UN’ALTERNATIVA per il PAESE E la COSTITUZIONE da IL MANIFESTO
Per la Costituzione ma con una leva in più contro la guerra
VERSO IL VOTO. “O noi o Meloni” sostiene Letta. Uno dei modi più diretti per andare incontro alla sconfitta
Alfonso Gianni 28/07/2022
“O noi o Meloni” sostiene Letta. Uno dei modi più diretti per andare incontro alla sconfitta. In primo luogo perché è sempre un errore – anche in presenza di una legge elettorale dai chiari profili incostituzionali – trattare le elezioni politiche con la logica binaria di un referendum abrogativo. E viceversa. In secondo luogo perché nel frattempo il campo largo, il mantra della segreteria Letta, si è ristretto e spostato sensibilmente a destra. I 5 Stelle ne sono stati esclusi, in osservanza al programma Draghi che dovrebbe costituire il piatto forte della proposta politica del Pd. Non stupisce quindi che Giuseppe Conte abbia subito proclamato l’intenzione dei suoi di “correre da soli”, anche se è lecito ed opportuno chiedersi quanti siano coloro che lo seguiranno dopo gli scombussolamenti e le scissioni di cui quel partito è stato vittima in modo programmato e non per responsabilità del solo Di Maio.
Il tema di colmare lo spazio politico che resta aperto alla sinistra del Pd, torna in modo drammatico, sia per i tempi entro cui siamo costretti, sia soprattutto per l’assenza di una forza politica aggregante, dotata di capacità di egemonia e di massa critica adeguate. Ma piangere sul tempo perduto non serve a nulla. Sono state avanzate su queste pagine proposte che cercano di sfuggire all’imbuto del voto utile e nello stesso tempo rendere credibile la presenza di una lista autonoma di alternativa almeno nella parte proporzionale.
Pur essendo le intenzioni ottime, non si possono trascurare i limiti di queste proposte e tentare di vedere le possibilità di un superamento di questi ultimi. Operazioni, diciamo così, di ingegneria elettorale – a legge invariabile e invariata – sono già stati praticati ed hanno ottenuto un certo successo, relativamente all’obiettivo che si prefiggevano. Come la scelta della desistenza praticata positivamente anni addietro da Rifondazione Comunista, il cui profilo politico e programmatico alternativo però era noto, al di là del giudizio che se ne volesse dare.
Il punto debole delle attuali proposte è invece quello di assumere una dimensione puramente difensiva. L’obiettivo di questo ipotetico cartello elettorale, come lo definisce Antonio Floridia (il manifesto 24 luglio), un escamotage, come onestamente riconosce Gaetano Azzariti (il manifesto del 26 luglio) vuole essere quello di impedire ad una destra, data comunque per vincente, di raggiungere la soglia dei due/terzi del Parlamento che permetterebbe la modifica della Costituzione senza neppure passare il vaglio di un referendum popolare.
E’ certamente un obiettivo fondamentale, poiché diversi sono stati i tentativi di stravolgere la Carta costituzionale e solo il ricorso ai referendum li ha respinti, anche se non sempre. Solo che in quei casi gli elettori si trovavano davanti non a un pericolo futuro, per quanto probabile, ma ad un testo di controriforma ben noto in quanto già votato dal Parlamento. Nel caso attuale il solo richiamo alla difesa dell’integrità della Costituzione non appare sufficiente per costruire un nuovo intransigente ed efficiente arco costituzionale per via elettorale. Serve una leva in più.
Questa non può che essere costituita che dal rifiuto dell’attuale guerra in corso. Come ha anche affermato Pablo Iglesias su queste pagine si tratta di passare da un pacifismo come senso morale, a un pacifismo concreto, ovvero all’articolazione di una politica della pace. Come lo è la non semplice richiesta del cessate il fuoco, condizione necessaria ma non sufficiente, quanto il delinearsi di un percorso che individui una forza di mediazione e che giunga ad una conferenza internazionale, come fu quella di Helsinki del 1975, che si occupi a partire dalla vicenda ucraina, degli sconvolgimenti geopolitici e geoeconomici che stravolgono i vecchi – e iniqui – equilibri mondiali, scongiurando il pericolo dell’avvento di una terza guerra globale nucleare.
Chi pensa di vincere la guerra sul campo ci porterà alle soglie di questo baratro se non oltre. E’ l’argomento di cui si discute in tutto il mondo e in particolare in Europa, direttamente impegnata nella guerra russo-ucraina, come riconoscono anche gli stessi che la propugnano. E’ un tema che attraversa tutto il corpo elettorale, superando agevolmente gli schieramenti partitici. Scuote il mondo cattolico, che non può essere identificato con le forze sotto l’ombrello elettorale del Pd.
