UE: “IL TRILEMMA DELL’AUSTERITÀ” da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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UE: “IL TRILEMMA DELL’AUSTERITÀ” da IL MANIFESTO e IL FATTO

Elezioni, un confronto tra la sinistra di una volta e quella di oggi: di male in peggio

Fabio Balocco  11 AGOSTO 2022

Dalla mia torre d’avorio osservo con divertito distacco le baruffe relative alle prossime elezioni e quello che mi colpisce è come – anche con una certa supponenza e certezza – le formazioni politiche e gli stessi partiti parlino di sinistra e di destra, come se fossero concetti oggettivi. E i media di conseguenza.

In realtà c’è una grande confusione sotto il cielo. Dire sinistra e destra non è come dire maschio e femmina o viceversa (ovvio). Io sono assolutamente certo che se si chiedesse ad un uomo politico o ad un uomo della strada di individuare sinistra e destra ognuno darebbe la sua definizione. Per puro esempio, io sono nato e cresciuto in una famiglia che si definiva di sinistra. Mio padre leggeva l’Espresso ed essere di sinistra negli anni Sessanta significava essere o stare dalla parte del proletariato, il quale proletariato doveva permettersi l’alloggio in proprietà e anche l’auto: magari col mutuo il primo e a rate la seconda. Ma quella stessa sinistra che veniva ampiamente votata e sostenuta in Liguria era quella che dei contadini se ne fregava, che rendeva fabbricabile tutto il suo territorio fronte mare: era quella che permetteva all’Enel di costruire la centrale a carbone nella valle di Vado, con tutto quello che ne sarebbe conseguito in termini di inquinamento, cambiamento del clima e morti (forse anche mio padre).Quella era la sinistra, per la quale contava solo il lavoro purchessia, purché ben retribuito, con tutti i diritti conseguenti. Il resto contava zero. L’ambiente? Fanfaluche. I beni comuni? Belinate (siamo in Liguria…). Erano il Pci (anche quello di Berlinguer, s’intende), il Psi, e compagnia cantante, ivi compresa la sinistra extraparlamentare. Sono passati i decenni, abbiamo addirittura un nuovo millennio, e i partiti sedicenti di sinistra (anche se oggi si ha un po’ di timore a pronunciare il termine) sono cambiati, in peggio: di male in peggio.

Oggi quelli che si definiscono di sinistra o progressisti sono votati non più dal proletariato ma dai ceti abbienti, e fanno una politica consequenziale, ben diversa dagli anni Sessanta, ma pur sempre “di sinistra”. Aumento del distacco fra ricchi e poveri, l’elemosina a questi ultimi con il reddito di cittadinanza, una certa simpatia per i diversi (ma chiusura verso gli immigrati) e per il resto assoluto disinteresse, in particolare per quello che fa vivere l’uomo: il suolo, l’aria, l’acqua. Leggermente diversi i partiti di destra, ma neanche troppo: sì, magari uno stato più autoritario, qualche Ponte sullo Stretto in più, una certa intolleranza verso i diversi, ma per i temi che contano davvero, che fanno vivere, uguaglianza assoluta.Dopodiché, ripeto, mi piacerebbe intervistare l’uomo della strada: “scusi, lei è di sinistra? Sì? E cosa vuol dire essere di sinistra?”. Sarebbe divertente ascoltare le risposte, ma non mi risulta che nessun giornalista si sia mai avventurato in questo campo: forse è scomodo… Se ne evince che, in modo alquanto singolare, si parla di un qualcosa di cui non si conosce il significato. Un po’ come nella vignetta del mitico Altan, il bimbo che si rivolge al padre: “Cos’è la sinistra, babbo?”. Risposta: “Dipende se sei mancino o no”.

Un New Deal per non sfasciare l’Europa

SCENARI. Praticare la fine dell’austerità non è un appello a consegnarsi alle destre, tutt’altro. Una sinistra vera che abbia a cuore l’Europa dovrebbe esserne l’alveo naturale

Gustavo Piga  11 AGOSTO 2022

Nel 2018 gli italiani mandarono con il loro voto in Parlamento 944 senatori e deputati. Il 60% apparteneva a tre partiti (5Stelle, Lega, Fratelli d’Italia) che esprimevano uno spiccato dissenso verso le politiche economiche europee.

