IL PD IN PIAZZA SCORDA BONACCINI. RITIRARE LA RICHIESTA DI “AD” da IL FATTO
In piazza il Pd scorda Bonaccini: voleva l’autonomia (come Zaia)
PRE-INTESA – Durante il governo Conte, inoltre, il governatore dem aveva chiesto l’autonomia addirittura su 15 materie
ILARIA PROIETTI 19 GIUGNO 2024
Lui si è tenuto lontano da Roma, ma gli saranno comunque fischiate le orecchie: nel giorno della mobilitazione – la chiamata alle armi contro la combo premierato e autonomia messo a segno dal governo – nel Pd fanno rumore i fantasmi del passato e soprattutto gli assenti come Stefano Bonaccini. L’autonomia che or rinnega tra mille distinguo fu, un tempo non lontano, la sua terza via, a braccetto con Roberto Maroni e Luca Zaia: “Se noi rallentiamo, il Paese starà peggio o meglio? Il divario tra aree più forti e aree più deboli non lo si colma penalizzando le prime, ma stimolando le seconde a fare meglio”, Bonaccini dixit tra gli applausi del partito. Si dirà: era un altro Pd, tutta un’altra storia. Del resto Giorgia Meloni dieci anni fa voleva cancellare le Regioni e ora digerisce il progetto che rischia di mandare per aria l’unità nazionale.
Ma per il Pd non c’è l’Alka-Seltzer che tenga: la nemesi l’insegue in piazza Santi Apostoli, anche perché Schlein è stata a lungo vice di Bonaccini in Emilia. “Penso che il Pd sia il partito più incoerente che esiste sulla faccia della terra. Bonaccini fu il primo a richiedere l’autonomia”, ha commentato la mobilitazione il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, per rinfacciare lo scomodo passato che torna come un boomerang. Ma usa il fioretto: non molto tempo fa ci aveva pensato il ministro Roberto Calderoli a usare la clava (per fortuna solo dell’ironia) per ricordare circostanze, protagonisti e interpreti. “Nella pre-intesa che aveva sottoscritto Bonaccini con Palazzo Chigi all’epoca del governo Gentiloni non vi era nemmeno traccia dei Lep e prevedeva il superamento della spesa storica nel giro di ben sei anni”. E che dire, appunto, di Elly Schlein? “Ma quella che spara a pallettoni non è la stessa Schlein vice-governatrice dell’Emilia quando fu votato l’accordo sull’autonomia dal Consiglio regionale?”.
È il 2017 quando la Regione approva il documento di indirizzo per l’avvio del percorso di autonomia. Il 28 febbraio 2018 Bonaccini e Bressa firmano “l’accordo preliminare sull’autonomia rinforzata”, stesso documento che il governo sigla pure con Veneto e Lombardia. Conte succede a Gentiloni e Bonaccini aumenta addirittura le materie richieste: prima 12 e poi 15, col placet del Consiglio regionale. La richiesta è ora in un cassetto, in attesa della nuova legge. A chi sollevava critiche, Bonaccini rispondeva che “si dovrà determinare il superamento della spesa storica per passare ai costi standard”, ma che il Sud non ha nulla da temere: “Vanno stabiliti i fabbisogni standard e i livelli essenziali delle prestazioni”. Che poi è la stessa rassicurazione di Calderoli. Il quale ieri, virtuoso della sublime arte perculatoria (nel senso di derisione, sbeffeggio, sfottimento: vedi Treccani) è andato oltre. Nel D-day alla Camera ha ricordato che “l’autonomia differenziata è nella nostra Costituzione dal 2001” ossia da quando la maggioranza di centrosinistra pensò bene di modificare il titolo V della Costituzione. Che trasformò le regioni in governatorati spalancando le porte agli appetiti più vari e che ora serve da piede di porco per il disegno di legge leghista.
