L’ ANTIDOTO AL DEGRADO DELLA DEMOCRAZIA? LA LOTTA! da IL MANIFESTO
Quella democrazia che la «tecnica» ha ormai disertato
LOBBIES D’EUROPA. Bruxelles è la seconda capitale del mondo, dopo Washington, in termini di lobbying: secondo le stime, nella capitale belga 48mila persone lavorano in organizzazioni che cercano di influenzare le istituzioni Ue
Pier Giorgio Ardeni 15/12/2022
Per quanto desti giustamente scandalo la corruzione rivelata dalle valigie di banconote, ciò che non appare in nessuno dei commenti sulla vicenda è quanto all’origine vi siano l’opacità e le caratteristiche stesse del sistema messo in piedi dall’Unione europea. In cui l’enorme potere regolatorio di cui questa si è dotata nel tempo ne hanno fatto una macchina normativa plagiata dagli interessi.
Il problema sta nel cosiddetto «lobbying» – «fare influenza, per veicolare specifici interessi» – che l’Ue avrebbe voluto regolare con un organo, il Transparency Register, in cui registrare formalmente chi vuole fare del lobbying. Come già notava Transparency International, un’organizzazione indipendente, il processo decisionale delle istituzioni europee – dal Consiglio europeo, alla Commissione al Parlamento – resta opaco e non atto a rispondere delle sue azioni (non è «accountable»).
Bruxelles è la seconda capitale del mondo, dopo Washington, in termini di lobbying: secondo le stime, nella capitale belga 48mila persone lavorano in organizzazioni che cercano di influenzare le istituzioni Ue. Ben 7.500 di questi hanno un badge che li accredita come “lobbisti” nel Parlamento Ue. Sono 12mila le organizzazioni che risultano nel registro delle lobby, con un budget annuale ufficiale di 1.8 miliardi di euro. L’accreditamento nel registro, tuttavia, è volontario, e il Parlamento, nonostante le promesse, non lo ha mai reso obbligatorio.
Le attività di lobby, quindi, non sono sostanzialmente regolate dalle istituzioni Ue, che non hanno modo di proteggersi. Sono anni che viene promesso, a tutti i livelli, che le Ue si doterà di misure, registri e regolamentazione del lobbismo, senza venirne a capo. Così, grandi e piccole corporations, multinazionali e gruppi industriali, fondi di investimento, studi legali e consulenti spendono milioni di euro per assicurarsi che passi la legislazione che gli preme.
Perché l’altra faccia della medaglia è che Commissione e Parlamento Europeo sono diventati, negli anni, enormi macchine legislative che normano la nostra vita su centinaia di aspetti, dai più minuti ai più vasti. Con direttive che spesso seguono i desiderata dell’industria più che quelli dei consumatori, degli Stati e dei governi più dei cittadini. I casi più eclatanti sono più noti, come quelli dei glifosati o degli ogm, ma ce ne sono migliaia di altri che non assurgono alle pagine della cronaca.
I cosiddetti team di esperti consultati nel processo legislativo sono per lo più composti da rappresentanti delle lobby del «big business». Nessuno, però, vaglia l’eticità delle loro proposte. Che, quando manca, viene naturalmente «oliata» con generose prebende. Alimentata, poi, dalle «porte girevoli», per cui commissari o parlamentari, scaduto il mandato, vanno a farsi consulenti delle lobby, mantenendo un’influenza fuori controllo. Bisogna poi considerare che la Ue, nelle sue varie articolazioni, è un enorme dispensatore di denaro in una miriade di direzioni, tanto tra i Paesi membri che all’esterno, secondo linee politiche spesso celate sotto manto tecnico.
