A ROMA SCIOPERO DELLA FAME E TENDE: “LA RETTRICE FA PARLARE SOLO I MANGANELLI” da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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A ROMA SCIOPERO DELLA FAME E TENDE: “LA RETTRICE FA PARLARE SOLO I MANGANELLI” da IL MANIFESTO e IL FATTO

La Sapienza, parola agli studenti: «Caricati a freddo senza motivo»

POL FICTION. La destra evoca «devastazioni» ma i ragazzi raccontano: «Volevamo uscire e ci hanno manganellato, gridavano ’prendiamone due’»

Luciana Cimino  18/04/2024

Come da tradizione, dopo ogni manifestazione di studenti va in onda il più longevo film poliziottesco della storia italiana. La trama è sempre la stessa. All’indomani delle cariche e dei manganelli, viene diffuso dalle istituzioni, forze dell’ordine e governo, un resoconto che giustifica la reazione della polizia. A volte si tratta di notizie fortemente esagerate, a volte di fake news, come nel caso delle ormai note manganellate agli studenti minorenni di Pisa dovute, secondo la versione diffusa dagli agenti, alla necessità di impedire ai ragazzi di avvicinarsi alla Sinagoga.

IL FATTO non è mai avvenuto: il corteo andava in tutt’altra direzione, ma per giorni la destra ha cavalcato l’immagine dei manifestanti violenti. Nel caso degli scontri alla Sapienza di martedì, culminati con due arresti, convalidati ieri, per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale e danneggiamento di beni dello Stato, la presidente del Consiglio e la destra hanno parlato di «devastazioni, aggressioni, scontri, assalti al Rettorato e al Commissariato, con un dirigente preso a pugni» (Meloni), «professionisti della violenza», «apologia di terrorismo», «criminali», «seguaci di Hamas».

LA QUESTURA ieri ha fatto sapere che nel corteo ci sarebbero stati «almeno 5 anarchici estranei ai contesti universitari» con 27 agenti feriti. «Li avremo feriti nei sentimenti», chiosa Gaia. L’ironia serve per scacciare la sensazione che ci sia stato un cambio di passo nella strategia del governo e che l’ordine ora, avallato dalla premier in persona che non teme più le reprimende del Presidente della Repubblica, sia quello di stroncare il movimento studentesco. «Questa narrazione è inaccettabile, noi saremmo i violenti e i facinorosi perché ci preoccupiamo della popolazione civile palestinese e non degli interessi industriali? Serve a nascondere il contenuto politico della nostra protesta», commentavano gli studenti e le studentesse di Sapienza for Palestina.

LA LORO RICOSTRUZIONE è diversa: «Alle 15.30 il corteo è partito facendo il percorso classico del giro della città universitaria, in attesa della risposta dal senato accademico – raccontano Francesco, Davide, Giulia, Giacomo e Gaia -. Tornati al rettorato ci arriva la notizia del comunicato della Sapienza che metteva una pietra tombale sulla discussione. Gli animi si sono riscaldati e ci sono stati dei tafferugli. Eravamo in assemblea a Scienze Politiche, la giornata sarebbe finita se non ci avessero detto che Mohamed era stato fermato su via de Lollis, fuori dalla Sapienza», spiegano. E quindi: «A quel punto il corteo spontaneamente si è diretto verso la questura ma non abbiamo fatto in tempo neanche a uscire dal cancello che c’è stata la prima carica della polizia in tenuta antisommossa. Poi la seconda, nella quale è stata presa Stella, e ancora la terza e la quarta». Diversi tra di loro denunciano di aver sentito chiaramente i poliziotti scambiarsi le frasi «quanti ne dobbiamo prendere?», «prendiamone uno o due» durante la seconda carica.

«NON AVEVAMO NESSUNA intenzione di fare bordello ma solo pressione su via Tiburtina, qualche errore l’avremo fatto, forse. Ci aspettavamo la repressione ma non così, prendendo a strascico due manifestanti e accusandoli di lesioni per un graffio». Non hanno intenzione di fermare la mobilitazione. Ieri alcuni hanno cominciato lo sciopero della fame mentre danno appuntamento al pratone della Sapienza per oggi. «Invitiamo tutta la comunità accademica e tutta la città solidale a venire in assemblea per avere un momento di vero dibattito pubblico sulle rivendicazioni che da mesi portiamo avanti e che per ora sono state vergognosamente ignorate».

