POPOLARE L’UNIONE: UN NUOVO PARTITO. COME E PERCHÈ da OFFICINA dei SAPERI e SINISTRAINRETE
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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POPOLARE L’UNIONE: UN NUOVO PARTITO. COME E PERCHÈ da OFFICINA dei SAPERI e SINISTRAINRETE

Un nuovo partito. Come e perché

Piero Bevilacqua  29/09/2022

L’aspetto più incoraggiante di questi ultimi giorni, nei quali riflettiamo con delusione e frustrazione sui risultati elettorali di Unione Popolare, è la volontà, espressa da tutti coloro che intervengono coi loro commenti, di continuare la nostra avventura. Si legge la stessa determinazione con cui abbiamo affrontato, nelle condizioni più avverse, la sfida quasi impossibile di raccogliere, nel cuore di una delle estati più torride del millennio, le decine di migliaia di firme richieste per la partecipazione alla campagna elettorale. E bisogna aggiungere che pari ostinazione hanno mostrato migliaia di cittadini, i quali hanno affrontato in paziente fila, il sole ustorio di agosto per potere apporre la loro firma. Dunque volontà di continuare il nostro progetto come del resto avevamo promesso. Ma come? In che forma, con che modalità organizzativa? Dobbiamo fare il salto da una lista elettorale imbastita precipitosamente – ma, bisogna riconoscere, ammirevolmente ben fatta – a una struttura più stabile, pensata accuratamente nei suoi organismi rappresentativi, in grado di garantire democrazia ed efficienza operativa. Non è un obiettivo che si raggiunge in un giorno, ma bisogna, con il concorso di tutti, gettare da subito le prime fondamenta su cui costruire l’edificio. A mio avviso sarebbe molto utile organizzare intorno a metà ottobre quella Assemblea costituente di due, tre giorni che De Magistris aveva proposto prima che dovessimo affrontare le elezioni anticipate. Sarebbe innanzitutto un modo di reincontrarci o di conoscerci per la prima volta. I compagni e le compagne sentono anche un gran bisogno di raccontarsi, di narrare le loro esperienze, esprimere le loro critiche, suggerimenti, proposte. La volontà militante – che purtroppo, di questi tempi, non è una virtù civile diffusa – si rafforza se tutti si sentono protagonisti di un progetto, se hanno diritto di parola, alla pari con gli altri. Naturalmente occorre arrivare all’appuntamento con qualche idea organizzativa. L’appuntamento deve essere in parte una festa ma deve concludersi con indicazioni operative ben chiare, perchè tutte e tutti tornino a casa sapendo come proseguire. Provo perciò a buttare giù delle idee da prendere come contributo sperimentale alla discussione che seguirà. E la prima cosa che mi sento di dire è che – con tutte le variazioni, declinazioni originali che possiamo immaginare –io non vedo organizzazione più efficiente, capace di tenere insieme pluralismo delle idee e capacità di azione, del partito. Il partito, non dimentichiamolo, << l’organizzazione della volontà collettiva>> (Gramsci) è una grande conquista della modernità, ha sottratto gli individui al loro isolamento molecolare e ne ha fatto una comunità di lotta, un protagonista di prima grandezza dell’età contemporanea in tutto il mondo. Anche se adesso i partiti non sono, almeno in Italia, che agenzie di marketing elettorale, noi dobbiamo tentare questo modello, sapendo che abbiamo intorno altre forze di sinistra con cui dobbiamo dialogare e un arcipelago vastissimo di associazioni, circoli, gruppi che non faranno mai parte di un partito, ma che saranno i nostri compagni esterni nelle varie battaglie e mobilitazioni che condurremo.

Un partito necessita di un portavoce e noi l’abbiamo. Chi ha seguito De Magistris anche nelle poche apparizioni televisive ha potuto constatare la sua capacità di rappresentarci e di dare calore comunicativo ai punti del nostro programma. Questo al netto della sua esperienza politico-amministrativa che nessuno di noi possiede. Naturalmente, come ho sempre sostenuto, se il suo ruolo e la sua figura nel nostro collettivo, sono naturaliter preminenti, dobbiamo evitare di imboccare la strada del partito del leader. Questa tendenza, ormai dominante dappertutto, va contrastata come effetto dello svuotamento di democrazia che i partiti hanno subito negli ultimi decenni, soprattutto in Italia. In concomitanza, del resto, con la torsione autoritaria che ha investito l’intera società, a cominciare dai sistemi elettorali. Il neoliberismo non ha liberato nessuno, ha creato nuovi vincoli e nuove servitù. Mentre la società dello spettacolo tende a rappresentare la politica come un gioco di società tra leader facendo scomparire tutti gli altri.

