Sul pessimismo
Carteggio tra Piero BEVILACQUA, Tonino PERNA, Enzo SCANDURRA, Ignazio MASULLI
24 aprile 2017
Care e cari,
ringrazio per gli apprezzamenti al mio articolo Ignazio, Giorgio, Enzo, Gigi, Franco, Tonino [cfr. infra], ad alcuni dei quali debbo poi specifiche risposte per i contributi che mi hanno inviato. Uso la mail collettiva, tuttavia, non per degli ovvi ringraziamenti ad amici e colleghi cui mi legano collaudati rapporti di affetto e di reciproca stima. Ma lo faccio per svolgere delle considerazioni che spero possano essere di qualche utilità per tutti noi.
Lo spunto mi viene dai commenti pessimistici e anche sconsolati che accompagnavano le mail di Enzo e di Tonino. Premetto che sono lontanissimo dal voler fare una lezione morale a chicchessia, meno che mai ai due miei cari amici. Tonino Perna ha alle spalle una intera vita passata a lottare per gli altri in Calabria, in Italia e in giro per il mondo. Enzo Scandurra è il compagno di tante battaglie condotte insieme a Roma da almeno due decenni.
E naturalmente non è in discussione il pessimismo. Credo che essere ottimisti nella nostra epoca corrisponda ad una delle forme più gravi di stupidità umana. Tutti viviamo una condizione sconsolata, quando non disperata, di fronte, non solo alla frantumazione del nostro fronte di lotta politica, quanto soprattutto davanti alle tragedie che si consumano quotidianamente sotto i nostri i nostri occhi di spettatori impotenti. Chi di noi non freme di amarezza e di rabbia osservando in televisione gli occhi disperati di uomini e donne ( e ahimé di bambini) che implorano i loro aguzzini da dietro un filo spinato?
E non è solo questo. Io non riesco proprio a pensare ai milioni di bambini che vanno a dormire sopra un qualsiasi giaciglio, divorati dalla fame, senza che le madri possano far nulla se non cercare di farli sprofondare nel sonno. Non riesco a pensarci perché mi assale un dolore troppo grande. E tuttavia credo che dobbiamo compiere uno sforzo di freddezza e di razionalità. Sappiamo non da oggi, che il mondo, come diceva Gramsci, è «grande e terribile». Forse un tempo era ancora più terribile e nessuna televisione lo mostrava ai contemporanei, come accade a noi, mentre siamo intenti a consumare il pranzo o la cena.
Naturalmente oggi fa ancora più senso ed è ancora più assurdo di un tempo che il mondo sia terribile, perché la ricchezza che inonda le nostre società è incomparabile rispetto a quella del passato e potrebbe essere distribuita equamente togliendo di mezzo per lo meno lo spettro della fame ai paesi poveri. Ma io credo che una visione più critica, soprattutto una visione storica, ci possa aiutare a superare lo sconforto e ridarci la voglia di continuare a lottare. Ricorro spesso al mio mestiere per trovare ragioni non superficiali e non consolatorie per riprendere il mio impegno con rinnovata lena.
Faccio subito un esempio.
Tonino ricorda nella sua mail i giovani istupiditi a picchiettare a testa bassa i loro cellulari. Chi di noi può smentirlo? Eppure bisogna fare una considerazione storica, per capire meglio il fenomeno e anche per dargli la giusta dimensione. I ragazzi che oggi si istupidiscono nei video giochi e in altre forme di asservimento di massa sono per lo più gli stessi che, 50 anni fa, uscivano da scuola con la quinta elementare ed entravano nel mondo del lavoro, non leggevano un libro o un giornale per tutto il resto della loro vita.
Ma accanto a queste attuali vittime del conformismo consumistico sono cresciute tuttavia schiere e schiere di ragazzi che leggono libri, vanno ai concerti e ai musei, partecipano in massa ai festival di letteratura o filosofia, ecc. E oggi sono assai più numerosi che in passato. È sufficiente guardare le statistiche storiche sulla crescita della scolarità per rendersi conto di questa verità: oggi l’élite colta e motivata tra le nuove generazioni è incomparabilmente più ampia rispetto al passato. Ho già documentato tale calcolo nelle prime pagine del mio l’Utilità della storia.
Del pari ingannevole è l’idea corrente nel nostro ambiente secondo cui, per dirla in gergo, “non ci sono più i buoni intellettuali di una volta”. Vale a dire gli intellettuali che negli anni ’60-70 si facevano sentire sui grandi temi della vita pubblica con una qualche efficacia. Ho appeno svolto questa riflessione in una conversazione con Ilaria Agostini al festival di Pistoia “Leggere la citttà” e la sintetizzo qui.