LA RETTRICE Antonella Polimeni è stata ancora invitata al confronto. Da novembre non incontra gli studenti. Per il 24 aprile, invece, è previsto un comitato per l’ordine e la sicurezza con il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e la ministra dell’Università Anna Maria Bernini. E qui torna la retorica del governo sulla convocazione: per fare massima attenzione sui «gruppi di area antagonista ed anarchica» che punterebbero «a cavalcare la protesta universitaria» alzando il livello degli scontri di piazza.

A Roma sciopero della fame e tende: “La rettrice fa parlare solo i manganelli”

CONTINUA LA PROTESTA – “Avanti finché non ci ricevono”

TOMMASO RODANO  18 APRILE 2024

Roma. Francesca Lini festeggia il suo ventiquattresimo compleanno con il cerchio delle catene da neve legato attorno alla vita. È incatenata alla porta del rettorato della Sapienza di Roma assieme a un altro studente, Lorenzo Cusmai, vincolato a lei e all’ingresso del palazzo da una rete di lucchetti e catenelle d’alluminio. L’area di accesso al rettorato è ostacolata da due automobili della polizia che hanno l’unico effetto di rendere il loro giaciglio più claustrofobico. Accanto ai ragazzi ci sono due tende, una sedia, due bandiere della Palestina attaccate alle pareti con il nastro adesivo, una bottiglia d’acqua, una di Gatorade e alcuni cartelloni con gli slogan della protesta: “La Sapienza ha le mani sporche di sangue”, “Stop accordi, Polimeni ascoltaci”.

Il compleanno di Francesca, studentessa di Mediazione linguistica interculturale, coincide con il loro primo giorno di sciopero della fame: non ci sarà nessuna torta. Antonella Polimeni, la persona cui si appellano, è la rettrice della Sapienza: “Noi chiediamo di avere un’interlocuzione reale, pubblica, aperta con l’università”, spiega Leonardo, iscritto a Filosofia e militante (come Francesca) del collettivo comunista Cambiare Rotta. “Abbiamo invitato la rettrice all’assemblea di domani (oggi, ndr) che si terra nel ‘pratone’ della Città universitaria. Non ci aspettiamo che aderisca miracolosamente alle nostre richieste, ma almeno le vorremmo poter parlare”. Finora, lamentano gli studenti, Polimeni si è sottratta al confronto e si è lasciata rappresentare dalla polizia: anche martedì la manifestazione pro Palestina è stata scandita dai manganelli e dalle cariche, due universitari sono stati fermati e processati ieri per direttissima. “Smetteremo lo sciopero della fame quando Polimeni ci riceverà”, conferma Francesca. Le richieste sono le stesse che stanno portando avanti i collettivi in tutta Italia insieme a migliaia di accademici: la sospensione degli accordi con le università israeliane, con le industrie belliche e le fondazioni a esse collegate (come il MedOr di Leonardo). Attorno ai due ragazzi incatenati è un via vai di telecamere e giornalisti. Per il resto il pomeriggio della Sapienza scorre tranquillo, sonnacchioso, la polizia presidia a distanza con due camionette piazzate all’ingresso della città universitaria.

Sul pratone, all’altezza dell’aula T1, sono accampati altri ragazzi: “Tende contro il genocidio, Sapienza for Palestine”. All’interno del fabbricato invece si svolge una giornata dedicata al “job placement”, con i banchetti delle aziende e stormi di studenti che lasciano il curriculum. È pubblicizzata come “Sapienza Career Days”. Il contrasto è notevole: dentro file di stand (tra cui Eni, Leonardo e Gedi), fuori gli studenti che protestano contro le violenze dell’esercito israeliano. “Non l’abbiamo fatto apposta”, sorride Sara Frioni, 20 anni, iscritta a Scienze Politiche, “noi dormiamo qui in tenda da domenica sera, però non ci dispiace manifestare di fronte ai gazebo di chi appoggia un’azione criminale che ha ucciso 35 mila palestinesi”.

Secondo il rettore di Napoli a mobilitarsi per la Palestina sono pochi studenti, sempre gli stessi, i soliti collettivi: “È falso – replica Francesca –, su questo tema sono coinvolti sempre più ragazzi e c’è una sinergia forte con i docenti. È chiaro che in un’università con 120mila iscritti, di fronte a un dramma storico come quello di Gaza, bisogna risvegliare dall’apatia e coinvolgere ancora più persone”.