E’ un punto su cui il movimento 5Stelle ha costruito la sua diversità nell’esperienza di governo patendo una scissione. E’, considerando anche i sondaggi, uno degli aspetti che vede lontana la maggioranza della popolazione dalle forze del perimetro Draghi e quindi può agire nel campo largo dell’astensione. Allo stesso tempo è chiaro che la guerra e il gioco delle sanzioni, sono uno dei fattori dell’incremento dell’inflazione, quindi dell’impoverimento ulteriore, rendendo prioritari l’estensione del reddito di cittadinanza, quanto l’istituzione di un salario minimo. Così come spianano la strada a chi vuole seppellire la trasformazione ecologica. E’ l’anello che trascina con sé una lunga catena di obiettivi programmatici. Andrebbe afferrato con forza
La sfida del M5S è blindare il senso dei due mandati
Peter Gomez 27 LUGLIO 2022
Francamente non riesco a comprendere questo dibattito sulle alleanze elettorali in ciò che resta della sinistra. Dal mio punto di vista è perfettamente logico e giusto che Pd e Movimento 5 Stelle non corrano assieme. I pentastellati, se non vogliono scomparire, devono puntare con forza a recuperare i tanti loro elettori che hanno scelto l’astensione. In gran parte si tratta di cittadini a torto o a ragione delusi dal governo Draghi e dalle diverse alleanze strette dal Movimento nel corso della legislatura. Non credo che nessuno di loro sarebbe disposto a rivotare i 5S se si presentassero a braccetto con il principale sponsor del passato esecutivo dei tutti dentro.
Per capirlo basta seguire le mosse e le dichiarazioni del personaggio pubblico che meglio rappresenta il popolo degli astenuti grillini: Alessandro Di Battista. Di Battista parla del tradimento di molti principi, di attaccamento alla poltrona, di rinuncia a combattere per una società diversa. Se questi sono alcuni dei motivi dell’astensione-delusione, e lo sono, è impossibile pensare che un’alleanza con i Dem possa portare a un’inversione di tendenza. Lo stesso discorso vale però per l’elettore tipo del Pd che ormai è da anni affezionato a un partito sempre più di centrosinistra (anzi quasi di centro) che di sinistra. Un partito disposto a battersi (giustamente) per i diritti civili, ma indisponibile a fare altrettanto per i diritti sociali.
Credo che molti di loro, specie nelle città dove il Pd fa il pieno, se vedessero i dem tornare con i 5 Stelle semplicemente voterebbero per Carlo Calenda. Conosco l’obiezione: ma se vanno divisi – cosa che peraltro ormai Letta e Giuseppe Conte dicono apertamente – lo schieramento di Giorgia Meloni vincerà tutti i collegi uninominali. È assai probabile. Ma sondaggi alla mano i collegi che al Sud potrebbero essere recuperati sono molto pochi e verosimilmente quello che verrebbe vinto nel maggioritario verrebbe poi perso nel proporzionale.
Il gioco insomma, anche dal punto di vista meramente numerico, non vale la candela. Meglio per entrambi andare da soli. Trovarsi, se è possibile, qualche compagno di strada diverso, ma non indigeribile per i loro elettori, e giocarsela così: da soli, a viso aperto.
Il risultato sarà la vittoria delle destre? È quasi scontato. Ma non si deve farne un dramma. Il Pd ha bisogno come il pane di stare finalmente all’opposizione. Dieci anni trascorsi quasi ininterrottamente al governo pur avendo perso le elezioni hanno contribuito a peggiorare la sua già non eccelsa classe politica.
Lo dimostra pure il surreale dibattito di queste ore sulle poltrone che porta i Dem a stabilire che la regola dei tre mandati vale per tutti, tranne per chi ottiene una deroga dai vertici, per gli ex ministri, gli ex premier e gli ex segretari. Traduzione: nel Pd la regola dei tre mandati non esiste, esiste invece solo quella della cooptazione: ovvero decide il segretario. E in fondo è logico che sia così, perché intanto il sistema elettorale, grazie ai listini bloccati e alle candidature della stessa persona in più collegi, rende assolutamente ininfluente il nome dell’aspirante parlamentare.
Anche per questo, a mio parere, i 5S farebbero bene a mantenere la loro regola dei due mandati. Una norma certamente ingiusta rispetto ai risultati rivendicati da qualche eletto, ma che almeno, se ben comunicata, ha il pregio di differenziarli dai loro avversari. Sembra una piccola cosa: ma solo chi il 26 settembre potrà dire “tutto è perduto, fuorché l’onore” sarà sì sconfitto, ma avrà delle basi su cui vincere in futuro.
Ora M5s deve scegliere: il mio invito a costruire un’alternativa vera e di sinistra anti ‘Natoliberisti’
Paolo Ferrero 27 LUGLIO 2022
La crisi di governo ha mostrato l’arroganza di Draghi e, nel contempo, la forza della sua proposta politica: i due schieramenti principali che si candidano alle elezioni, che litigheranno ogni giorno con toni apocalittici, sono infatti – al di là dei distinguo – totalmente interni al pensiero unico impersonato da Draghi.
