La concimazione delle piante da frutto in agricoltura biologica
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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La concimazione delle piante da frutto in agricoltura biologica

di Francesco SANTOPOLO

Premessa

Tra i tanti meriti che vanno ascritti all’introduzione dei metodi di agricoltura biologica, la riscoperta della sostanza organica è probabilmente quello più carico di significato, se consideriamo il processo di organicazione del terreno agrario come un insieme di fattori integrati che contribuiscono a mantenere e ad accrescere la fertilità.

Tuttavia, per le funzioni che la sostanza organica esplica, sarebbe riduttivo considerarne l’utilizzo solo in chiave di fertilizzazione e non tenere conto degli effetti sulla biodiversità e, più in generale, su tutte le proprietà che caratterizzano quel laboratorio chimico, fisico e biologico che è il suolo.

Per capire una volta per tutte le implicazioni della biodiversità sull’ambiente, basterebbe riflettere, per esempio, sul fatto che nelle aziende frutticole la Cacopsylla pyri (L.) ha cessato di essere un organismo dannoso dal momento in cui è cessata la pressione chimica, peraltro perdente, e gli ausiliari che ne controllano la popolazione, in particolare il Rincote Anthocoris nemoralis (F.), hanno potuto ri- colonizzare il campo. Lo stesso vale per il complesso rapporto tra alcune cicaline della vite e l’ImenotteroAnagrus atomus (Haliday), parassitoide la cui presenza in campo è garantita dalla presenza dei rovi (Santopolo, 2006). Abbiamo voluto introdurre queste notazioni solo per ricordare che l’agricoltura, per il luogo in cui si esplica e per gli organismi viventi che coinvolge, non può essere considerata alla stregua di una produzione di pezzi il cui assemblaggio può essere fatto da un’altra parte. Il ciclo della produzione di biomassa vegetale, in un’economia di lungo periodo, si chiude e si assembla sul campo e questo comporta sempre la necessità di osservare non solo i singoli pezzi ma il puzzle nel suo complesso.

Biologia e concimazione delle piante da frutto

Nel ciclo vitale delle piante arboree, a periodi di intensa attività di crescita si alternano periodi di stasi e/o ridotte attività metaboliche indicati col termine dormienza che si può definire come “la sospensione temporanea di crescita visibile di qualsiasi struttura della pianta contenente un meristema” (Lang et al., 1987) e, in relazione agli eventi causali, può essere distinta in para- dormienza, eco- dormienza o endo- dormienza che è la fase da considerare per il ragionamento che andremo a fare. Nella maggior parte delle piante da frutto, le gemme a fiore che si svilupperanno nella primavera successiva, si formano a metà estate mentre le foglie rimangono, dal punto di vista della fotosintesi, attive fino all’inizio dell’autunno quando, col ridursi della fase luminosa e gli abbassamenti termici, si avviano verso la senescenza e la dormienza. Dall’economia di queste note esula un esame dei fenomeni coinvolti in questo processo e ci interessa invece decifrarne il significato. La dormienza endogena delle piante ha fondamentalmente due funzioni: il superamento dello stress da freddo e l’accumulo delle sostanze di riserva (amido o fruttano, secondo la specie). L’efficienza dell’accumulo delle sostanze di riserva è misurata convenzionalmente con il fabbisogno in freddo che consiste nel valutare le ore <7 °C (45 °F) cumulate tra ottobre e il 15 gennaio (febbraio nelle zone più calde), comprese le ore sotto 0 °C (Weinberger, 1950). Questo metodo empirico è quello più usato e non riteniamo questa la sede per discutere gli altri modelli sofisticati messi a punto da altri ricercatori e per i quali rimandiamo alla bibliografia. Possiamo solo ricordare che carenza di ore di freddo, può determinare mancata schiusura delle gemme laterali (melo, alcune cv. pregiate di uva da vino), cascola delle gemme (pesco, albicocco, susino), germogliamento ritardato e scalare, sviluppo del germoglio apicale e mancata o scarsa formazione di rami laterali (dardi e lamburde), ritardo nella comparsa delle foglie, esaurimento delle riserve, cascola delle gemme a fiore, anomalie fiorali (pistilli doppi, aborto dell’ovario, fiori piccoli e deformi, ridotta produzione di polline), scalarità ed eccessiva durata della fioritura, insufficiente impollinazione, cascola e scalarità di maturazione dei frutti che risultano piccoli e deformati.

