LA NOSTRA VIA MAESTRA: LIBERTÀ,DEMOCRAZIA, PARTECIPAZIONE da IL MANIFESTO
La nostra via maestra: libertà, democrazia, partecipazione
VERSO IL 7 OTTOBRE. Libertà, democrazia e partecipazione sono state le parole importanti della giornata nazionale dell’Associazionismo italiano che si è svolta a Roma qualche giorno fa. Un momento, il primo, che si è […]
Walter Massa * 05/10/2023
Libertà, democrazia e partecipazione sono state le parole importanti della giornata nazionale dell’Associazionismo italiano che si è svolta a Roma qualche giorno fa. Un momento, il primo, che si è reso necessario per un sentire comune, largamente diffuso, che vede quei capisaldi della nostra convivenza in serio pericolo.
Non è una questione solo nazionale visto che da qualche anno assistiamo ad un sempre più marcato restringimento dello “spazio civico europeo”.
Nell’ultimo discorso sullo stato dell’Unione prima delle elezioni europee, la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, come ricordato dal Forum Civico Europeo, di cui Arci è parte attiva, ha completamente escluso il termine “società civile”, menzionando di sfuggita la parola “democrazia” pur affrontando temi come clima, competitività, parità di genere, geopolitica, migrazioni e lavoro.
Non è un caso ma una vera e propria svolta culturale e politica che si basa su due fattori principali che sostanziano le nostre preoccupazioni: le recenti affermazioni di gruppi politici di estrema destra, ora al governo di diversi paesi, e le continue minacce alle libertà in diversi Stati membri, sono lo sfondo macabro e perfetto di questa svolta.
Ungheria, Italia, Svezia, Finlandia e Grecia sono lì a dimostrare la veridicità di queste nostre preoccupazioni e l’evidente tentativo di limitare la “libertà di associazione”, in barba alla nostra Costituzione e ai Trattati europei. E i modi trovati sono i più disparati.
Sempre il Forum Civico Europeo ci ricorda che il CIVICUS Monitor (una piattaforma europea che traccia e valuta lo spazio civico) ha messo in evidenza le cinque principali restrizioni nell’UE per il 2022 – intimidazioni, molestie, detenzione di manifestanti, attacchi ai giornalisti e censura – con il diritto alla libertà di riunione pacifica ripetutamente preso di mira.
Non solo, in Francia la legge sul separatismo impone a ogni associazione che richiede un finanziamento pubblico di firmare un “contratto di impegno ai principi repubblicani”, che non pare proprio un “contratto”. Risultato? L’associazione Femmes sans Frontières, che aiuta donne vittime di violenza domestica e migranti, è stata accusata di “non rispettare i valori repubblicani” in quanto la sua direttrice, Faïza Boudchar, indossa il velo.
Ancora, nell’ultimo decennio il Regno Unito ha visto un declino delle libertà civiche. Il governo ha approvato una legge restrittiva sulle proteste dando alla polizia maggiori poteri per reprimerle.
Anche in Spagna le restrizioni alle libertà civiche si sono intensificate. La legge bavaglio del 2015, nonostante i tentativi di riformarla, è stata utilizzata per colpire manifestanti, militanti, attivisti e giornalisti.
In Austria e Finlandia la violenza della polizia durante le proteste ha colpito in particolare gli attivisti per il clima e le loro azioni e non mancano Governi europei, compreso il nostro, pronti a “inasprire le pene” e a seguire le loro orme.
In Italia, oltre a tutto questo e ad un attacco generalizzato e mirato verso le ragazze e i ragazzi, è in atto da tempo un tentativo di colpire l’associazionismo democratico e civico che vive soprattutto di autofinanziamento e attraverso questo difende quel bene prezioso che è la libertà. Un tentativo perpetrato in modo subdolo, con l’intensificarsi della burocrazia e partendo dal presupposto malsano che le associazioni debbano dimostrare di non commettere reati e omissioni con uno Stato completamente incapace di controllare seriamente.
Dagli anni 2000 il volontariato associativo, tanto osannato durante eventi tragici dalle istituzioni di ogni ordine, colore e grado, in realtà è sempre più vessato da scartoffie e fogli da compilare, trasformando quel prezioso tempo da dedicare ad altri o a se stessi dopo il lavoro, in tempo per calarsi nei panni di avvocati e commercialisti. Tempo in cui “avere paura dello Stato”, quello stesso Stato che però ti chiede di sostituirlo nelle politiche di welfare pubblico e di prossimità.
Il risultato è che l’autonomia del sociale per cui ci siamo battuti negli anni 90 è fortemente a rischio come lo è nei fatti l’art. 18 della Costituzione sulla libertà di associazione.
Restringere questo spazio di libertà, colpire il “potere” di emanciparsi, crescere e progredire collettivamente, un diritto primario che sta alla base di qualunque forma di auto-organizzazione e di presa di coscienza, è l’elemento più pericoloso di questa tragica stagione politica italiana. Per questo il 7 ottobre a Roma la nostra Via Maestra non può che ripartire dai tre capisaldi fondamentali della nostra Costituzione, libertà, democrazia e partecipazione.