La questione è mal posta. Non è che non esistono più gli intellettuali. Questi, rispetto a quei decenni, sono di gran lunga più numerosi. Basterebbe sapere che il numero dei docenti universitari, rispetto agli anni ’60 è raddoppiato ( senza contare gli insegnati scolastici, che gramscianamente andrerebbero considerati degli intellettuali, alcuni dei quali lo sono a pieno titolo e sono anche nell’Officina). Naturalmente non tutti i docenti universitari sono intellettuali civilmente impegnati, tuttavia la schiera delle élite colte è molto ingrossata anche per effetto dell’ “esplosione” di alcune discipline, come ecologia, che ha dato a tanti campi scientifici una proiezione civile e politica prima inesistente tra le scienze naturali. Del resto basta navigare un po’ per la rete per scoprire – certo, insieme a tanta spazzatura, ma bisogna stare attenti in quali acque si naviga – articoli e saggi di qualità, scritti da perfetti sconosciuti. Spesso sconosciute, perché rispetto ai decenni passati è cresciuto il numero di intellettuali che sono donne!
E allora? In realtà dobbiamo dire che è diminuita l’efficacia dei saperi intellettuali sulla politica, ma per la semplice ragione che i partiti di massa impegnati a cambiare la società ( e che un tempo avevano qualche bisogno degli storici, dei sociologi, filosofi, pedagogisti, ecc) si sono dissolti. Al loro posto rimangono agenzie di marketing elettorale, un ceto politico che non ha bisogno di elaborare un qualche progetto di società, ma di vincere le competizioni elettorali, come partecipare al campionato di calcio. Per tale fine gli intellettuali di cui necessitano sono gli analisti delle tendenze elettorali, i sondaggisti d’opinione. C’è bisogno di Gramsci? Basta Sandro Pagnoncelli.
Certo, non è che questo quadro sia consolante. Ma bisogna conoscere bene quale tipo di disastro abbiamo davanti se vogliamo tentare di porvi rimedio e trovare una via giusta. Dico questo anche per un’altra ragione conclusiva. La politica, soprattutto quella generosa e disinteressata di chi la fa per l’interesse generale, si nutre di stati d’animo, di sentimenti, di entusiasmi, di calore collettivo.
(Non posso fare a meno di ricordare con quanta efficacia Lenin descrive, ne L’estremismo (1920) l’entusiasmo e la creatività che formava il clima psicologico delle persone nei giorni della rivoluzione).
Ebbene, l’entusiasmo, come il coraggio per Don Abbondio, non ce lo possiamo dare, visti i tempi. Ma dobbiamo anche sapere che gli stati d’animo oggi costituiscono anche una costruzione ideologica, come ormai accade correntemente in Europa con la paura. Una sinistra intristita e depressa è quello che manca ai poteri dominanti per essere definitivamente tranquilli. Io, come immagino la maggior parte di voi, fin che posso e per quel che vale, questa tranquilità non glie la voglio concedere. Anche perché, non so voi, ma io considero la mia posizione, la posizione di chi può lottare senza tanti rischi per i diseredati, per gli ultimi, per chi non ha voce, una condizione di incomparabile privilegio.
Cari saluti,
Piero Bevilacqua
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20 aprile 2017
Bravo Piero!!! Purtroppo, in passato queste campagne c’erano e portavano buoni frutti. Un alfiere di questo tipo di lotta è stato Francuccio Gesualdi del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Pisa. Ma, adesso chi si indigna più, chi pensa di reagire alla barbarie? Provate a salire sulla metro o su un treno e contate quanta gente legge o discute: pochissimi! La maggioranza è inchiodata sul telefonino in un atteggiamento da monade triste e sola. Chi discute più animatamente come una volta. Ci si litiga solo per le partite di pallone!
Questo è il punto. E non so che cosa proporre….
Tonino Perna
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20 aprile 2017
La storia, oggi, è la più dimenticata delle discipline; sembra quasi che non serva più a nessuno; conta solo il presente. Procura perfino sorpresa e stupore sapere che ciò cui stiamo assistendo si è già svolto nel passato (come ce lo ricorda Piero); è in atto un processo di avvelenamento molecolare che sbiadisce la memoria, insterilisce le passioni, ci schiaccia sull’istante del consumo, l’unico che produce l’illusione di essere vivi: consumo ergo sum.
Un vecchio detto dice: a forza di sbattere la testa contro il muro, vedrai che il muro cede.
È l’unico pensiero di ottimismo che posso regalare a Piero,
Enzo Scandurra
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20 aprile 2017
Caro Piero,
sai che sono totalmente convinto dell’efficacia di un boicottaggio mirato di determinati beni di consumo come strumento di lotta. Ne abbiamo parlato anche nel nostro ultimo incontro a Roma. Proprio per questo penso che il tuo bellissimo articolo debba avere un seguito anche in termini d’iniziativa politica. Ovviamente occorre studiarne bene i termini. Per quanto mi riguarda sono pronto a collaborare.
Un abbraccio,
Ignazio Masulli
[Il carteggio nasce dalla condivisione, all’interno dell’Officina dei Saperi, dell’articolo Un’arma pacifica contro la barbarie di Piero Bevilacqua].
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