“PATADRAG” da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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“PATADRAG” da IL MANIFESTO e IL FATTO

 

 

Nella confusione del dopo Draghi, diseguaglianze e povertà sembrano non contare

Paolo Maddalena  25 LUGLIO 2022

La caduta del governo Draghi, dovuta essenzialmente all’arroganza del suo discorso, ha purtroppo, nei fatti, rafforzato l’attuale sistema economico predatorio neoliberista.

A lui si era opposto Giuseppe Conte, il quale, dopo essersi speso a suo tempo fino all’ultimo sforzo per combattere l’improvviso avvento della pandemia di Covid-19, ha rivendicato con lodevole insistenza alcuni correttivi importanti all’azione di governo, e principalmente il salario minimo, il reddito di cittadinanza e il super bonus edilizio.

Ma Draghi ha imposto il suo diktat in base al principio della intoccabilità di una formazione governativa di unità nazionale.Purtroppo nello scambio di accuse sulla individuazione dei responsabili della crisi si è perso di vista l’essenziale e cioè il fatto che Conte aveva espresso l’ultimo sussulto, ben presente nella popolazione italiana, teso a un cambiamento del sistema economico ora dominante, ma i media hanno trascurato quest’aspetto e ora domina incontrastato il principio secondo il quale l’attuale sistema economico predatorio neoliberista deve ritenersi l’unica realtà esistente.

Sul piano politico sono riemersi i personalismi, innanzitutto di Berlusconi, affiancati dai convincimenti populisti di Salvini e della Meloni, mentre molto accesa resta la battaglia per chi sarà il Presidente del Consiglio dei ministri.

In questo settore politico il fatto che viviamo in un sistema economico predatorio che produce diseguaglianze sociali, povertà assoluta, perdita di posti di lavoro, blocco dello sviluppo economico e indebitamento, non è minimamente tenuto in considerazione.

Sul lato opposto della cosiddetta sinistra il Pd di Letta si dichiara strenuo difensore di Draghi, e quindi del più pervicace neoliberista, e cerca di raggruppare intorno a sé, sia le formazioni di centro come Azione di Calenda, sia le altre sparpagliate formazioni cosiddette di sinistra.

In questo quadro quello che colpisce è lo sbandamento, l’incapacità di capire, l’indifferenza e talvolta lo sgomento dell’elettorato, nel quale sono molti quelli che soffrono per la perdita dei posti di lavoro, per il disfacimento dello Stato sociale, per l’aumento dell’inflazione, per i danni provocati dalla guerra in Ucraina e per lo spettro sempre presente dello sconvolgimento climatico della Terra.Di fronte a tali gravi problemi un punto di riferimento certo, come sempre ho ripetuto, è la nostra Costituzione, secondo la quale è criminale consegnare il mercato soltanto nelle mani di privati, in modo che esso non serva più a fini sociali, come vuole l’articolo 41, comma 3, della Costituzione, ma solo a fini individuali.

È quanto hanno voluto, a partire dall’assassinio di Aldo Moro in poi, quando l’Italia brillava per il suo miracolo economico, alcuni politici ben noti che ora non conviene neppure nominare.

Occorre dunque una nuova formazione politica che riacquisti al Popolo la proprietà pubblica demaniale perduta e rilanci l’intervento dello Stato nell’economia. Le mie speranze restano affidate al nascente movimento Unione Popolare, che ha fatto della Costituzione il suo faro di orientamento.

«Ci vogliono escludere dal voto con cavilli giuridici»

L’UNIONE POPOLARE E ALTRE FORZE POLITICHE SCRIVONO AL PRESIDENTE MATTARELLA.

