pochi decenni fa il modo di fare storia da parte degli studiosi non era molto diverso, quanto a modalità e strumenti, da quello inaugurato da Erodoto o da Tucidide oltre due millenni fa. Del resto, ancora oggi, la maggior parte degli storici, soprattutto quelli dell’età contemporanea, sono fermi alla storia come puro racconto di fatti. Fino alla storiografia delle Annales, salvo isolate eccezioni, e poi più decisamente con la storia ambientale, la storia è stata semplicemente racconto di umane vicende, come se la natura non esistesse. Naturalmente oggi esistono le specializzazioni, che sono inevitabili e necessarie, per cui abbiamo una storia politica, la storia economica, la storia urbana, ecc. con una loro dignità scientifica. Ma la storia ambientale costituisce un contributo di tipo nuovo e diverso di sapere storico, che getta una luce prima inesistente sui rapporti tra gli uomini e le risorse, tra l’azione umana e gli equilibri degli habitat entro i quali si svolgono le nostre vite e dunque anche la nostra storia.
Quanto alle fonti credo che, per i fini dell’insegnamento, la storia ambientale costituisca un tipo di disciplina che introduce nuove fonti oltre a inediti approcci e punti di vista.
Sono per lo più (o possono essere soprattutto a fini didattici) anche fonti che si trovano fuori dalle biblioteche e dagli archivi, rinvenibili nelle campagne, nei territori, ma anche in prossimità di fabbriche inquinanti, lungo le coste del mare e le foci dei fiumi, ecc. Farò degli esempi rispondendo alle domande successive.
5) La possibilità e la capacità di periodizzare e tematizzare un ambito così complesso sarebbe di grande aiuto per i docenti che intendessero, a ragion veduta, introdurre percorsi di storia dell’ambiente nei curricoli scolastici di storia. Lei ce ne ha dato un interessante esempio nel libro La terra è finita. Breve storia dell’ambiente (Laterza, 2006), ripercorrendo le tappe più importanti “dell’alterazione della natura e dell’ambiente intorno a noi”. Il punto di partenza è l’ipotesi che la situazione attuale di degrado dell’ambiente abbia cause più o meno remote che hanno preparato la situazione attuale. Esse andrebbero identificate nei “fondamenti etici e religiosi di un atteggiamento di dominio dell’uomo nei confronti della natura”, nel successivo “esito estremo del dominio della scienza e della tecnica sulla natura” o in fattori più concreti e misurabili quali lo sviluppo della popolazione mondiale in rapporto alle risorse disponibili e l’esplosione della rivoluzione industriale e del sistema capitalistico come “modo specifico di sfruttamento delle ricchezze naturali”. Può aiutarci a sistemare anche attraverso una più puntuale periodizzazione queste quattro possibili interpretazioni delle origini delle condizioni ambientali del presente?
Bevilacqua. Allorché i fenomeni di inquinamento ambientale sono diventati universalmente evidenti, gli studiosi hanno cominciato a interrogarsi sulle cause remote e prossime di quanto stava avvenendo nelle società occidentali. Una delle cause è stata riconosciuta nel predominio della cultura religiosa giudaico- cristiana. Secondo alcuni studiosi, avendo posto l’uomo, quale soggetto dominante, al centro della Terra, tale tradizione ha spinto a un sfruttamento sempre più indiscriminato e distruttivo delle risorse del pianeta. Il primo e più coerente fautore di questa tesi è stato lo storico americano Lynn White, che ne 1967 pubblicò sulla rivista Science un saggio molto discusso dal titolo Le radici storiche della nostra crisi ambientale. Il saggio di White aprì un dibattito internazionale che si prolungò per anni, con alcune obiezioni importanti su cui qui non ci si può soffermare. Ne rammento solo una. In Giappone, che certo non appartiene all’ambito della tradizione giudaico-cristiana, già a fine Ottocento gli imprenditori hanno prodotto danni ambientali rilevanti nel corso della prima industrializzazione di quel paese.
A partire dagli anni Ottanta emersero altre spiegazioni e teorie. Una di queste, è quella che fu definita liberale o liberistica. In sintonia con i successi crescenti delle teorie neoliberiste, alcuni studiosi sostennero la tesi che la crisi ambientale, sempre più evidente nelle società di antica industrializzazione, era dovuta al fatto che molte risorse naturali non avessero un prezzo, non fossero “prezzabili”. Secondo costoro, in genere economisti di formazione, se si desse un prezzo ad ogni frammento di natura, essa non sarebbe distrutta come di fatto accade, ma sarebbe ben curata e riprodotta dagli imprenditori, i quali non hanno interesse a distruggerla, poiché possono continuare a valorizzarla e a ricavarci profitti. Insomma affidare l’ambiente alle regole del mercato consentirebbe la sua buona conservazione e gestione. Credo che oggi non ci sia bisogno di mostrare quanto ideologica, cioè falsa, rispondente ad interessi sociali particolari, sia stata una tale posizione, che pure ha goduto di un certo successo, ma che oggi non ha più alcun credito. Per gli imprenditori, infatti, la natura è teoricamente infinita, se si esaurisce una miniera si passa a un’altra, se si distrugge la Foresta Amazzonica, si ripiantano altri alberi, se si estinguono le balene per eccesso di caccia, si pescheranno altri pesci. Il mercato continua, perché la crescita è infinita…
Attualmente non ci si interroga più sulle cause, ma si da per certo che è il capitalismo dell’età contemporanea – con il gigantismo delle sue produzioni e dei suoi consumi – a dare alla crisi ambientale una dimensione globale e una prospettiva minacciosa per il nostro avvenire. Si pensi al riscaldamento climatico. Mentre in tutte le epoche passate i problemi dell’ambiente, che pure non sono mancati, neppure nella più remota antichità, sono stati sempre a scala locale.