Meloni e Letta sono completamente concordi sul coinvolgimento dell’Italia nella guerra in corso, sulla scelta di continuare a fornire armi e di far entrare l’Ucraina nella Nato, dimostrandosi così guerrafondai subalterni agli Usa.
Letta e Meloni sono completamente concordi sulle politiche liberiste di pareggio di bilancio – che hanno tutti e due voluto in Costituzione – e che dal prossimo anno porterà l’Italia a nuove manovre lacrime e sangue.Meloni e Letta si sono opposti strenuamente al reddito di cittadinanza che è l’unica cosa buona fatta in questi anni sotto la spinta del Movimento 5 stelle.
Letta e Meloni sono completamente concordi nell’osteggiare ogni tassa sulle grandi ricchezze e più in generale ad attuare politiche di redistribuzione del reddito.
Potrei proseguire per lunghe pagine ma la premiata ditta Meloni e Letta, che si combatterà fino all’ultima goccia di sangue degli italiani per spartirsi il maggior numero possibile di seggi nel prossimo Parlamento, condivide sui nodi di fondo della collocazione geopolitica e delle politiche economiche lo stesso impianto Natoliberista.
Contro questo bipolarismo drammaticamente spostato a destra, in cui tutte le cose negative che si possono imputare a i due poli sono vere ma risulta difficile vederne di positive, occorre costruire uno spazio politico che permetta alla maggioranza degli italiani di scegliere quell’alternativa di cui c’è tanto bisogno.
E’ infatti evidente che il bipolarismo non contiene la possibilità dell’alternativa allo stato di cose presente ma solo un’alternanza, sempre più spostata a destra, tra i diversi clan che concorrono per la vittoria.
Costruire una alternativa significa quindi rompere questo bipolarismo Natoliberista in cui si può solo passare dalla padella alla brace.Abbiamo nelle scorse settimane lanciato il progetto si Unione Popolare proprio per dar voce a questo bisogno politico. Nei prossimi giorni, nonostante il periodo certo non facile, saremo impegnati in un processo di assemblee territoriali per discutere del progetto, dei programmi, del coinvolgimento dei soggetti sociali interessati, dei possibili candidati, dell’organizzazione della raccolta delle firme necessarie – non poche – alla presentazione delle liste. Unione Popolare raccoglierà le firme e si presenterà alle elezioni.
A partire da questa scelta di chiara alternativa avanziamo a tutte le forze che non si riconoscono nel draghismo imperante la proposta di costruire insieme uno schieramento contro la guerra e contro le diseguaglianze. Lo avanziamo in primo luogo al Movimento 5 stelle che ha misurato fino in fondo in questi giorni la compatta durezza dei diktat draghiani. Il partito dei banchieri non è interessato ad un consenso critico o ad un dissenso collaborativo ma vuole l’obbedienza, vuole la tua anima: o di qua o di là.Alla fine il Movimento 5 stelle è fuori dal campo di Draghi. Pur nelle mille contraddizioni in cui questo è avvenuto si tratta di un fatto politico positivo, che apre la strada ad una possibilità inedita: il rapporto tra la sinistra antiliberista e il M5s in una direzione in cui il populismo si intrecci con la sinistra e viceversa.
Il Movimento 5 stelle ha infatti dinnanzi a sé due possibilità. O rimane a metà del guado, antisistema a parole ma tutto proteso alla costruzione di una qualunque alleanza, fuori del centro sinistra più per il veto di Letta che non per autonoma decisione. Oppure prova a costruire una nuova strada che valorizzi il sogno di cambiamento che aveva sollevato alle sue origini, superando quegli errori ed ambiguità che lo hanno portato a frustrare molte delle speranze di cui era depositario. M5s è cioè nella condizione di scegliere se fare la forza di complemento interna ai giochi politici del palazzo, utile come carta di ricambio quando se ne presenti la necessità, oppure se partecipare alla costruzione di una coalizione che metta al centro il no alla guerra, la difesa degli interessi popolari, la lotta al cambio climatico.
Il paese ha bisogno di una alternativa e in questi anni questa non c’è stata: la costruzione di un terzo polo, compiutamente alternativo ai Natoliberisti è la vera posta in gioco delle prossime elezioni politiche. Occorre lavorarci per costruirlo il più ampio e unitario possibile, sul piano sociale, culturale e politico. I vertici dello stato hanno scelto i tempi delle elezioni in modo da ostacolare questa costruzione. Noi, in questo caldo agosto, reso ancora più afoso dal disastroso cambio climatico, lavoriamo per produrre quella convergenza che serve al cambiamento del paese. Perché di questo c’è bisogno, non dell’allargamento del teatrino della politica.
No Comments