“VI DISPIACE SE CANTO?”, L’OSTINATO STILE DELLA RESISTENZA da ILMANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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“VI DISPIACE SE CANTO?”, L’OSTINATO STILE DELLA RESISTENZA da ILMANIFESTO

«Vi dispiace se canto?», l’ostinato stile della resistenza

MUSICA POPOLARE. Per Giovanna Marini la canzone popolare non è solo repertorio in cui le classi non egemoni hanno voce nella storia, ma un linguaggio da imparare per il presente e per il futuro

Alessandro Portelli  10/05/2024

Prendi un gruppo di amici d’estate al mare. Dopo cena, una di loro prende la chitarra e dice, «Vi dispiace se suono qualcosa?». Permesso concesso volentieri, anche se non se la tira per niente, alla signora con la chitarra.
Dopo tutto è senza ombra di dubbio la più grande musicista italiana dell’ultimo mezzo secolo e si chiama Giovanna Marini. C’è una poesia di Emily Dickinson a cui pensavo spesso quando mi trovavo vicino a lei: “A nearness to tremendousness”, stare vicini a qualcosa di immenso, che ti invade e ti sovrasta – e che al tempo stesso ti sta accanto, è familiare, e ti tratta come se tu fossi un suo pari.

Ho detto che è stata la più grande musicista italiana, non la più grande musicista “folk” e basta. Giovanna Marini la musica ce l’aveva tutta. Figlia di Giovanni Salviucci, uno dei compositori importanti del nostro ‘900, allieva di Andrés Segovia all’Accademia Chigiana, nasce come musicista classica, poi (raccontava) scopre la canzone popolare grazie a un incontro con Pier Paolo Pasolini. Nel 1964, è col Nuovo Canzoniere Italiano sul palco di Spoleto, in quel concerto intitolato “Bella ciao” che fa scoprire a tanti di noi l’esistenza di una musica popolare multiforme, radicale, insopprimibile, e bellissima, proprio come era lei.

Dentro la musica popolare, però, Giovanna Marini ci stava a modo suo, creativo e non subalterno. Già dai tempi di “Bella ciao”, impara e ricanta le canzoni popolari ma sente anche il bisogno di inventarsele – come quel capolavoro assoluto che è “Lu cacciatore Gaetano”, che cantava sempre quelle sere al mare. A mano a mano che la frequenta, si accorge che la canzone popolare non è solo un repertorio in cui le classi non egemoni danno voce alla propria presenza alternativa nella storia, ma un linguaggio, una grammatica che va imparata e sviluppata per andare avanti, per parlare del nostro tempo e del futuro.

Una volta, ascoltando i nastri delle registrazioni sul campo che avevo cominciato a fare attorno a Roma, mi disse: «Questa è la mia placenta». La voce dei contadini, degli emigranti, degli sfruttati, come nutrimento della sua stessa creatività di artista colta – e la sua creatività colta come strumento per far ascoltare quella voce. Riconobbe musica nelle grida di una donna di borgata che urlava contro la polizia dalle finestre di un palazzo occupato e ne trasse gli elementi di stile su cui costruì quel mix di rap urbano e madrigale rinascimentale che ci ha dato ”I treni di Reggio Calabria” o i suoni con cui rivestì “Le ceneri di Gramsci” del suo amato Pasolini.

Aveva capito che la diversità della cultura popolare sta sia nelle storie che racconta, sia nella voce con cui le racconta; nel riproporre i canti, li “disarticolava” e ne estraeva quegli elementi di differenza, quelle unità stilistiche in cui si annidava una insopprimibile resistenza, esistenziale prima ancora che politica, e che le davano il linguaggio anche per inventare musica nuova e “andare più in là”.

Giovanna Marini è stata anche una grande artista della parola. Intanto perché dalla musica popolare aveva imparato che musica, parola, voce, corpo sono un’unità inscindibile (proprio a proposito di Pasolini spiegava che i nuclei della sua composizione partivano dalle sillabe delle parole). Ma soprattutto perché la sua creatività andava oltre. Era un’affabulatrice irresistibile, che rispettava i fatti solo nella misura in cui si adeguavano a verità più vaste e radicali, e se lo poteva permettere perché aveva quasi sempre ragione. Coglieva significati profondi attraverso percorsi imprevedibili che non avevano a che fare tanto con la logica quanto con l’intuizione irresistibile del genio, e li restituiva attraverso il simbolo e l’immaginazione. Nessuna analisi antropologica spiega le ambiguità e la necessità del rituale come la sua ballata della “Nave”. Tutti quelli che si occupano di uso pubblico della storia dovrebbero ascoltare la sua “Ballata dell’eroe”, l’arazzo che racconta le imprese dell’eroe e le distorce fino a che è lui ad adeguarsi alla rappresentazione – e morirne.

