SINISTRA E MEMORIA: LA TRAGEDIA DI IERI, LA NORMALITÀ DI OGGI da IL MANIFESTO
Crediti di guerra: la tragedia di ieri, la normalità di oggi
SINISTRA E MEMORIA. Gli arruolati nelle divisioni dell’Impero del bene ci ricordano in continuazione che l’Occidente è in guerra, perciò chi non si arruola sta con l’Impero del male. E dunque la lingua della democrazia universale deve indicare i nemici occulti ed esporli al pubblico ludibrio. Per ora solo questo, poi si vedrà
Paolo Favilli 31/03/2022
La scelta della Spd di votare, il 4 agosto 1914, i crediti per l’Assalto al potere mondiale (F. Fisher, 1965) della Germania guglielmina, fu, per l’Internazionale socialista, una tragedia vera, che sconvolse e frantumò in profondità una delle ragioni costitutive del socialismo, il suo internazionalismo, in favore delle ragioni del nazionalismo.
Si trattò di una cesura così netta con una storia, ormai consolidata, del socialismo che i suoi effetti furono alla base delle dinamiche dirompenti del primo dopoguerra. Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, gli avversari più intellettualmente e politicamente autorevoli di quel voto e delle sue conseguenze, vennero assassinati in un’operazione la cui catena di comando era nelle mani di quei dirigenti della Spd che quel voto avevano fortemente voluto.
Oggi il Pd non solamente ha votato i crediti di guerra, ma li ha proposti e sostenuti come punta di diamante dello schieramento che, in forma pressoché totalitaria, li ha approvati alla Camera. Ciò non provoca nessun shock e nessuna sorpresa, ma viene, giustamente, inteso come uno sviluppo naturale e coerente di una parte politica che ha costruito la propria identità, consolidatasi nella pratica dei bombardamenti in Serbia, sulle logiche che giustificano l’attuale aumento della spesa di guerra italiana.
Il Pd si definisce, dunque, come parte necessaria dell’Impero del bene, come parte dello schieramento che considera «l’inglese (…) lingua della democrazia» di contro al «putinismo» di un «gruppetto di professori» (F. Merlo, la Repubblica, 12 marzo). Ora, sebbene Merlo non voglia vederlo, quei «professori» non sono un «gruppetto», ma un’area consistente della cultura italiana, del tutto estranea ad ogni forma di empatia per ciò che Putin è, e rappresenta. Anzi, proprio perché gran parte di quei «professori» fa riferimento alle categorie critiche dei capitalismi, la loro posizione non può che essere antitetica a qualsiasi forma di «putinismo». Per dirla con una felice espressione già usata su questo giornale, essi non sono né-né, bensì contro-contro (T. Di Francesco, 29 marzo).
Un’area di studiosi professionali che, a differenza dei giornalisti embedded, padroneggia gli strumenti del mestiere per l’analisi del «presente come storia». L’unico metodo, tramite coniugazione del giudizio politico con il giudizio storico, in grado di sottrarre l‘argomentazione alla propaganda di guerra.
Gli arruolati nelle divisioni dell’Impero del bene ci ricordano in continuazione che l’Occidente è in guerra, perciò chi non si arruola sta con l’Impero del male. E dunque la lingua della democrazia universale deve indicare i nemici occulti ed esporli al pubblico ludibrio. Per ora solo questo, poi si vedrà.
Nelle sue memorie Ehrenburg ricorda che nell’agosto 1914 «circolava la nuova espressione juif-boche» e su molti giornali si sosteneva che «il principale juif-boche, inveterato nemico della Francia, era stato il poeta Heine». Quando, l’anno dopo, Romain Rolland vinse il premio Nobel per la letteratura, sulla stampa patriottica si poteva leggere che il grande scrittore aveva ricevuto i trenta denari di Giuda elargiti dal «germanismo».
Oggi l’università della Florida cancella l’aula intitolata a Karl Marx, che, com’è noto, è stato precursore di Putin, e, nel nostro piccolo, la Bicocca cancella un corso su Dostoevskij. Un Heine russo?
