FAR TORNARE LA DEMOCRAZIA SOCIALMENTE UTILE da IL MANIFESTO
Blairismo addio, il nuovo ciclo dei socialisti d’Europa
Dall’eclissi del 2010-2020, ora la sinistra che cerca l’alternativa a liberismo e austerity e rinnova welfare e laburismo, governa in dieci Paesi europei. Il tema centrale della democrazia
La recente vittoria elettorale del Partito socialista in Portogallo con maggioranza assoluta riapre la discussione sul destino della socialdemocrazia in Europa. I socialisti sono infatti tornati (o sono) al governo di Germania, Spagna, Portogallo, Danimarca, Svezia, Finlandia, Norvegia, Malta, Albania, Serbia. C’è quindi una nuova onda politica favorevole rispetto al decennio precedente nel quale – a iniziare dal caso francese – sembrava di essere di fronte all’eclissi progressiva della socialdemocrazia.
La prima novità, a differenza di quanto avvenne dal 1997 fino al 2007 – il decennio di governo di Tony Blair in Gran Bretagna e del cancelliere Gerard Schröder in Germania – è che la ripresa socialista non si verifica sulle idee guida del blairismo, bensì sulla necessità di trovare alternative al liberismo e all’austerity ripensando i cardini del welfare di tradizione europea. Blair aveva invece proposto una sorta di nuova Bad Godesberg: questa volta non il semplice abbandono del marxismo ma di qualsiasi velleità critica rispetto al capitalismo. Gli anni seguiti alla ventennale leadership di Margaret Thatcher a Londra avevano finito per contaminare il laburismo, quando Blair riportò il Labour al governo dopo una lunga assenza (dal 1979 al 1997). Per non parlare della acritica partecipazione del governo blairiano alla guerra in Iraq del 2013. Quanto accaduto in Gran Bretagna avvenne pure in Germania con il governo di Schröder (1998-2005) che spalancò la porta alla cancelliera Angela Merkel (2005-2021).
L’attuale ritorno di appeal del socialismo europeo si accompagna – altra novità – alla fine dei governi monocolori che premiavano i partiti socialdemocratici con massicce adesioni elettorali. In Spagna, Germania, Svezia, Danimarca , per fare degli esempi, i socialisti governano in coabitazione con altre forze, solitamente o Verdi o formazioni della sinistra radicale. Il che è positivo perché i partiti storici sono spinti a rinnovarsi contaminandosi con nuove culture e i partiti nuovi a fare i conti con la questione governo.
La non accettazione dell’austerity accompagna inoltre la ripresa socialista. È un primo passo nel ripensamento di un moderno keynesismo ecologista. La prolungata crisi economica aveva reso impotenti le bandiere socialdemocratiche di piena occupazione e di redistribuzione dei redditi. Anche i riferimenti tradizionali ai lavoratori salariati erano andati in frantumi in tempi di precarietà. Ora si riscopre il laburismo. Nella controffensiva socialdemocratica non c’è ancora però il ripensamento sufficiente sulle identità e i valori possibili di un moderno socialismo nell’era del digitale e della comunicazione permanente. Da noi, in Italia, ad aggravare il quadro ci pensa l’anomalo Pd, che paradossalmente solo nel 2014 (con la gestione di Matteo Renzi) aderì al Partito del socialismo europeo che si era formato nel 1992.
A favorire la ripresa socialdemocratica ha contribuito infine il fatto che sul campo non ci fossero solo macerie. Restavano valide piuttosto alcune verità della tradizione socialista. Ad esempio la distinzione tra mercato e capitalismo: il mercato non si può abolire, il capitalismo va disciplinato nelle sue logiche brutali.
Dalle esperienze più avanzate della socialdemocrazia (Svezia, Danimarca, Germania) ci veniva infatti tramandato il tema sempre attuale della mediazione tra Stato e mercato. Il problema centrale resta perciò ridisegnare il welfare, la conquista più avanzata del secolo scorso. Da questo punto di vista, resta valido l’ammonimento dello svedese Olof Palme: ««La pecora del capitalismo va continuamente tosata. Bisogna fare però attenzione a non ammazzarla». Il problema più grande di questa fase è tuttavia l’assenza della politica del soggetto Europa.
Le politiche di una nuova sinistra non possono tuttavia limitarsi a correggere il mercato e la spontaneità del capitale. La politica che si limita a ridistribuire, con i tempi che corrono, è una buona politica, tuttavia certo non è capace di suscitare passioni ideali e grandi obiettivi di mutamento. Qui si pone il tema della «democrazia» e del suo rilancio dopo la fase del liberismo che ne ha mortificato gli spazi d’azione. Storicamente la socialdemocrazia si è occupata poco di ripensare i modelli democratici europei mentre i suoi successi erano fondati sulle politiche economiche.