Quindi il portavoce deve avere attorno un gruppo dirigente rappresentativo delle varie anime di UP, che al momento sono i dirigenti delle forze politiche che la compongono. Potremmo chiamarlo Segretario Direttivo, si vedrà. Naturalmente in seguito bisognerà inventare procedure elettive che garantiscano un funzionamento pienamente democratico. E va da sé che occorrerà elaborare uno statuto. Potrebbe essere il caso di coinvolgere un gruppo di saggi – personaggi di prestigio esterni a UP – che ci aiutino in questo compito di selezione e fondazione delle regole di democrazia interna.

Un altro organismo che al momento io vedo necessario, per un primo assetto organizzativo, è un Comitato territoriale, vale a dire un organo in cui siano presenti i rappresentanti di tutti i territori, che si riunisce con una periodicità da stabilire. Si dovrà poi capire se una rappresentanza di dimensione regionale sia la misura più giusta e meglio gestibile.

Scendendo al livello organizzativo di base, cioè alla necessità di creare delle unità organizzative che possiamo chiamare circoli, sezioni, presidi, case del popolo o in altro modo, si pongono dei problemi politici rilevanti, anzi, il problema politico principale per la costruzione di un partito. Vale a dire il passaggio di Rifondazione Comunista, Potere al Popolo, Dema e tutte le formazioni minori alla nuova creatura chiamata Unione Popolare. Voglio premettere che io sono uno storico e per giunta un vecchio militante e posso capire forse più di altri l’attaccamento quasi carnale di tanti compagni alle proprie bandiere. So che in quel legame c’è un pezzo di storia della propria vita, battaglie, sacrifici personali, marce e nottate. Per questo ho il massimo rispetto per tali sentimenti di fedeltà, che davvero splendono di nobiltà di fronte alle giravolte dei voltagabbana della nostra scena parlamentare e partitica. Ma la politica, specie quella che ha l’ambizione di cambiare il mondo, è consapevolezza del proprio tempo e coscienza della propria storia. E la nostra, non dimentichiamolo, negli ultimi decenni è stata una storia di divisioni e lacerazioni. Dobbiamo essere consapevoli che se non vogliamo limitarci a fare opera di testimonianza, ma abbiamo l’ambizione di ottenere largo consenso dagli italiani, diventare forti per aiutare chi è stato emarginato, noi non possiamo presentarci come i resti di un esercito sconfitto. Diciamo la verità: Rifondazione, Potere al Popolo, Dema appaiono agli osservatori esterni come la testimonianza della sempiterna divisione della sinistra. Aggiungo qui un’altra considerazione: è il nostro vasto e disperso popolo di militanti e semplici elettori, deluso e scoraggiato, che vive come un dramma le nostre divisioni. Ne ho avuto ulteriori, molteplici prove durante la campagna elettorale. E il fatto di non accorgercene è la nostra maggiore colpa e una delle cause della nostra perdurante marginalità.

Dunque l’Unione Popolare è un passo in avanti, una conquista a cui occorre guardare con fiducia e generosità, puntando a rendere tendenzialmente ancora più vasto il campo dell’unità con le altre forze anticapitalistiche che esistono in Italia. Ricordo che Melenchon, Iglesias, Corbin, Ken Loach, non avrebbero espresso il loro autorevole appoggio alle singole forze se esse non si fossero presentate sotto il simbolo unitario dell’Unione.

 Passando perciò ai più terrestri problemi organizzativi io credo necessario, con tempi di maturazione che varieranno da situazione a situazione, che occorre creare dovunque sia possibile circoli, sezioni, case del popolo, ecc, con l’insegna di Unione Popolare, magari unificando le poche forze che abbiamo anche in uno stesso locale. Bisogna imparare a vivere insieme: anche questa è intelligenza politica, lavoro di costruzione del partito. Quanto più realizziamo ed esprimiamo spirito unitario tanto più diventiamo e appariamo forti e credibili.