Le pallottole di carta e quelle evanescenti dei bit, per avere un peso è opportuno che possano contare su quello, ben materiale, del piombo e dell’acciaio. Di qui la necessità dell’aumento delle spese militari che è «un problema di credibilità» del paese (Guerini). Credibilità di fronte al capo dell’Impero che ha appena aumentato il già stratosferico bilancio militare del 4%.
Il giornalista Paolo Mieli, sempre per dare maggiore credibilità all’Italia, consiglia a Letta di «proporsi come segretario generale della Nato» (la Repubblica, 27 febbraio). «Ne ha tutti i titoli», aggiunge in tono asseverativo. Un giudizio politico basato su fatti incontrovertibili e sul quale non possiamo non convenire.
Nessuno shock, dunque, per l’attuale voto sui crediti di guerra del Pd, ma solo conferma di una struttura identitaria solida e stratificata di quel partito.
Il quadro analitico sulla base del quale Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg si opposero a tali esiti nel 1914 è ancora punto di partenza per la comprensione della logica degli imperialismi di oggi. La costruzione di una forza politica che sia rappresentanza reale degli studiosi critici, dei militanti di sinistra, degli italiani che, numerosissimi stando ai sondaggi, non vogliono arruolarsi nelle armate dell’Impero del bene, è, allora, prioritaria e imprescindibile.
Niente soldi ai supplenti a scuola, ma si comprano 70 milioni al giorno di armi
IL CASO. Bonus e altre briciole al Welfare e alla sanità, ricco il piatto del complesso militare-industriale. Ecco come il governo intende affrontare la nuova crisi mentre aumentano precarietà e povertà. E lo scontro con i Cinque Stelle non riguarda il cambiamento di questa tendenza ma solo la tempistica per arricchire il capitalismo armato
Roberto Ciccarelli 31/03/2022
Mentre la spesa per la sanità pubblica, la scuola o quella per uno dei Welfare più iniqui e familisti d’Europa resta sottodimensionata e, in alcuni casi, inferiore al periodo pre-pandemico, le spese militari aumenteranno di 12-13 miliardi di euro entro il 2024 come previsto anche dal governo. Per il 2022, anno draghiano, il totale di questa spesa è oltre 25 miliardi, 1.352 milioni di euro in più rispetto al 2021.
Questa tendenza è iniziata anche prima della pandemia a livello globale. «Nel 2021 le spese militari nel mondo sono aumentate di cinquanta miliardi di dollari, superando i duemila miliardi di dollari, 10 volte di più di quanto si è stanziato per il Covax per assicurare gratuitamente i vaccini ai paesi poveri» ha denunciato Sbilanciamoci.
«Troviamo assurdo che in un paese, agli ultimi posti per la spesa in istruzione in area Ocse, si investano 13 miliardi nell’acquisto di armi e non si trovino le risorse per la proroga dei contratti di supplenza covid fino al termine delle lezioni. Se così fosse la credibilità del ministero dell’Istruzione sarebbe ulteriormente minata» sostiene la Flc Cgil.
Lo scontro elettorale in atto nel governo potrà forse trascinare il termine deciso dalla Nato al 2028, come ha proposto il ministro della difesa Lorenzo Guerini (Pd), o al 2030 come sostengono per ora Conte e i Cinque Stelle. Un dato è certo: l’aumento c’è già stato e continuerà. La maggioranza dei residuali investimenti pubblici è, da tempo, concentrata sul complesso industriale-militare. Il fatto non è negato dai Cinque Stelle che, anzi, ieri hanno rivendicato l’azione dei governi Conte. Il loro trasformismo ha cambiato maggioranze opposte, ma ha rispettato la direttiva Nato. Infatti la spesa militare è aumentata per un totale di 2,7 miliardi di euro nei tre anni giallo-verdi-rossi (da 21,7 a 24,4 miliardi).