Se tutto ciò è stato possibile, però, è perché i politici eletti hanno mancato all’origine di perseguire una delle loro funzioni: fare sì che le scelte fossero sempre e comunque ispirate ai bisogni dei cittadini, sottraendole alla cattura del big business. In un articolo del giugno scorso, ad esempio, la Ong Euraktiv avvertiva di come il Parlamento fosse stato investito da uno «tsunami di lobbying» e di come parlamentari e funzionari fossero totalmente passivi, ora che si tratta di favorire l’Agenda 2030 per la transizione ecologica, la nota «Fit for 55».
La politica vola «alto», si occupa delle grandi questioni, e con essa i media, che non seguono i «dettagli». Ma le politiche riguardano proprio quei dettagli, sui quali invece il big business è molto attento, per proteggersi. Con un cinismo che sarebbe stato inviso ai «Padri fondatori» si pensa che la politica sia questo, per ottenere che a influenza sia associata altra influenza, in un circolo viziosissimo, ben lontano dagli interessi sia dei cittadini che degli ideali a cui dice di ispirarsi.
Avrà anche ragione ora Pierfrancesco Majorino a chiedere una commissione d’inchiesta. Ma ciò che lui e tutti gli altri eletti in questi anni – soprattutto a sinistra – avrebbero dovuto fare è puntare i piedi perché i meccanismi decisionali della Ue non fossero così opachi e vulnerabili. L’aver ridotto le istituzioni Ue a mere istanze normative, «tecniche», ne ha svuotato il senso democratico, così lasciando il campo al lobbismo e, in definitiva, ai sovranismi dell’Europa delle nazioni, ben lontani da quell’Europa sovranazionale dei popoli che ne era stata il faro originario.
C’è una sola saggezza, è quella della lotta
SCENARI. Mai come in questo frangente si sente l’urgenza di ridare al mondo del lavoro una rappresentanza politica, che manca oggi a una sinistra per essere riconosciuta come tale
Mario Tronti 15/12/2022
Il piglio antagonista, con incorporato un punto di vista di parte, da primi anni Sessanta, in alcuni di noi, sopravvissuti, non è spento. È il fuoco che cova sotto la cenere. È quel «fuoco nella mente» che sempre è stato alla base delle tante dimenticate insubordinazioni degli ultimi. Sta a voi, nuove generazioni, rimuovere la cenere e riaccendere questo fuoco. Perché, sarà il taglio di discorso più efficace per affrontare, nel tempo che sta per venire, l‘inevitabile caduta agli inferi di questa decadente postmodernità.
Naturalmente occorrerà con intelligenza adattarlo alle contingenze delle forme, oggettive e soggettive, radicalmente mutate.
UNA COSA È CERTA: mai come in questo frangente si sente la necessità e l’urgenza di ridare al mondo del lavoro una rappresentanza politica: esattamente quello che manca oggi a una sinistra per essere riconosciuta come tale. Bisogna ripartire dalle piazze sindacali, in primo luogo con la Cgil, allargandole alle nuove forme di lavoro, oltre che materiale, anche immateriale, a quelle insopportabili dei lavoratori precari, a quelle in difficoltà dei lavoratori autonomi, a quelle drammatiche dei lavoratori immigrati, persone in carne ed ossa sottoposte alle tante nuove situazioni di sfruttamento.
MI È CAPITATO di usare un’immagine che riprendo, perché passata come al solito sotto silenzio: richiamare in patria un popolo del lavoro in esilio, attualmente addirittura nella Babilonia della destra. Lo ripeto qui perché vedo che (in questo dialogo ndr), con parole e sensibilità diverse si consente su questo punto. Il nome di patria, in questo caso, indica un soggetto politico organizzato a sinistra che riparta da lì. Politico, non antipolitico. Raccomando: non è roba da grillismo, più o meno riverniciato in salsa stancamente progressista. È una cosa seria.
Si tratta di ricomporre, quasi dal nulla, una grande forza popolare, spendibile, credibile, direi quasi futuribile. Un impegno che ha bisogno di un tempo scandito, controllato, che va coltivato, non improvvisato. Una scommessa ben calibrata, discussa, pensata. Il Pd ha ormai un consenso abbastanza stabilizzato che io chiamo di borghesia medio-grande illuminata. È bene che lo mantenga.