E qui vorrei concludere con tre osservazioni e proposte. Dobbiamo trasmettere ai cittadini il senso della nostra utilità sociale. Oggi, fondatamente, la maggioranza degli italiani – come testimonia anche il crescente astensionismo – considera gli esponenti dei partiti come un ceto sociale parassitario. Vendono propaganda elettorale e in cambio ricevono i nostri voti: cioè soldi, potere, privilegi, visibilità mediatica in cambio di nulla. Quando non compiono scelte antipopolari… Noi siamo diversi, abbiamo programmi alternativi, ma non abbiamo ancora fatto niente, come Unione Popolare, per convincere i cittadini che siamo diversi e che potremmo realizzarli. Molto opportunamente, De Magistris ha cercato di smarcarsi da questa immagine, di rendersi credibile nel grande frastuono pubblicitario della campagna elettorale, ricordando la propria esperienza di Sindaco. Ma noi siamo agli inizi e dunque dico che i nostri presidi nel territorio devono assomigliare a sedi di volontariato. I cittadini del quartiere devono vedere in esse non soltanto il luogo dove si discute di politica, ma dove si insegna un po’ di italiano agli immigrati, si organizzano i GAS per portare le cassette di cibo a casa degli anziani, si aiutano le persone inesperte a risolvere al computer i loro problemi amministrativi. Attenzione a quest’ultimo aspetto: l’anafabetsimo informatico di tanti cittadini costituisce oggi una limitazione dei loro diritti. È come l’analfabetismo totale degli anni’50. Ma questi nostri centri dovrebbero essere in grado, con altre forze, di organizzare campagne ambientaliste con i giovani, i quali oggi sembrano interessati solo a questa forma di militanza. Quindi giornate dedicate alla pulizia dei giardini pubblici, delle spiagge, per la piantumazione di alberi in città, ecc.

Ma c’è un altro aspetto su cui voglio richiamare la vostra attenzione: noi dobbiamo distinguerci nel linguaggio, parlare davvero ai sentimenti delle persone, scambiare esperienze umane anche senza volontà di coinvolgimento politico. L’ideologia neoliberista ha ridotto la società a una giungla competitiva e noi dobbiamo combatterla a partire dal nostro comportamento, dalle nostre parole. I cittadini non hanno solo bisogno di vedere abbassate le bollette e aumentati i salari, vorrebbero sentire risuonare di solitudini frettolose: perciò occorre creare momenti di pausa, di nuovo le parole dell’amicizia, della solidarietà, della fratellanza e della sorellanza. Prendiamone atto: un Grande Inverno ha inaridito i sentimenti che avevano tenuto insieme milioni di persone, unite dalle stesse speranze e dagli stessi sogni. Le nostre città sono aggregati di fermo, di incontri senza fini utili, di festa, di bighellonaggio, di sberleffi alla società agonistica, spietata e stupida della corsa al danaro. Organizziamo giornate di rivolta civile spese per strada e nelle piazze a chiacchierare con gli amici, giocare con nostri figli e nipoti, coi nostri animali. Rendiamo consapevoli le persone di essere incalzate dal potere in ogni momento della loro vita, insegniamo loro a liberarsi. Al tempo stesso dobbiamo esprimere un atteggiamento di cura verso l’altro perché oggi lo dobbiamo avere anche per la natura, ferita dal nostro saccheggio. Noi saremo davvero il nuovo mondo possibile se riusciremo a legare insieme la fratellanza fra di noi con quella per tutte le altre creature viventi oggi in pericolo. Il rapporto con il mondo cattolico sensibile al messaggio di papa Francesco, ma anche con le compagne e i compagni che si raccolgono nella Società della cura, con tanti movimenti ambientalisti, i ragazzi di Fridays for Future, ecc. diventa in questo modo possibile.

Infine una proposta che ho già avanzato e che ripeto. Io ho i rapporti personali necessari per poter organizzare una Scuola di cultura politica e ambientale online, capace di diventare, con una lezione da remoto ogni settimana, un nostro marchio culturale e al tempo stesso uno strumento di formazione, di allargamento della nostra influenza, di arricchimento e unificazione della soggettività politica di tanti italiani, di dialogo con le altre forze di sinistra. Ogni settimana uno studioso terrà una lezione su un tema di sua competenza, che gli verrà richiesto secondo un calendario da costruirsi, così che centinaia di migliaia di persone possano ascoltarla in ogni angolo d’Italia. Ma per fare questo occorre una grande piattaforma informatica. Lo strumento, > tra l’altro, che ci può consentire l’informazione alternativa alla manipolazione sistematica della TV capitalistica. Questione non solo tecnica, ma anche politica. Occorre che le mailing list di Dema, Rifondazione, Potere al Popolo e delle altre formazioni si fondano. Ancora una volta dunque occorre un altro salto verso l’unificazione di Unione Popolare.