«È un aumento legato in particolare a nuovi investimenti in sistemi d’arma con fondi sempre più messi direttamente a disposizione della Difesa, mentre si riduce la quota parte destinata ad investimenti militari sul bilancio del ministero dello Sviluppo Economico – ha spiegato Francesco Vignarca di Rete Disarmo nella Contro-finanziaria 2022 di Sbilanciamoci – Questo è il punto di partenza per valutare la spesa militare italiana complessiva che deve registrare in più cifre iscritte presso altri ministeri e e deve invece vedere sottratta la grande maggioranza del bilancio dei Carabinieri».
I grillini non avanzano alcuna critica al quello che sembra essere l’esito della crisi innescata dall’aggressione russa contro l’Ucraina: il rilancio militare di un capitalismo fossile, spezzato dalla pandemia e già piombato in una nuova crisi, mentre si annunciano altre forme di recessione. «Quei soldi oggi servono per le spese sociali e non a un progetto futuro che sicuramente dobbiamo rispettare ma che possiamo farlo con i tempi adeguati» ha confermato ieri il ministro dell’agricoltura Stefano Patuanelli.
Viene allora il dubbio che i Cinque Stelle sembrino fare una battaglia «di sinistra» per il potere di acquisto dei salari nel caro bollette o per il rilancio della spesa sociale soffocata da vent’anni e più di austerità. In realtà, come lo stesso Draghi, tutti si muovono in quello che lo storico dell’economia Adam Tooze ha definito, ne L’anno del rinoceronte grigio (Feltrinelli) sulla pandemia del Covid, un «Welfare senza Stato sociale»: un regime politico conservatore, in perenne emergenza, che non fa investimenti sociali ma eroga incentivi e bonus. Così si aggravano le diseguaglianze e si preserva «la gerarchia dello status sociale».
Ieri l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp) ha reso note le conclusioni di due ricerche sul Welfare in Italia. Solo lo 0,2% del Pil è destinato ai servizi sociali e alle misure per i disoccupati, mentre la spesa pensionistica assorbirebbe oltre il 16%. Questa valutazione è forse la meno interessante della ricerca. Va ricordato, come fa Felice Roberto Pizzuti, che non bisogna fare confusione tra le voci previdenziali e quelle assistenziali del bilancio statale. Dopo le problematiche riforme neoliberali degli anni 90 i saldi previdenziali sono in attivo. Più importante è il fatto che l’occupazione sia più insicura e mal retribuita.
L’Inapp parla di «lavoro povero» che nega una pensione e erode le tutele contro la precarietà e la disoccupazione. Nell’attuale clima bellicista non si parla di una vera riforma del mercato del lavoro e misure come il cosiddetto «reddito di cittadinanza» hanno solo attutito gli effetti «della crisi pandemica su disuguaglianze e povertà». «Resta ancora in ombra il fronte dei servizi, la protezione universale, e l’attivazione per l’inserimento lavorativo» sostiene Sebastiano Fadda, presidente Inapp.
Lo squilibrio che precipita il welfare nel warfare globale
SCENARI. Un drammatico piano inclinato nell’annuncio del governo: da una parte il 2% del Pil per le spese militari, dall’altra lo 0,2% per la cooperazione internazionale
Raffaele K. Salinari * 31/03/2022
Il 2 % del Pil per gli armamenti, lo 0,2% per la azioni di cooperazione internazionale allo sviluppo e le emergenze umanitarie. Nello squilibrio drammatico tra queste due cifre è riassunto tutto il passaggio, o meglio il piano inclinato, che da una visione di welfare a livello nazionale, europeo e mondiale, sembra scivolare sempre più velocemente e senza soluzione di continuità verso il warfare globale.
La pandemia di Covid 19, peraltro domata in parte ma non certo vinta, soprattutto per le disparità ancora vigenti a livello internazionale tra chi ha accesso ai vaccini e chi ne è tagliato fuori, sembra non aver lasciato traccia nella comprensione delle priorità umane.