6) “Il XX secolo inaugura senza alcun dubbio un ‘tempo nuovo’ nella storia del rapporto tra gli uomini e il mondo fisico. È in questa fase che appaiono fenomeni mai osservati fino ad allora. Nuovi pericoli, di portata mondiale, si presentarono per la prima volta davanti all’umanità. Si pensi all’ingresso della radioattività nucleare e alle armi atomiche… Oppure al buco dell’ozono… all’effetto serra…” così lei esordisce nel capitolo del suo libro già citato, dedicato ai nuovi scenari del Novecento. Siamo alle soglie del presente. Come disegnare questo periodo che insieme alla consapevolezza del problema ambientale ha prodotto la nascita di una coscienza ambientalista, mai così manifesta nel passato?
Bevilacqua. Oggi i problemi dell’ambiente si si pongono in diverse forme e dimensioni. Per un verso si presentano come carenza crescente di risorse. Pensiamo, ad esempio, all’acqua. Di fronte alla crescita mondiale della popolazione l’acqua appare e sarà sempre più scarsa. La maggior parte dei grandi fiumi della Terra, da Nilo al Fiume Giallo, dal Tigri al Mississippi, sono sempre più poveri di acqua per effetto dello sfruttamento e delle innumerevoli estrazioni cui sono sottoposti lungo il loro corso. Stessa tendenza alla scarsità è visibile per le terre fertili destinate all’agricoltura. In tutte le aree del mondo il suolo viene divorato dal cemento, dall’espansione urbana, da usi non agricoli o da usi agricoli e pastorali distruttivi. Non diversamente le foreste equatoriali, si pensi al caso dell’Amazzonia.
Ma i problemi dell’ambiente si presentano anche come danni, squilibri degli assetti naturali. Pensiamo allo smog cittadino, alle piogge acide, alla contaminazione del terreno per effetto di rifiuti, scarichi industriali, ecc. In tale ambito rientrano poi i problemi di scala planetaria come il buco dell’ozono e soprattutto il riscadamento globale, il Global warming, che rappresenta una minaccia grave per l’avvenire delle popolazioni sulla Terra.
7) L’attenzione verso l’ambiente, le sue trasformazioni nel tempo e la forte valenza educativa che questo tema ha nella formazione di un cittadino consapevole dei problemi del presente hanno aperto nuovi orizzonti anche nella didattica della storia. Tenendo conto delle caratteristiche interdisciplinari del tema, quali suggerimenti si possono dare ai docenti che intendono progettare e organizzare percorsi didattici nel settore della storia dell’ambiente, rivolti a studenti dei diversi ordini e gradi?
Bevilacqua. Ne ho già accennato, la storia dell’ambiente costituisce una disciplina in grado di cambiare profondamente la didattica della storia e direi la didattica in generale. Portare i bambini e i ragazzi in campagna, mostrare loro insieme a un botanico, un agronomo, a un chimico, come è fatto e come si è formato nel tempo un terreno fertile, il suo carattere di ecosistema, e come avviene il nutrimento di una pianta è utilissimo per insegnare le scienze e la storia al tempo stesso. Per spiegare, ad esempio, com’era l’agricoltura tradizionale e com’è diventata l’agricoltura industriale, come cerca di essere l’attuale agricoltura biologica, secondo quali metodi e sistemi e secondo quale concezione della natura. Si possono visitare i dintorni di una fabbrica e osservare gli effetti degli scarichi su territori circostanti. Una piccola inchiesta, fatta di interviste alle persone anziane che abitano nei pressi, il ripescaggio di vecchie foto può mostrare le trasformazioni storiche subite dai territori. Il coinvolgimento nelle lezioni di un bravo urbanista può mostrare ai ragazzi com’era il loro quartiere 50 anni fa e come è stato costruito, con quali criteri sono stati organizzati gli spazi collettivi, di quanta luce dispongono le loro case, quanto verde è stato conservato o creato, ecc. Una storia di breve periodo diventa anche, per i ragazzi, occasione di apprendimento scientifico (natura del terreno, qualità dell’aria, concetti dell’urbanistica, ecc.) e un accrescimento della loro consapevolezza civile mai sperimentata in passato. È davvero clamoroso che in Italia – Paese delle mille città – intere generazioni escano dalla scuola e dall’Università senza ricevere un qualche rudimento storico-scientifico di com’è stato costruito e organizzato lo spazio urbano in cui vivono, senza dunque avere la possibilità di giudicare la qualità della propria vita cittadina.