 Giuliano Granato (Pap): «Difronte abbiamo la crisi di un sistema politico e della sua classe dirigente, delle lobby neoliberiste, di chi si era definito trasformatore e invece è stato trasformista»

Adriana Pollice  26/07/2022

«Vorrebbero impedirci di partecipare al voto con un vero e proprio attacco alle regole democratiche: costringere solo noi, che ci siamo opposti al governo e alla guerra, a raccogliere migliaia di firme in piena estate, mentre altri con un mero cavillo ne sono esentati solo perché hanno sostenuto il governo»: l’accusa arriva dall’Unione popolare, nata dalla convergenza della componente parlamentare ManifestA, Potere al popolo, Rifondazione comunista e Dema, il movimento dell’ex sindaco di Napoli Luigi de Magistris.

Per la parlamentare Simona Suriano «sembra che si siano messi d’accordo per fare un regolamento ritagliato per consentire la partecipazione ai ‘soliti noti’ del trasformismo che ha sostenuto il governo Draghi, e allo stesso tempo per escludere tutte quelle nuove forze sociali, politiche che emergono e che chiedono il cambiamento. Una ghigliottina alla democrazia che taglia fuori un pezzo significativo di paese reale, aumenta la disaffezione alla partecipazione e alle elezioni e spinge all’astensionismo».

A cosa si riferisce lo spiega Giuliano Granato, portavoce nazionale di Pap: «Il decreto Elezioni, articolo 6bis, dice che sono esentate dalla raccolta firme le forze che hanno almeno un gruppo parlamentare e hanno ottenuto l’1% alle scorse politiche ma devono essere state candidate in coalizione. Questo, ad esempio, taglia le gambe a Pap (che ha preso l’1,2% e ha una componente alla Camera e Senato con ManifestA) costretta a raccogliere le firme in poche settimane mentre il partito di Maurizio Lupi, Noi con l’Italia, che nel 2018 ha preso 1,3%, è esente poiché era nello schieramento del centrodestra. Pochi mesi fa tanti che in parlamento cianciano di “rivoluzione digitale” hanno votato contro la possibilità di raccogliere le firme utilizzando lo Spid. Abbiamo scritto, insieme ad altre forze politiche, al presidente Mattarella perché venga sanato questo gravissimo vulnus ma comunque ci stiamo organizzando sui territori raccoglieremo le firme».

Il 9 luglio c’è stata la prima assemblea nazionale dell’Unione popolare, un percorso iniziato con la costituzione di ManifestA: «Abbiamo cominciato a collaborare – prosegue Granato – per portare le nostre istanze in parlamento. Come la legge depositata in Senato contro le delocalizzazioni scritta con gli operai della Gkn e i professionisti del telefono rosso di Pap. Le nostre parlamentari si sono opposte all’invio di armi in Ucraina, sono state le uniche presenti all’incontro con le omologhe francesi in Val di Susa. Da lì nasce il progetto politico a cui ha poi aderito de Magistris».

L’ex sindaco di Napoli dalle colonne di Repubblica ha lanciato la proposta di coalizione con i pentastellati: «Sono in contatto con esponenti della politica e dell’M5s – ha spiegato -. Questo dialogo deve partire domani, entro fine luglio si deve definire. È utile a tutti. Conte ha una scelta importante da fare». Ieri però non sono arrivate repliche ufficiali.

«Pap è disposta a costruire una convergenza tra tutte le forze progressiste che si sono mosse in opposizione al governo Draghi – conclude Granato -, alle politiche neoliberali, per la via diplomatica alla risoluzione dei conflitti, a favore del salario minimo a 10 euro l’ora, di un cambio di paradigma industriale e di investimenti per una reale transizione ecologica, contro le privatizzazioni, il mercato del lavoro selvaggio, per la redistribuzione della ricchezza con patrimoniale e tassazione progressiva. Difronte abbiamo la crisi di un sistema politico e della sua classe dirigente, di chi si è seduto con le lobby neoliberiste, di chi si era definito trasformatore e invece è stato trasformista governando con la destra, con il centrosinistra e poi con Draghi. Parliamo a chi non vota e da anni non ha rappresentanza, dovremo andare a cercarli nel calore di agosto, una sfida difficile ma necessaria».