La guerra in Ucraina con il suo corteo di morte e distruzione ha rappresentato un “booster” molto più potente e sostenuto di quello della terza dose di vaccino, andando nel giro di pochi giorni a riavviare una corsa al riarmo come non si vedeva da decenni.
Nello specifico della situazione italiana, che abbiamo riassunto con le cifre in apertura, il divario si presenta come particolarmente grave, data anche la collocazione geopolitica del nostro Paese, crocevia tra mondo mediterraneo e nord Europa, ma anche tra est ed ovest.
Si è detto molto spesso che la nostra nazione è l’anello debole della catena Atlantica, e che dunque questa debolezza va rafforzata, riforgiata nel fuoco della guerra con un aumento mai visto delle spese militari. Ma quello che non si dice, e che mostra una colpevole miopia geopolitica, è l’importanza, per il posizionamento internazionale del nostro Paese, proprio di quelle azioni di cooperazione allo sviluppo e solidarietà internazionale che spesso sono l’unico strumento efficace per mantenere stabile e relativamente indipendente l’orizzonte degli interessi nazionali.
La proiezione dell’Italia, in molti scenari strategici, infatti, non può prescindere da queste azioni, specie nei Paesi cosiddetti in via di sviluppo, nei quali si trovano ancora le materie prime necessarie alle industrie nazionali e le risorse energetiche.
Stiamo volutamente mettendo l’accento su questi aspetti perché non ci si taciti con la retorica delle “anime belle”, di un pacifismo “né, né”, o utopie che si scontrano con le dure leggi della realpolitik. Certo per le tantissime realtà del Terzo Settore impegnate nella solidarietà nazione ed internazionale, nei programmi umanitari, nell’accoglienza ai rifugiati e via enumerando, i valori portanti sono quelli contenuti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani; ma anche a volerne prescindere basterebbe un richiamo alle ultime votazioni in seno all’Assemblea Generale delle Nazioni unite per capire di cosa si parla anche in termini puramente materiali. In questa sede, infatti, trenta Paesi africani su cinquantaquattro si sono per ben due volte astenuti dal condannare la guerra nei confronti dell’Ucraina da parte della Russia.
Sono Paesi strategici per le risorse, nei quali la leva di una nazione come l’Italia non può che essere quella della cooperazione. Molti altri esempi su vasta scala potrebbero essere portati, ma il dato sostanziale rimane quello della incapacità o, peggio, della non volontà politica di elevare il budget del nostro Paese a quello 0,7%, con lo zero davanti dunque, che da oramai una cinquantina d’anni diciamo di voler raggiungere in base ai trattati internazionali che abbiamo sottoscritto in materia di aiuti.
E qui, in conclusione ma non per importanza, si apre un altro importante capitolo: quello della coerenza tra le politiche. Perché si decide su due piedi, certo spinti dai venti di guerra, per l’accrescimento delle spese militari e non si trovano mai i fondi per quelle che derivano da impegni internazionali di atro genere?
Questa politica dei due pesi e due misure non solo nega la legittimità dei fora multilaterali nei quali gli impegni vengono sottoscritti, ma mostra al mondo in via di sviluppo una faccia meschina dell’Occidente, geloso delle proprie prerogative di libertà eguaglianza, democrazia, economia di consumo, pronta a difendere i propri valori quando pensa siano messi in discussione, ma sordo all’applicazione ed estensione degli stessi a quanti ne avrebbero altrettanto diritto.
Ecco allora che almeno un bilanciamento tra spese militari e cooperazione internazionale darebbe un segnale di coerenza apprezzabile, non solo alle “anime belle” che in questi giorni terribili si stanno spendendo a sostegno del popolo ucraino, delle sue donne dei bambini, del dialogo ancora possibile e doveroso per la pace, ma anche agli occhi di chi guarda alla nostra Nazione ed all’Occidente in generale da Sud, dove la visione è diversa ed una mano tesa può ristabilire il giusto equilibrio e costruire una pace duratura perché radicata nella giustizia.
* Portavoce del CINI ( Coordinamento Italiano NGO Internazionali)
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