Si può intervenire sull’accumulo delle sostanze di riserva attraverso una concimazione azotata con amminoacidi da lisi enzimatica quando le foglie sono ancora in grado di fotosintetizzare e che coincide con l’inizio dell’autunno per le piante a foglia caduca (melo, pero, albicocco, pesco) o poco dopo per quelle sempreverdi.

In pieno inverno o poche settimane prima della ripresa vegetativa (fino a fine febbraio al sud e fino a fine marzo al nord o in regioni climatiche continentali) si effettua la concimazione organica con i prodotti ammessi e riportati in AZ BIO, n. 4/5, 2006. All’inizio della ripresa vegetativa per le piante sempreverdi o a germogli lunghi 7-10 cm per quelle a foglia caduca, si interviene ancora con amminoacidi. In pre- fioritura e post- allegagione si interviene con azoto, boro e magnesio per via fogliare. Nella fase di maturazione è possibile intervenire con potassio addizionato ad amminoacidi per l’accumulo di zuccheri nelle piante non climateriche (agrumi, vite). Altri interventi possono essere valutati caso per caso, in relazione a valutazioni diagnostiche specifiche.

Alcuni aspetti di coerenza

Di norma, in agricoltura convenzionale i piani di concimazione seguono criteri che tengono conto degli asporti medi di elementi nutritivi per coltura e per una produzione di riferimento, anche se questo dovrebbe rappresentare solo uno dei parametri guida per la redazione di un piano il cui obiettivo è il reintegro degli elementi costitutivi della biomassa (fiori, rami, radici, frutti, semi) prodotta e parzialmente asportata nell’anno precedente e la ricostituzione del livello di fertilità ottimale per realizzare la produzione di biomassa prevista nell’anno di riferimento.

Quasi mai, o solo in termini quantitativi, vengono considerati i parametri delle condizioni fisico- chimiche dei suoli, sicuramente mai, o solo all’interno di un quadro empirico, le loro componenti biotiche, i dati climatici assoluti e quelli relativi alle fasi fenologiche della coltura, fenologia e curve di assorbimento, tecnica di somministrazione, efficienza dei fertilizzanti impiegati che “definisce la quantità di sostanza secca utile … ottenuta per unità di nutriente somministrata o per unità di nutriente assimilata”(Violante, 1996.), misurata come Indice di Efficienza Agronomica (I. E. A.) e Indice di Efficienza Fisiologica (I. E. F.).

Questa atteggiamento culturale, si è “costruito” a partire dalla seconda metà dell’800 quando Liebig (1840), con la teoria mineralista, pose le premesse per gli sviluppi successivi della chimica agraria formulando la Legge del Minimo secondo cui «la crescita di una pianta dipende dal contenuto di “alimenti” ad essa forniti in quantità minime». Indipendentemente da Liebig, Blackman propose il concetto di “fattore limitante” e da allora le curve ideali di assorbimento furono chiamate curve di Blackman, mentre, in anni più recenti è stato introdotto il concetto di saturazione che indica il livello cui un parametro cessa di indurre crescita nel sistema- pianta.

In sostanza, secondo la teoria mineralista, ciò che regola la produzione vegetale sono la legge del minimo per cui l’entità della produzione è regolata dall’elemento che si trova in quantità minore rispetto alle necessità delle colture, il principio degli incrementi decrescenti secondo cui gli incrementi produttivi non sono proporzionali all’input di nutrienti e quello dell’indipendenza e costanza dei fattori produttivi. Nella pratica le cose non sono così semplici e lineari.

Senza nulla togliere alle implicazioni degli enunciati di Liebig e Blackmann che conservano una loro ovvia importanza, nel processo nutrizionale o, più in generale, nel complesso metabolismo vegetale, entrano in gioco fattori ambientali come luce, temperatura, acqua, anidride carbonica, che possono essere fattori limitanti, indipendentemente dagli elementi nutritivi. Ma, soprattutto, la sperimentazione di Rothamsted e i primi studi di agricoltura biodinamica, in particolare quelli di Howard (1940) e Pfeiffer (1938), hanno messo in evidenza qualcosa che avrebbe dovuto essere ovvio ma non lo era affatto, visto che la valenza scientifica che la sottende è ancora guardata con sospetto dai mineralisti che “resistono” a tutte le evidenze.

