INSIEME PER LA CARTA, MA NON DIMENTICATE LA LEGGE ELETTORALE da IL MANIFESTO
Insieme per la Carta, ma non dimenticate la legge elettorale
7 OTTOBRE. Nell’appello di convocazione della manifestazione nazionale “La via maestra-Insieme per la Costituzione” mancano i riferimenti alla legge elettorale. Un’ambiguità che andrebbe subito chiarita
Felice Besostri 11/08/2023
Da Milano arriveremo in molti a Roma il 7 ottobre per la manifestazione nazionale “La via maestra-Insieme per la Costituzione”. Per quanto mi riguarda, tra le organizzazioni che hanno firmato ce sono alcune di cui sono associato da più di un decennio e di altre sono stato tra i fondatori. Respingere gli attacchi alla Costituzione è uno dei miei impegni permanenti. Ma devo esprimere una perplessità che è anche una seria preoccupazione. Nell’appello non c’è una parola sulla legge elettorale.
Se è una dimenticanza è sorprendente, perché è stato definitivamente accertato dalla Corte Costituzionale che abbiamo rinnovato il Parlamento nel 2006, 2008 e 2013 con una legge incostituzionale non in aspetti secondari ma per l’assegnazione di un premio di maggioranza e la previsione di liste di candidati totalmente bloccate. Non solo. Maggioranze costituzionalmente illegittime hanno adottato, grazie all’imposizione al Camera di tre voti di fiducia, una successiva legge elettorale dichiarata costituzionalmente illegittima in parti qualificanti prima che fosse mai applicata. Ed è sufficiente una lettura di queste due sentenze per capire che anche la terza legge elettorale, quella in vigore con la quale abbiamo eletto due parlamenti compreso l’attuale, non è indenne da problemi di costituzionalità.
Basta un dato: la coalizione vincente, con un consenso del 43,79% alla Camera, ha 237 seggi su 400, cioè più del 59% dei seggi. Al Senato con il 44,02% ha ottenuto 115 su 200 elettivi, cioè il 57,5% dei seggi.
Se non aver citato la legge elettorale nell’appello di convocazione della manifestazione è stata una scelta, è una scelta grave. Se è stata fatta per non mettere in imbarazzo i partiti, responsabili delle leggi elettorali e del taglio eccessivo dei parlamentari, è ancora più grave perché senza una critica alla legge elettorale vigente (frutto dei governi Gentiloni e Conte 1 e delle mancate promesse del Conte 2) non è credibile la difesa della Costituzione. Ed è più debole anche l’opposizione a presidenzialismo, semipresidenzialismo e premierato.
Oggi, i vincitori delle ultime elezioni hanno nel parlamento in seduta comune il 58% dei seggi, decisivi per l’elezione del presidente della Repubblica – o per controllarlo attraverso l’articolo 90 della Costituzione. Se l’ottimo presidente in carica si agitasse, questa maggioranza potrebbe tenerlo sotto scacco. E se lasciasse potrebbe eleggere, anche grazie ai 31 delegati regionali su 58, alla quarta votazione, un suo candidato in solitudine.
La critica alla legge elettorale in vigore avrebbe reso più credibile anche la giusta e netta opposizione all’autonomia differenziata, perché senza questa maggioranza artificiale il progetto di Calderoli non avrebbe futuro.
Tutto ciò in sintesi è possibile grazie alla legge elettorale in vigore, che è incostituzionale per violazione dei principi ribaditi proprio dalle sentenze della Corte costituzionale. Se gli elettori non possono scegliere i candidati, questi una volta eletti non possono rappresentare la nazione senza vincolo di mandato, ma saranno agli ordini dei partiti che li hanno nominati con le liste bloccate e le multicandidature in violazione dell’articolo 49 della Costituzione.
Se non si contesta per incostituzionalità la legge elettorale si finisce con l’accettare il risultato dello scorso settembre, che è stato possibile solo grazie a una legge incostituzionale. È una posizione debole e controproducente. È una dimenticanza che andrebbe corretta.
Una pessima legge elettorale che fa comodo a tutti
L’extrema ratio di un cartello tecnico con adesione di tutte le forze politiche (con la propria autonomia) contro il trionfo del centrodestra nei collegi uninominali
Giangiacomo Migone 27/07/2022
Le elezioni in tempi ravvicinati sono una certezza. Che si risolvano in un tentativo di plebiscito improvvisato intorno alla figura di Mario Draghi o in una rivincita della destra unita per l’occasione, occorre innanzitutto salvaguardare l’essenza della democrazia che è la sovranità del popolo esercitata attraverso il voto. Persino la Costituzione potrebbe risultare a rischio. Perciò il superamento della legge elettorale vigente, il Rosatellum, torna di bruciante attualità, ignorata da tutti o quasi.