Chiudendo sull’Italia, il filone di ricerca sul quale provare a ripartire potrebbe essere quello che diede vita alla breve stagione del Partito d’Azione: diritti, libertà, cittadinanza in un orizzonte di democratizzazione economica, sociale, istituzionale. Conserva suggestione in tale prospettiva la collaborazione tra Antonio Gramsci e Piero Gobetti nella Torino nei primi anni Venti uniti dalla peculiare lettura della storia nazionale (l’autobiografia di una nazione) e del fascismo. Oggi siamo chiamati a riattualizzare quell’incontro tra il marxismo più originale della tradizione comunista/socialista italiana e le culture liberal originate dalla società di massa.
Far tornare la democrazia socialmente utile
Una sinistra rigenerata che si fa interprete di un civismo e di un ecologismo partigiano: centralità della persona, delle comunità, cura, coscienza di luogo e l’ostinata convinzione che per dare senso alla democrazia, soprattutto in tempo di pandemia, serva ancorarla alla vita reale delle cittadine e dei cittadini
“Non ti disunire” è una delle frasi centrali del film È stata la mano di Dio. Un monito che si adatta perfettamente al tempo presente. Non cedere all’isolamento, non rinunciare a sentirsi parte. Non arrendersi. E non perdersi dietro cose minute. Tenere la barra su ciò che più conta.
Esiste, nel nostro Paese, una trama territoriale importante. Una moltitudine di esperienze municipali capaci di progetto e conflitto. Un’energia locale preziosa, spesso ignorata dalla politica e dai media che contano. Una rete impegnata ogni giorno nella difesa delle proprie comunità e dei propri luoghi. Una mappa puntiforme di casematte che fanno persino fatica a riconoscersi tra di loro.
Nella distanza tra politica e società, raccontata dall’astensionismo crescente alle ultime elezioni amministrative, un sommovimento inatteso ha fatto emergere, città per città, regione per regione, esperienze di una nuova connessione tra rappresentanza, movimenti e territorio.
Una sinistra rigenerata che si fa interprete di un civismo e di un ecologismo partigiano: centralità della persona, delle comunità, cura, coscienza di luogo e l’ostinata convinzione che per dare senso alla democrazia, soprattutto in tempo di pandemia, serva ancorarla alla vita reale delle cittadine e dei cittadini. Far tornare la democrazia socialmente utile e non un mero esercizio retorico.
Mentre il Paese è attraversato da violente pulsioni anti-sistema, con il rischio di un vero e proprio movimento reazionario di massa (l’assalto alla Cgil sopra ogni altra immagine), il riflesso di una stagione municipalista, che negli anni scorsi avevamo visto caratterizzare il corso politico di importanti città italiane ed europee (Napoli, Barcellona, Cadice, Grenoble) e che oggi appare in diverse città italiane importanti: da Bologna a Torino, da Milano a Roma. Le ultime elezioni amministrative hanno premiato la coalizione progressista e portato nelle amministrazioni cittadine nuove biografie politiche, nate nelle battaglie ambientali e femministe, ognuna capace di interpretare un vincolo di luogo a scapito dell’astratta omogeneità politica nazionale.
Non solo le città, ma anche su scala regionale già si compongono movimenti e federazioni interpreti della stessa volontà: innovare, laddove possibile dentro il campo progressista, con lealtà e autonomia. Autonomia come paradigma strategico, autonomia di pensiero e culturale, autonomia di pratiche e di linguaggi capaci di interpretare il cambiamento che serve. Uno sforzo soggettivo che possa consegnare di nuovo alla politica la pratica collettiva e il nesso con i sommovimenti sociali.
Ci vorrà tempo, pazienza e ostinazione. Ci vorrà il coraggio e le generosità di lavorare per un orizzonte più ampio e capace di includere e di recuperare pezzi di lavoro che si erano avviati negli anni scorsi e che si sono smarriti dentro condizioni mutate, mettendo tutto questo a disposizione di chiunque ne abbia voglia.
Intanto però ci assumiamo la responsabilità di partire. E’ tempo di coordinare queste storie: avviare un percorso per un confederalismo democratico, una piattaforma comune dove pratiche sociali e politiche si incontrino per fare fattor comune nelle sfide contemporanee.
Difesa dei servizi pubblici, reddito e salario, giustizia sociale e ambientale, una nuova grammatica politica che sappia tenere insieme generi e generazioni. C’è allora una geografia da costruire per segnare il cammino e una porta da aprire per non disunire una potenza e una possibilità.
L’uscita dalla pandemia, il Pnrr e le elezioni del presidente della Repubblica aprono una nuova stagione politica. Vogliamo farci trovare pronti, dare il nostro contributo, unificare e radicalizzare l’agenda del cambiamento necessario, attivare processi di partecipazione popolare contro il sequestro e la privatizzazione degli ambiti decisionali da parte delle élite tecnocratiche. Vogliamo farlo insieme a chiunque senta la medesima urgenza.
*** – Amedeo Ciaccheri, Presidente Municipio Roma VIII
– Anita Pirovano, Presidente Municipio 9 Milano
– Massimo Zedda, Consigliere regionale Sardegna
– Michela Cicculli, Consigliera Assemblea capitolina Roma
– Rosario Andreozzi, Consigliere comunale Napoli
No Comments