Incontro in musica tra Pasolini e Giovanna Marini

IL LIBRO. «Il me pais al è colòur smarit», da Besa Muci

Sarah-Hélèna Van Put  10/05/2024

Era il 1960 quando Giovanna Marini incontra per la prima volta, in un attico a Piazza di Spagna, Pier Paolo Pasolini; un incontro che segnò per sempre l’allora giovane musicista che da quel momento dedicò la sua vita alla ricerca, allo studio e riscrittura dei canti presenti nel cuore e nella memoria della gente, i canti orali della tradizione popolare e contadina.

Dopo il film documentario A sud della musica – la voce libera di Giovanna Marini, il regista e giornalista Giandomenico Curi torna a raccontare nel suo libro Il me pais al è colòur smarit – Pier Paolo Pasolini e Giovanna Marini (ed. Besa Muci) il viaggio della cantautrice nel vasto repertorio della musica popolare italiana, un viaggio che si lega profondamente all’incontro con le opere del poeta friulano.
Non è un caso che Curi dedica il primo capitolo del saggio al rapporto di Pasolini con la musica: l’incontro con la violinista slovena Pina Kalc, figura fondamentale per le attività dell’Academiuta, ma soprattutto con la lingua friulana e il suono della poesia contadina da cui nascerà il Canzoniere italiano. Come racconta Giovanna Marini tra le pagine del libro di Curi, il rapporto con le opere e la figura di Pasolini si fa più intenso con la morte del regista nel 1975, un dolore immenso per la cantautrice che dedica a Pasolini il brano Persi le forze mie, pubblicato nel disco storico I treni per Reggio Calabria, pezzo che successivamente diventerà Lamento per la morte di Pasolini pubblicato nell’album Correvano coi carri. Giandomenico Curi analizza in maniera precisa e dettagliata la genesi dei due celebri album così come gli elementi che caratterizzano il canto funebre, il lamento e lo svolo che Marini studia e acquisisce nei suoi viaggi in Puglia nel Salento.

Come spiega l’autore del libro i due album sono tra i lavori più importanti della cantautrice romana, album in cui prendono corpo gli studi dei brani tradizionali del sud Italia e soprattutto l’impegno politico e di denuncia di Marini. Se in I treni per Reggio Calabria emerge un Meridione affamato, dimenticato e ingannato, come nelle due ballate contro il ministro democristiano Colombo, in Correvano coi carri Marini racconta la città urbana e l’universo borghese, il terrore degli anni ’70 e l’oppressione della classe operai riprendendo così il «Processo» filosofico che Pasolini avanzò in seguito alla sconfitta democristiana alle elezioni amministrative del 1975. Giovanna Marini, racconta Curi, riprenderà il dialogo con le opere di Pasolini in maniera più intensa nel 1984, creando per il Festival d’Automne di Parigi lo spettacolo Pour Pier Paolo, un’opera costruita intorno al suono e alla musica delle poesie in friulano dello scrittore di Casarsa; e a metà degli anni novanta con l’opera teatrale di Pasolini I Turcs Tal Friul messa in scena da Elio De Capitani per cui Marini compone e dirige le musiche. L’ultimo dialogo tra Marini e Pasolini sono Le ceneri di Gramsci (2005), un oratorio a più voci in cui emerge la potenza del nuovo linguaggio poetico sperimentato da Pasolini; e Sono Pasolini (2015) opera che chiude, nella sua struttura che abbraccia e unisce le prime opere in friulano con le opere più mature dello scrittore, il lungo viaggio e confronto di Giovanna Marini con la figura di Pier Paolo Pasolini.

Il libro di Giandomenico Curi è una lettura profonda del lavoro compositivo di Giovanna Marini attraverso la raccolta di interviste, recensioni e ricordi che ricostruiscono non solo il rapporto tra Marini e Pasolini, ma sopratutto l’analisi e scrittura che la cantautrice fa della storia italiana. Il volume sarà presentato domani alla fiera della piccola e media editoria «Più libri più liberi» dall’autore e da Gianfranco Capitta (ore 14 Sala Giove)

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