«Il Pd sceglie l’agenda liberale». Il M5S si prepara alla rottura

PATADRAG. Cresce il fronte critico dei grillini

Giuliano Santoro  26/07/2022

Se Luigi De Magistris chiama, Giuseppe Conte ancora non risponde, anche se comincia a elaborare la rottura con il campo largo. Quest’oggi la direzione democratico chiuderà definitivamente all’alleanza col Movimento 5 Stelle. Fino ad oggi i messaggi dell’Unione popolare dell’ex sindaco di Napoli con Rifondazione e Potere al popolo erano stati messi da parte in attesa di sviluppi. Dal M5S consideravano normale, quasi fisiologico, che la tempesta durasse qualche giorno.

LO FA CAPIRE Giancarlo Cancelleri. «Ho imparato che in politica può succedere di tutto e che persone di buon senso possono parlare e trovare soluzioni – dice il sottosegretario alle infrastrutture – Diamoci tempo fino ad agosto, quando dovranno essere presentate le liste. Se c’è unità di intenti e voglia di correre insieme per un obiettivo comune su scala nazionale, bene. Altrimenti sarà davvero liberi tutti». Ma la sensazione che il «liberi tutti» sia già ineluttabile viene dalle parole di un altro grillino di governo: il capodelegazione Stefano Patuanelli attacca a testa bassa il dialogo tra Letta e Calenda. «Patto Repubblicano ma senza Tizio, Caio e Sempronio – scrive Patuanelli su Facebook – Agenda Draghi, ma senza agenda sociale. Scissioni che impongono condizioni. Correnti interne che dettano le linee politiche ai segretari. Raggruppamenti politici per metà al governo e per metà all’opposizione. Partiti senza posizioni che tentano di posizionarsi. Transfughi in cerca di seggi sicuri. Era questa l’unità nazionale? Che gran casino».

NON SEMBRANO rassegnarsi al divorzio gli esponenti della sinistra del centrosinistra che in questi anni hanno contato sul M5S per spostare il baricentro della coalizione su alcuni temi. «Perché il Pd vuol regalare le elezioni e il governo del Paese alla peggior destra? – dice ad esempio Lorendana De Petris, capogruppo al Senato di Leu – Quale intelligenza politica c’è nel buttare a mare tre anni di paziente lavoro per costruire un programma progressista comune con il M5S, che non ha affatto sfiduciato il governo Draghi come recita la vulgata? Solo una vera alleanza progressista può fermare la destra ed è assurdo sacrificarla per il dissenso provocato da un singolo articolo sul quale è stato un errore porre la fiducia». Arturo Scotto, coordinatore di Articolo1, dà per scontata la frattura ma persegue l’idea che si possa trovare una soluzione che argini il tracollo nei collegi uninominali. «Dopo l’errore grave di aver fatto cadere il governo e diventare strumento dell’estrema destra, un accordo tecnico può darsi sia una strada percorribile, un tentativo va esperito».

LA NARRAZIONE che comincia provenire tra i 5Stelle è che il Pd abbia scelto di rompere il fronte progressista usando la crisi di governo come scusa per abbandonarsi alle correnti centriste. «Il Pd con Draghi e Calenda ha scelto l’agenda liberale – dice ad esempio il deputato Luigi Gallo – Il M5S sceglie di dare voce a chi è debole, a chi si sta impoverendo, alla generazione che contrasta le devastazioni ambientali. Siamo la forza che può guidare una moderna alleanza ecologica e progressista senza compromessi». Gallo è uno dei circa 40 parlamentari che si trova al secondo mandato e che dunque non verrà ricandidato. Ha fatto sapere, e come lui ha fatto un pugno di deputati e senatori, di voler restare comunque «al servizio del progetto politico di Giuseppe Conte». Non tutti la prendono con filosofia: alcuni dei big starebbero ancora attendendo che l’avvocato trovi modo di concedere loro una deroga. Potrebbe tornare utile una proposta di compromesso avanzata ormai più di un anno fa: i personaggi di primo piano aspiranti al terzo mandato potrebbero essere schierati soltanto in quota uninominale, là dove dovrebbero conquistarsi i voti uno a uno per superare gli altri candidati.

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