Il “fallimento” dei diritti costituzionali

VIETATO OPPORSI. Le manganellate agli studenti e le querele per diffamazione contro la critica politica, per restare alle ultime di cronaca, mostrano un potere sempre più intollerante ai suoi limiti e alle […]

Alessandra Algostino   18/04/2024

Le manganellate agli studenti e le querele per diffamazione contro la critica politica, per restare alle ultime di cronaca, mostrano un potere sempre più intollerante ai suoi limiti e alle contestazioni, che chiude gli spazi politici, quando non esercita, come nei casi citati, una vera e propria «violenza istituzionale».

Ogni scelta politica, che sia la delibera del Senato accademico della Sapienza, un provvedimento del governo o del parlamento, per quanto valida in quanto assunta secondo le procedure democratiche previste, non è per questo sottratta alla discussione e alla contestazione. Sembra ovvio, ma a quanto pare non lo è.

La democrazia è conflitto e il dissenso ne è elemento coessenziale. Il processo di integrazione e mediazione politica, per quanto includente possa essere e, per inciso, non lo è (e non abbiamo ancora il premierato), non esaurisce la partecipazione. La democrazia si esprime nelle forme rappresentative, così come dal basso, attraverso l’esercizio dei diritti costituzionali, in primo luogo quelli legati al conflitto: lo sciopero, l’espressione del pensiero, la manifestazione. Sono concretizzazioni della partecipazione effettiva, che è il cuore, insieme strumento e obiettivo, della democrazia.

Studentesse e studenti che manifestano esercitano diritti costituzionali, materializzano la democrazia, rendono effettiva la partecipazione, restituiscono alle università il loro ruolo di costruzione di sapere critico. La libertà di ricerca e di insegnamento non è accettazione dell’esistente nella finzione della neutralità, ma azione di discernimento, discussione, consapevole scelta: non prendere posizione non è imparzialità ma adesione al pensiero dominante.

Quanto alla libertà di manifestazione del pensiero, «pietra angolare dell’ordine democratico» (Corte costituzionale), se pensiamo al caso Meloni contro Canfora, incontriamo il limite legato alla tutela della persona e della sua dignità, ma, al di là della pertinenza dello specifico termine «neonazista», quando le critiche concernono le istituzioni prevale, anche in relazione alle persone che le ricoprono, il diritto di critica politica.
«La violenza non è mai accettabile» afferma la presidente della Crui, Iannantuoni; è «vergognosa» fa eco la ministra dell’università, Bernini. Sono d’accordo, ma con la precisazione che in uno stato democratico deve essere garantito lo spazio per l’espressione pacifica dei conflitti e sono i manganelli contro studentesse e studenti a non essere accettabili; sono un «fallimento» aveva detto il presidente della Repubblica.

Non è accettabile la violenza fisica della polizia così come non è accettabile la violenza verbale sottesa al qualificare come «delinquenza» le manifestazioni. Chi occupa posizioni di potere, come la presidente del Consiglio, può ovviamente obiettare a chi contesta, ma sempre nel presupposto che in uno stato democratico il dissenso è non solo legittimo ma necessario; definire i manifestanti «delinquenti», o intolleranti e antisemiti (e qui si mescolano malafede, ignoranza e strumentalizzazione), delegittimandoli, ferisce la democrazia. Se vi sono atti che integrano fattispecie di reato saranno perseguiti per le vie ordinarie (ferma restando la critica all’accanimento nei confronti dei reati legati alla protesta), ma quando le istituzioni criminalizzano coloro che contestano esercitano una violenza verbale. È una delegittimazione funzionale alla privazione dei diritti? Il laboratorio “migranti” insegna.

Aggiungo che nello specifico la mobilitazione per la Palestina contribuisce a spezzare la tragica ignavia di una società che assiste muta ad un genocidio in diretta, per (non) tacere del fatto che stiano – stiamo – chiedendo il rispetto del diritto internazionale contro politiche dei governi di Israele, queste sì, di violenza e sopraffazione, proterve nel ritenersi immuni dal diritto e dai diritti. I diritti sono strumenti controegemonici, contro il potere, contro il pensiero dominante. Se l’ordine pubblico o la pacifica convivenza all’interno delle università esigono l’identificazione con la “ragione di Stato” (o, più modestamente, del Senato accademico), le libertà costituzionali perdono il loro senso e si palesa l’arroganza di un potere che mira a imporre uno stato di passività e acquiescenza. Evitiamo che diventi senso comune, accettabile e legittima, la risposta istituzionale violenta quando le libertà, come è nella loro

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