Ha sofferto per la sua insufficiente capacità di coalizione. Ho chiesto al Pd di mettere al centro del suo congresso una semplice domanda: perché la povera gente vota la destra? Dalla risposta a questa domanda deriva tutto il resto, identità, classe dirigente, leadership, forma di organizzazione. Se su questo si continua a tacere, allora vuol dire che c’è bisogno, alla sinistra del Pd, di una presenza politica, di un’offerta elettorale, consistente, non minoritaria, autorevole, affidabile, che rappresenti quella parte di società che ha soprattutto nelle frammentate figure di lavoro la sua forma di vita.
È NECESSARIO SU QUESTO progetto richiamare in campo politico personalità che hanno avuto una frequentazione con il mondo del lavoro subordinato e sfruttato, e quindi da esso vengono riconosciute: dal sindacato, dai movimenti, dall’associazionismo cattolico, dal volontariato laico.
La sinistra ha una sola strada per tornare a vincere: togliere popolo alla destra, riprendersi quello che è suo proprio, la rappresentanza delle persone che una volta chiamavamo semplici.
QUESTO PER L’IMMEDIATO. Ma non fermarsi qui. C’è di fronte, accanto, sopra di noi, il mondo grande e terribile. In vorticoso mutamento. Quello ormai è il terreno decisivo. Le vicende interne alle singole nazioni appaiono come liti di cortile rispetto al grande gioco, cioè a questo ridisegnarsi geopolitico in atto degli equilibri tra blocchi di potenze. Il ritorno della guerra nel cuore dell’Europa ne è il segno eloquente. Non è un incidente della storia, è la storia stessa che torna a far valere la tragica regolarità del suo cammino. E che solo la grande politica può possedere e contrastare.
Ragazzi, leggete Kissinger, leggete Huntington, che vi dicono come stanno le cose, scegliete tra i numeri di Limes il racconto vero di cause e andamenti degli eventi, che tutti vengono da lontano, e hanno un senso più profondo di come vogliono farci credere con l’asfissiante narrazione dominante, non date retta ai giornali di regime, alle chiacchiere televisive, tutto sotto dettatura di un pensiero che pretende di essere unico in un mondo che di nuovo si divide in due. L’ Occidente euro-atlantico non si rassegna ad essere ormai quello che è, una minoranza dell’umanità che solo in virtù della sua pretesa «ragione», tra l’altro più che armata, vuole imporre le sue forme di vita al resto del mondo, popolato da miliardi di essere umani, che escono da una secolare condizione di colonialismo e imperialismo, per rivendicare un proprio autonomo riscatto.
IN MEZZO C’È QUESTA Europa, ridotta a terra dei mercati e delle monete, che ha rinunciato ad essere terra di cultura e di politica. Desolante lo spettacolo di quelle riunioni dei capi di Stato e di governo che si incontrano, si abbracciano, si sorridono, mentre tutti sappiamo che non contano un bel niente nell’immane problema dell’attuale riassetto del mondo. E stanno lì alla cuccia agli ordini del padrone americano. La fine della storia è in realtà la fine della loro storia.
CARI GIOVANI compagni, avete davanti un futuro difficile, aperto ad esiti oggi imprevedibili. Seguitelo, giudicatelo, con spirito libero e pensiero forte, soprattutto combattetelo, rovesciatelo, perché per ora quel futuro non è nelle vostre mani ma in quelle dei vostri nemici. Strappatelo da quelle mani.
* È in uscita il nuovo numero di Infinitimondi Bimestrale di pensieri di Libertà, il 26/2022. Al suo interno, tra gli altri interventi, un originale dialogo tra Mario Tronti e tre giovani di Associazioni campane Antonio Avilio, Michele Grimaldi e Giovanni Sannino. Pubblichiamo una anticipazione dalla risposta di Mario Tronti ( infinitimondirivista@gmail.com)*
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