* Presidente nazionale Arci
Non potremmo più dire: «Non lo sapevo»
VERSO IL 7 OTTOBRE. È stata ormai dichiarata ad alta voce la volontà di stravolgere il nostro assetto democratico con due obiettivi: presidenzialismo o premierato e autonomia differenziata
Gaetano Azzariti * 05/10/2023
Non potremmo dire: «Non lo sapevo». Dovremmo ammettere che pur consapevoli di quel che ci aspettava non abbiamo fatto nulla per impedirlo, neppure quel poco che potevamo fare.
È stata dichiarata ad alta voce, infatti, la volontà di stravolgere definitivamente l’assetto costituzionale, di abbandonare la “via maestra”. C’è voglia di farla finita con questa nostra costituzione: un ostacolo ancora troppo ingombrante per chi vuole governare senza intralci in nome degli interessi del più forte.
Lo abbiamo letto nei programmi dei partiti e nelle dichiarazioni esplicite dei leader, negli atti depositati e in quelli preannunciati. Presidenzialismo o premierato e autonomia differenziata: sono questi i due principali obiettivi politico-istituzionali che si vogliono raggiungere. Come che la si pensi due riforme che ci consegnerebbero ad un altro sistema rispetto a quello disegnato con la costituzione repubblicana.
Partiamo dalla elezione diretta del Presidente (della Repubblica ovvero del Consiglio: come se fosse equivalente, purché si elegga un “Capo”). Può non essere considerato un male in sé – quante volte ci sentiamo ripetere che in fondo gli Stati Uniti, la Francia sono ordinamenti non meno democratici dell’Italia – ma lo diventa in un paese come il nostro privo di forti contropoteri e che, a seguito della riforma, perderebbe l’unico organo di garanzia politica attualmente operante: il nostro presidente garante, infatti, verrebbe travolto dal presidente governante. Che rimanga il suo simulacro (nell’ipotesi del premierato) o che venga sostituito (nelle ipotesi presidenziali o semipresidenziali) in fondo poco importa: la forma di governo parlamentare sarebbe comunque condannata a morte e le logiche di un presidenzialismo asimmetrico (senza contrappesi) dominerebbero.
In questa “asimmetria” si cela il rischio più grave per la nostra democrazia. Infatti, la storia – oltre la cronaca – ci dimostra che presupposto di ogni forma di governo che si voglia democratica e non illiberale è la conservazione di un equilibrio tra i diversi poteri. Parlamento, Governo, magistratura.
In fondo non è altro che il sacro principio della divisione dei poteri e dei “checks and balances”. Tutte le forme di governo presidenziali sono degenerate – a volte tragicamente – in mancanza di tali presupposti: si pensi alle diverse situazioni nei paesi dell’America latina o nei paesi dell’est europeo ad iniziare dalla Turchia per finire in Russia.
Vogliamo correre questo rischio? Pericolo più che reale visto lo stato di debolezza e di difficoltà del nostro parlamento, che, in ogni
forma di governo, rappresenta il contrappeso naturale del governo. Il nostro parlamento non è, né mai sarà, il potentissimo Congresso statunitense che non esita a bocciare tutte le richieste presidenziali non gradite; nel nostro Paese l’organo della rappresentanza è già oggi dominato dal Governo che ne dirige i lavori e ne indirizza le decisioni.
Sarebbe allora più saggio cercare di far funzionare il parlamento, meglio di quanto non abbia sin qui fatto, razionalizzandone i lavori, i compiti e il ruolo; rafforzandone l’autonomia dall’esecutivo. Perché di questo avremmo certamente un gran bisogno.
Perché è questa la via maestra che ci indica la nostra costituzione.
Una parola anche sul progetto di autonomia differenziata. Solo per ricordare quel che è la reale posta in gioco.
Anche qui è una questione di equilibri. L’articolo 5 della costituzione riconosce e promuove le autonomie locali, ma garantisce anche l’unità ed indivisibilità della repubblica; la nostra costituzione garantisce tutti i diritti inviolabili – civili, politici, sociali, di nuova generazione – su tutto il territorio nazionale.
Siamo sicuri che attribuire in via esclusiva ad alcune regioni, fatti salvi i livelli essenziali, materie come sanità, scuola, lavoro ci faccia rimanere ancora una nazione, “una e indivisibile”? Siamo sicuri che la solidarietà territoriale, l’eguaglianza dei cittadini e tutti i principi fondamentali che la nostra via maestra – la costituzione – impone possano essere rispettati?
Il 7 ottobre scenderemo in Piazza anche – soprattutto – per evitare di imboccare la strada sbagliata. Non possiamo voltarci dall’altra parte. Noi “lo sappiamo”.
* Presidente di Salviamo la Costituzione
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