Ci riferiamo alla gestione del suolo e alla sostanza organica che sono elementi interconnessi del processo. La sostanza organica, la cui presenza circoscrive e definisce il concetto di suolo agli orizzonti che possono ospitare le piante; la gestione del suolo come fattore conservativo e di implementazione della sostanza organica.

Sul concetto “chiave” di concimazione organica non crediamo si debbano spendere molte parole e i prodotti di riferimento sono compresi nell’All. II del REG CE 2092/91 e relativi aggiornamenti.

Un elenco completo delle tipologie dei prodotti utilizzabile è stato già presentato in questa sede (AZ BIO, n. 4/5, 2006). In queste note vogliamo segnalare due tipologie innovative delle quali ci occuperemo in seguito: gli umati di ferro e i glucoumati.

Partiamo dalla gestione del suolo e, in particolare, dalla pratica dell’inerbimento controllato che prevede la semina di essenze specifiche in grado di dare risposte attese ma mira a salvaguardare la fitocenosi che si è formata nel corso dei processi evolutivi dei suoli e la cui selezione non è affatto casuale, anche se l’uomo non si chiede e, talvolta, non sa spiegarsi perché. Basterebbe riflettere sul fatto che la fitocenosi è una delle componenti della biocenosi nel suo complesso e che in questa associazione si realizzano rapporti di interazione e interrelazione tra organismi che vengono interrotte ogni volta che l’azione antropica tende a modificarla (lavorazioni, diserbi).

La semina di leguminose, perenni o autoriseminanti, oltre all’apporto di azoto e all’arricchimento del pabulum necessario per la vita e la riproduzione delle entità biotiche, può sfruttare la capacità espressa da alcune piante (medica, lupino) di utilizzare quote di fosforo non disponibile, trasformandolo in fosforo organico attraverso l’attività cellulare e restituendolo al suolo con i residui vegetali sovesciati o compostati, in una forma successivamente disponibile.

Senza considerare che in 5 anni di non lavorazione l’azoto e il carbonio accumulati nei primi 5 cm di suolo raddoppiano passando dall’1,51 al 3,03% il carbonio e dallo 0,15 allo 0,30% l’azoto (Blevins et al., 1983).

Conclusioni

È convinzione di molti che i mezzi consentiti per la fertilizzazione in agricoltura biologica “permettono a stento il mantenimento della sua fertilità”. Anche questo è il portato di una cultura miope che ritiene possibile la restituzione di energia biologica dissipata, attraverso input che portano a nuove forme di entropia. In un’economia caratterizzata da surplus in una parte del mondo e da scarsità nella restante parte, è il caso di prendere in considerazione il punto di vista di uno storico quando scrive che “Una maggiore tutela e cura dei suoli, la piantagione di siepi frangivento, le buone pratiche agricole, il rimboschimento, coltivazioni più appropriate agli habitat locali, la diffusione dell’agricoltura biologica possono contribuire in maniera rilevante a conservare la terra fertile” (Bevilacqua, 2006). Ma se il punto di vista storico si arricchisce della capacità metodologica di una disciplina che non si limita a spiegare i fenomeni e gli eventi ma ne ricostruisce l’iter e ne identifica le cause, è veramente avvilente che chi si occupa delle discipline agronomiche perseveri in un atteggiamento culturale che, nel rifiuto o nella rimozione delle evidenze, finisce col connotarsi di una forte caratterizzazione reazionaria. Il cambiamento potrebbe partire dall’ammettere che la minorità dei mezzi utilizzabili per la nutrizione in agricoltura biologica, è solo una percezione dei “mineralisti” che non si chiedono perché, per esempio, a fronte di una minore utilizzazione di fertilizzanti nel complesso, la quantità di azoto somministrato è aumentata del 20-30% in molte regioni italiane e cosa questo significhi rispetto al problema acqua- nitrati. Valgono, poi, alcune domande tutte interne alla disciplina agronomica: qual è il livello di disponibilità di un elemento nutritivo in un suolo che presenti il 4% di sostanza organica? Davvero pensiamo che la parte disponibile sia “solo” quella rilevata dalle analisi chimiche? O non è vero che non siamo in grado di misurare i processi biologici che agiscono potentemente sui “movimenti” chimici del suolo?

In realtà, dobbiamo ammettere che se la pratica della concimazione si mantiene all’interno di una strategia di interventi, l’agricoltura biologica dispone di un metodo che la rende maggioritaria, ove ci si ricordi che il metodo biologico non è un cambio di mezzi ma un cambio di comportamenti.

Bibliografia

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