È inquietante il fatto che, nelle circostanze insolite determinate dallo scioglimento subitaneo delle Camere da parte del presidente della Repubblica, non se ne parli, dando per scontato che tale è e resta. Forse a qualcuno serve mantenere un parlamento nella condizione dequalificata attuale, con la complicità dei capi bastone partitici a cui fa troppo comodo scegliere liberamente tra i propri fedelissimi.
La legge attuale viene in ogni caso silenziosamente ritoccata – un ritocco spacciato per tecnico – perché la composizione del Parlamento è stata ridotta di oltre un terzo per via referendaria: 200 membri del Senato e 400 della Camera. Invece, la modifica radicale del Rosatellum costituisce una priorità perché con premio di maggioranza e listini, indipendentemente dall’esito prodotto nelle urne, priva i cittadini del diritto di scegliere una parte cospicua dei propri rappresentanti con conseguenze che sono sotto i nostri occhi e che non hanno nulla a che fare con l’approvazione o meno del governo Draghi.
Parlamentari vagolanti da un gruppo parlamentare ad un altro, alla ricerca di padroni in grado di assicurare la loro carriera futura, senza rispondere agli elettori in un ambito territorialmente definito; privi del potere che ne deriva, quello proveniente da una frazione di popolo solo più in teoria sovrano.
In altre parole, occorrerebbe una legge elettorale che sopprimesse i nominati, restituendo al cittadino il diritto di scegliere la parte politica, ma anche la persona, con la speranza che questa restituzione di poteri, attualmente menomati, contribuisca a motivare a recarsi alle urne. La priorità è questa, indipendentemente dalla scelta tra un sistema proporzionale e un sistema maggioritario.
Il ritorno ad una legge proporzionale con indicazione di preferenza (meglio se doppia, per assicurare l’equilibrio di genere), con una soglia minima, avrebbe il doppio vantaggio di generalizzare il potere dell’elettorato nella scelta dei propri rappresentanti – indispensabile soprattutto con una costituzione che, all’art. 67, esclude il vincolo di mandato, mentre resta inattuata la struttura democratica interna ai partiti, prevista dall’art. 49 – e di trovare i consensi necessari per essere approvata nei pochi mesi restanti di attività parlamentare.
È vero che quanto assomiglia ad un ritorno alla Prima Repubblica, con il pericolo di crisi endemiche di governo, non è allettante. Chi, come chi scrive, compreso Enrico Letta prima maniera, avrebbe preferito il maggioritario in una forma che al 75% assicurerebbe anche la scelta del parlamentare (il Mattarellum), farà bene ad attendere tempi migliori.
La legge vigente rischia di esprimere un governo di centrodestra – e questo è fisiologico in regime di democrazia – ma, grazie al premio di maggioranza e ai listini vigenti, chiunque vinca, in queste circostanze ripeto insolite, potrebbe totalizzare il quorum necessario per modificare la Costituzione con la semplice applicazione dell’art. 138. Forse da evitare.
Se, come sembra, ogni mutamento del Rosatellum fosse ormai politicamente impossibile – i tempi tecnici ci sarebbero – come sopravvivervi? Il rimedio di Antonio Floridia (cfr. il manifesto, 24 luglio) è quello di un cartello tecnico a cui aderirebbero tutte le forze politiche che, pur conservando la propria autonomia politica, impedirebbero il trionfo maggioritario dell’alleanza di centrodestra nei collegi uninominali previsti dalla legge vigente. Potrebbe costituire una extrema ratio a due condizioni.
In primo luogo, non è tollerabile che si dia per scontata l’applicazione di una legge elettorale di dubbia costituzionalità che menoma ab origine l’autorevolezza del futuro parlamento, senza alcun dibattito politico, attraverso un tacito pactum sceleris tra segreterie di partiti, piccoli e grandi, di destra e di sinistra. Lo stesso Presidente della Repubblica non ha nulla da dire in proposito?
In ogni caso occorre la presenza di una proposta politica che risponda ad una diffusa domanda popolare di chiarezza rispetto ad alcuni nodi essenziali del proprio convivere civile: una politica estera europea di pace che abbia come obiettivo immediato la cessazione delle guerre in corso, in primo luogo sul proprio territorio (Ucraina); una radicale redistribuzione del reddito, con un uso appropriato dei fondi europei disponibili, da una esigua minoranza privilegiata, dominata dalla finanza, alla maggioranza individualmente e territorialmente meno abbiente; la salvaguardia dei diritti del lavoro e di un’immigrazione a cui offrire vita, asilo e cittadinanza; il rafforzamento drastico dei servizi pubblici, a partire da quello della tutela della salute; la salvaguardia della sopravvivenza del pianeta, minacciato dalla distruzione dell’ambiente e dalla diffusione non controllata di armi di distruzione di massa.
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