8) È possibile selezionare una serie di concettualizzazioni utili per lo studio scolastico della storia dell’ambiente, quali suggerimenti può dare ai docenti?
Bevilacqua. Certo, si possono utilizzare alcuni concetti-guida che corrispondono ad alcune delle più profonde scoperte scientifiche del mondo della natura. Forse il più importante, che è a fondamento della scienza ecologica, è quello di ecosistema, vale a dire un determinato habitat in cui convivono diversi esseri viventi, in relazione tra loro e con l’ambiente circostante, secondo meccanismi di reciprocità ed equilibri dinamici. Un altro concetto fondamentale è quello di biodiversità. La vita sulla Terra è animata da una straordinaria moltitudine di esseri viventi, frutto di una millenaria coevoluzione di animali, piante, clima, acque, ecc., che ha dato spesso luogo a una rete complessa di connessioni. A partire dalla luce solare, che mette in moto la fotosintesi clorofilliana, nascono piante di cui si nutrono ad esempio gli insetti, pasto a loro volta degli uccelli, predati a loro volta dai mammiferi o dai rettili, ecc. La natura è una rete invisibile e intricata, fatta di molteplici fili che si reggono su equilibri spesso ancora ignoti a tutti noi. Per questo i danni ambientali non consistono tanto nel saccheggio di risorse finite e non rigenerabili, ma anche nella rottura di equilibri nascosti, che spesso scopriamo a nostre spese. Il buco dell’ozono, ad esempio, causato dall’uso dei gas clorofluorocarburi, ci ha mostrato che noi viviamo sulla terra protetti da uno strato dell’atmosfera, che fa parte di un complesso equilibrio dei gas, senza il quale la nostra salute e forse la nostra vita sulla Terra non sarebbe possibile. Dunque, ecosistema. biodiversità, complessità, equilibri complessi, rete ecosistemica, sono concetti che possono arricchire in maniera rilevante l’intelligenza critica dei ragazzi e nutrire la loro formazione storica ed ecologica su solide basi scientifiche.
9) Un tema collegato alla didattica della storia dell’ambiente è quello della manualistica scolastica. In che modo, secondo lei questo tema viene preso in considerazione dagli autori? Come si dovrebbe correttamente dispiegare la storia dell’ambiente all’interno della storia generale dei manuali?
Bevilacqua. È un tema difficile da affrontare qui. Io ho una mia idea del manuale di storia che ho espresso in maniera sistematica nel libro Sull’utilità della storia (Donzelli,1997 e varie edizioni successive). Sono fautore di una storia insegnata per grandi problemi, non come racconto di fatti, e la storia dell’ambiente avrebbe bisogno di strumenti didattici pensati in maniera specifica e secondo nuove logiche.
10) Chiudiamo questa intervista con uno sguardo sulla storia dell’ambiente attraverso altre forme di narrazione. Le chiediamo di suggerire ai nostri lettori un romanzo, una poesia, un videogioco, un film che, secondo lei, possono essere usati per la realizzazione di percorsi di storia dell’ambiente?
Bevilacqua. Il romanzo che segnalerei è The Graspes of Wrath (1939) di John Steinbeck, Furore in traduzione italiana, da cui è tratto il film, dello stesso titolo, di John Ford. Ma aggiungerei altri due testi, che non sono romanzi, ma racconti di esperienze reali. Il primo è il libro diario di H. David Thoreau, Walden, ovvero la vita nei boschi (1854; edizione italiana: Donzelli, 2005, ma scaricabile anche dalla rete), racconto di una esperienza di solitudine a contatto con la natura. Il secondo è il breve, emozionante, racconto di J. Giono, L’uomo che piantava gli alberi, che ha conosciuto varie edizioni ed è rinvenibile anch’esso in rete.
È un testo che i ragazzi possono leggere rapidamente con vero entusiasmo. Per quanto riguarda la filmografia consiglierei Fast food nation, di R. Linklater, film documentario di denuncia della ferocia e insostenibilità che caratterizzano la catena alimentare americana. Si trova in rete. Ma a proposito di film, soprattutto per i bambini, mi sento di consigliare Avater (2009) di J. Cameron. Una favola ecologica di buon impatto emotivo. Sempre in tema di filmografia da mostrare in ogni classe, a scuola come all’Università, è il documentario di animazione The Story of Stuff (2007) narrato da Annie Leonard, La storia delle cose in italiano. È la storia della materia e delle sue trasformazioni, dalla miniera alla discarica dei rifiuti. Di breve durata è di una efficacia didattica, per grandi e piccini, straordinaria. È difficile indicare una poesia da utilizzare in una lezione di storia ambientale, dipende dalle intenzionalità didattiche dell’insegnante. Si può svariare da Foglie d’erba di Walter Whitman, che contiene tante liriche in cui è intensa l’esaltazione della vita e della potenza delle forze naturali, ai nostri poeti nazionali. Penso a tante poesie di Pascoli (Il gelsomino notturno, Romagna) al D’Annunzio de La pioggia nel pineto, ecc.
Grazie
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