Autonomia, Schlein e il presidente emiliano adesso revochino quella richiesta
TOMASO MONTANARI 19 GIUGNO 2024 Elly Schlein sta davvero cambiando il Pd? Con un certo cinismo, la segretaria sta usando la necessaria polarizzazione contro questa destra pericolosa non per accelerare il cambiamento che si aspettano coloro che l’hanno eletta “da fuori”, ma anzi per imporne agli elettori il volto peggiore (come a Firenze, dove la segretaria è andata più volte a mettere la faccia a favore dell’inguardabile sistema di potere del cacicco Dario Nardella). Ma il fronte in cui la contraddizione è più stridente, e dunque la credibilità più bassa, è quello della lotta contro l’autonomia differenziata. Giustamente, il Pd di Elly Schlein chiama alle manifestazioni di piazza per denunciare il carattere eversivo di una “riforma” che riporterebbe l’Italia a essere solo un’espressione geografica, dissolvendo l’unità nazionale e facendo sparire il concetto stesso di “solidarietà” dalla Costituzione di quella che sarebbe una specie di debole consorzio di 20 repubblichette destinate al declino. Bene, ma con quale credibilità lo fa, visto che una delle tre regioni che tuttora vuole questa autonomia è proprio l’Emilia-Romagna, il cui presidente è anche presidente del Pd, e la cui vicepresidente è stata proprio Schlein? La dissociazione conosce tratti tragicomici: uno degli attori della mitica chat di Massimo Giannini, che nasce proprio contro premierato e autonomia differenziata, è appunto uno Stefano Bonaccini “punitore di se stesso”. Come ha scritto Francesco Pallante (in Spezzare l’Italia, Einaudi), “l’Emilia-Romagna avanza un numero di richieste circoscritto rispetto alle altre due Regioni, ma quel che chiede è a volte persino più incisivo e, comunque, sempre relativo a materie di primario rilievo”. Per esempio, l’Emilia-Romagna vuole avere un proprio sistema scolastico regionale, in concorrenza con quello statale, in cui poter formare gli insegnanti e scrivere i programmi: moltiplicate per 20 questa aberrazione e avrete la fine della scuola della Repubblica. Bonaccini dovrebbe ora pubblicamene rinunciare alla richiesta di autonomia differenziata per la sua Regione: come nota ancora Pallante, un comitato di cittadini gli ha chiesto di farlo “presentando una proposta di legge regionale di iniziativa popolare, sostenuta da 6.000 sottoscrizioni, volta a disporre il ritiro della Regione dall’accordo stipulato nel febbraio del 2018 con il governo Gentiloni. Il Consiglio regionale dell’Emilia-Romagna ha preso atto dell’esercizio dell’iniziativa legislativa da parte degli elettori, ma non ha proceduto a porre in discussione la legge, evitando così di pronunciarsi su di essa. Altri cittadini hanno indirizzato una lettera aperta all’allora presidente Bonaccini, chiedendogli di rinunciare alle richieste formulate nel 2017 e di sconfessare le bozze d’intesa trapelate nel 2019: di nuovo, senza ottenere risposta alcuna. Bonaccini ha ripetutamente affermato di essere contro l’autonomia differenziata di Calderoli e ha espresso parere negativo nella sede della Conferenza Stato-Regioni sul disegno di legge proposto dal ministro. In che cosa consisterebbe la contrapposizione tra le due autonomie non è, però, dato conoscere, dal momento che le bozze d’intesa tra lo Stato e le tre Regioni venute alla ribalta nel 2019 sono in larga misura perfettamente sovrapponibili le une con le altre”. Non è una questione marginale: si tratta di capire a quale cultura politica appartiene un pezzo importante della dirigenza del Pd, già renzianissima. È fin troppo evidente come nel Pd convivano due partiti diversi, per certi versi opposti: una doppiezza che il buon risultato delle Europee (dovuto anche a un uso spregiudicato di candidature di “influencer” di sinistra) rischia di perpetuare, procrastinando sine die la necessaria chiarezza. Ma non è così che si potrà battere la destra
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