Popolare l’Unione

 Paolo Bartolini  28/09/2022

Di rifondare la sinistra si parla da decenni. Ma questo interessa poco l’elettorato e gli italiani. I problemi sono ben altri, concretissimi, per i quali – paradosso nel paradosso – dobbiamo ringraziare anche e soprattutto chi si è appropriato del nome “sinistra” per poi mandare al macero ogni suo valore storico, ogni fiducia e prospettiva di cambiamento.

Non mi sono affatto pentito di aver votato Unione Popolare. Credo, tuttavia, che servano passi decisi verso una rigenerazione dell’intera area che definirei critica verso il tecno-capitalismo ed ecosocialista.

Con gratitudine per i partiti che si sono spesi, soprattutto nella raccolta firme improvvisata in piena estate, mi sembra sia giunto il momento di avere coraggio, pena il deperire e fossilizzarsi, mentre il mondo va (ed è già andato) da tutt’altra parte.

Questi i punti centrali da affrontare:

1) scioglimento dei partiti di sx esterni al PD in Unione Popolare (parlo ovviamente di quelli che hanno aderito alla sigla elettorale e di quelli che hanno simpatizzato in vista del voto).

Basta falci e martello, stop ai residui (non pochi) di settarismo, addio agli identitarismi rigidi, ma anche alle ambiguità intollerabili (penso a chi, puntualmente, in occasione delle elezioni finisce per fare da stampella al Partito Democratico in funzione “antifascista”);

2) confronto serio e approfondito sugli errori (una marea) fatti da buona parte del mondo radicale e progressista in merito alla gestione autoritaria della pandemia/sindemia. Non capire nulla di come le emergenze vengono utilizzate per polarizzare l’opinione pubblica e difendere il potere, è un serio problema, sottovalutato con superficialità da compagni e compagne, con gran danno per tutte/i. Registro, con piacere, che qualcosa si muove in UP, serve però uno sforzo ulteriore (nella recente lettera aperta a De Magistris che abbiamo scritto insieme a Sara Gandini, ci sono alcuni punti chiari che, secondo me, dovrebbero far parte di un programma politico che tenga insieme cura, libertà e responsabilità, oltre i fanatismi e le rispettive incomprensioni);

3) dare priorità alle battaglie sui beni comuni e alla costruzione di reti di mutuo aiuto e solidarietà orizzontale, come fu in Grecia ai tempi di Syriza prima del massacro targato UE;

4) costruzione di proposte dettagliate di medio-lungo periodo per rivedere il posizionamento dell’Italia rispetto all’attuale architettura dell’Unione Europea. Sono dell’idea che l’orizzonte europeo sia fondamentale per il bene delle classi popolari, dei lavoratori, dei ceti medi, ma non dentro questa cornice di governance. Le sparate No euro/No UE sono roboanti e non attuabili. Però, va detto, l’europeismo generico è vago e dannoso. Sogni un’altra Europa? Spiega come arrivarci e a quali condizioni, con quali alleati, con che tempi, ecc. La questione è aperta e va posta esplicitamente;

5) costruire una proposta credibile di riforma radicale dei mass media: il filtro dei giornali mainstream e delle televisioni è ancora decisivo. I social e internet abbisognano, invece, di politiche (ancora tutte da pensare) finalizzate a mettere le piattaforme sotto controllo democratico;

6) abbracciare un pacifismo che consenta di toglierci gradualmente dall’orbita della NATO, con l’obiettivo di relazionarci in maniera paritaria e non subalterna con tutti gli attori globali;

7) smettere di agitare lo spauracchio del fascismo (per coagulare sentimenti identitari e null’altro) e agire politicamente per trasformare le condizioni sociali, economiche e culturali che permettono alle destre di prosperare. L’antifascismo deve andare alle radici e non titillare le paure e gli sdegni del popolo social che perde la propria vita tra un hashtag e l’altro;

8 ) va benissimo alzare il salario minimo e potenziare il reddito di cittadinanza, ma rimarcando sempre la necessità di diminuire l’orario di lavoro a parità di salario: abbiamo bisogno di un tempo liberato.

Questo e altro servirà per tenere insieme battaglie sociali e rappresentanza politica, moltiplicando il dialogo, applicando l’intersezionalità delle lotte, insomma: popolando l’unione che ancora non c’è e tenendola aperta, soprattutto all’incontro con le realtà che resistono al peggio nel nostro Paese, ma non si riconoscono nella sinistra.

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