Nel 2013, alle precedenti elezioni, questa percentuale arrivava a mala pena al 22,5%. Nei sondaggi odierni siamo posizionati, aggiungendo i sovranisti di Italexit ed i verdi-sinistra italiana distanziatisi dall’agenda Draghi, al 57% in media.

La vera anomalia è dunque questa: in dieci anni un Paese sicuramente europeista sul fronte economico come il nostro è divenuto fortemente scettico delle politiche economiche imposte da Bruxelles. Che si vada consolidando questa maggioranza anti-europeista – malgrado l’approvazione del Pnrr – indica che stiamo sbagliando qualcosa nel gestire (dall’interno e da Bruxelles) l’economia italiana e che il Pnrr non si è rivelato sufficiente a rimediare a questi errori.

Il 2013 segnò il consolidarsi dell’austerità del Fiscal Compact, ormai da tutti (anche dal conservatore Fiscal Board europeo), considerata un errore sado-masochistico. Il voto del 2018 diede un segnale chiarissimo che le politiche europee dell’austerità non erano ritenute tollerabili per l’Italia. Se oggi quelle maggioranze dissenzienti non sono mutate nella loro dimensione complessiva, anche se si sono profondamente ricomposte al loro interno, vuol dire che tale percezione non è mutata.

Ed è evidente perché sia così. Il Pnrr ha reintrodotto un meccanismo austero analogo al Fiscal Compact, di rientro rapido del deficit sul Pil a valori stringenti, obbligando tutti i vari governi ad adeguarvisi: chi più (Draghi) e chi poco meno (Conte 2). Queste politiche hanno generato una crescita ancora oggi insufficiente rispetto a quella dei nostri partner dell’euro e una crescente insoddisfazione che si riflette nelle attuali intenzioni di voto.

Questi due governi hanno cercato in tutti i modi di far diventare il minoritario 40% dei voti “pro-Europa” prima maggioranza assoluta (con il tentativo del Pd di aggregare e moderare i 5Stelle) e poi coalizione quasi unanime nel Paese: tentativi tutti finiti male. L’ultimo del Pd, quello di alleare Azione con Sinistra Italiana e Verdi, ha conosciuto una morte ancor più rapida, mostrando chiaramente i limiti di esercizi strategici di questo tipo in mancanza di una base elettorale maggioritaria e veramente coesa in termini di agenda economica.

Che fare? Abbiamo poche alternative, riassunte dal c.d. “trilemma dell’austerità”, che afferma quanto segue: non si possono avere simultaneamente austerità (la perdita di possibilità di utilizzare la politica fiscale con maggiore domanda pubblica per contrastare shock avversi e aiutare i più deboli), democrazia e una valuta comune con conseguente permanenza in Europa. Dobbiamo scegliere due tra i tre. Ed ecco perché.

Con austerità e valuta unica non si può avere democrazia. Le troike di Fondo Monetario Internazionale e Commissione europea comandano, come hanno fatto in Grecia. In Italia assistiamo a meccanismi tecnocratici o artificiosi che cercano di prevaricare la volontà della maggioranza pur di avere politiche austere.

Con austerità e democrazia non si può avere l’euro: in quegli stati dove vi sono popolazioni sofferenti e non aiutate a causa dell’austerità, dall’euro se ne esce di certo con voto di maggioranza in un referendum. Il rischio che corrono Italia ed Unione europea (Ue) se continueranno a non rappresentare la volontà dell’elettorato di sbarazzarsi dell’austerità è questo: la fine dell’Italia nell’Ue e dunque la fine dell’Ue.

Infine, con democrazia e una valuta unica non si può avere austerità ma, quando necessario, una politica fiscale espansiva per tutelare occupazione e assicurare la solidarietà – e dunque l’unione – nell’Unione: la democrazia richiede che si ascolti l’urlo di dolore di chi soffre e vi si reagisca.

Praticare la fine dell’austerità non è un appello a consegnarsi alle destre, tutt’altro. Una sinistra vera che abbia a cuore l’Europa dovrebbe essere l’alveo naturale da cui dovrebbe partire questo spirito di New Deal del XXI secolo dove investimenti pubblici in deficit, sostenuti da una Pubblica Amministrazione di qualità, generano finalmente ripresa e dunque abbattimento del rapporto debito-Pil via crescita. Sarebbe una sinistra capace di salvare l’Italia e l’Europa, non di metterle a rischio come sono oggi. Un Roosevelt dunque cercasi.

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