È NOSTRO IL “FALLIMENTO” DEI GIOVANI da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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È NOSTRO IL “FALLIMENTO” DEI GIOVANI da IL MANIFESTO

La sinistra esca dalle narrazioni

VERITÀ NASCOSTE. La rubrica settimanale a cura di Sarantis Thanopulos

Sarantis Thanopulos  18/02/2023

Nelle regionali ha votato uno scarso 40% degli elettori. Un’astensione catastrofica che mette in discussione l’intera rappresentanza politica del paese. Governo e opposizione sono espressione della volontà di una parte minoritaria dei cittadini. Questa grave delegittimazione mette in ravvicinato pericolo la democrazia.
Non assistiamo a uno scollamento politico tra le rivendicazioni dei rappresentati e la capacità dei rappresentanti di comprenderle e di soddisfarle ma, cosa ben più insidiosa, a uno scollamento psichico. Si affaccia lo spettro di una divisione drammatica tra due mondi emotivamente e mentalmente non comunicanti. Da anni le nubi si addensavano e la desolazione avanzava, ma il dominio di un pensiero cieco ci ha resi inerti.

Il commento più lucido, chiaroveggente, è di Luigi Manconi: «Per dichiarare guerra alla egemonia ideologica della sinistra e per imporre una drastica svolta nella formazione dell’opinione pubblica, la destra non trova nulla di meglio che ricorrere al più consunto vocabolario della stessa sinistra. Il sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi, di Fratelli d’Italia, ha candidamente dichiarato: “Occorre una nuova narrazione dopo la nostra vittoria elettorale”». La sinistra, aggiunge sconsolatamente Manconi, non ha trovato di meglio che affidarsi ai protagonisti dello spettacolo. La responsabilità delle forze democratiche di sinistra è enorme.

Hanno per anni coltivato una cultura mondana fondata su narrazioni disgiunte dalla realtà, lontana dai sentimenti e dalle passioni vere dei cittadini che sono state abbandonate a se stesse a appassire. Una cultura nominalista (le parole come cose) che ha preteso di costruire verità narrative, sovrapposte alla vita, un “metaverso” in cui rinchiudere il nostro desiderio e il nostro pensiero. Un grande impersonale (perciò anche più dannoso) progetto di “rieducazione del popolo” tanto infantile e ingenuo, quanto psichicamente impositivo. Gli esseri umani non sono categorie dello spirito, tipologie astratte, varianti che si costituiscono ognuna per sé, indipendentemente dalle loro relazioni di scambio (dei doni), unite tra di loro per volontà divina o attraverso calcoli algoritmici (misurati nella loro potenza aggregante dalle piattaforme di influenzamento). La sinistra deve riflettere sulla sua partecipazione alla creazione di due tendenze opposte, ugualmente vuote di sostanza: il «politicamente corretto» e il «politicamente scorretto» .

La prima ottiene un consenso formale esangue, è il trionfo dei manuali delle buone maniere ed è pronta a soccombere di fronte alle prove del mondo. La seconda coalizza tutte le reazioni impulsive con cui ci si libera delle tensioni emotive, è più «sanguigna» e velenosa. La “correttezza” è narcotizzante, depressiva, la «scorrettezza» è «adrenalinica», maniacale. Entrambe danno un forte impulso alla creazione di una psiche collettiva «bi-polare», che slitta sempre di più verso la percezione paranoica dell’alterità.

Il festival di San Remo è stato la manifestazione più eclatante di quella fiera della vanità in cui si è ridotta la cultura del nostro paese. Il corpo e il desiderio della donna affidati alla pubblicità e seppelliti nella banalità, la sessualità svilita in stereotipi trasgressivi (la censura della profondità, l’imbarazzo dell’intimità nelle relazioni erotiche eterosessuali e omosessuali).

Nel nostro mondo soffre la sessualità, il suo posto l’hanno preso gli effetti speciali, l’autoerotismo mentale e le eccitazioni epidermiche: il solletico sta distruggendo il trasporto, il coinvolgimento. È a rischio l’eros femminile, sempre più represso e emarginato, sono sotto attacco le donne.
La sinistra si svegli. Esca dalle sue narrazioni insieme soporifere e opprimenti. Scopra il malessere dei giovani che soffrono come mai, piuttosto che normalizzarlo chiudendolo in schemi approssimativi. La vita è fatta di relazioni erotiche, di lavoro e di convivialità.

È nostro il «fallimento» dei giovani

È nostro il «fallimento» dei giovani

MERITOCRAZIA. Una ragazza di diciannove anni di recente si è suicidata nei bagni dell’Università. A Milano, ma avrebbe potuto essere in qualsiasi altro posto – ma che sia Milano, città della […]

Marco Rovelli *  18/02/2023

Una ragazza di diciannove anni di recente si è suicidata nei bagni dell’Università. A Milano, ma avrebbe potuto essere in qualsiasi altro posto – ma che sia Milano, città della vita devoluta al lavoro, assume un senso particolare. Quella ragazza ha lasciato scritto: «Nella vita ho fallito tutto». Un fatto così é davvero il segno più lacerante di questi tempi. Non sarebbe successo, in un altro. Non che i giovani non si togliessero la vita a diciannove anni. Ma non per questi motivi, per aver “fallito tutto”, quando ancora tutto ha da iniziare; e in un’età in cui si è ancora, diversamente che in altri tempi, adolescenti.

Ho la fortuna, da insegnante di filosofia al liceo, di parlare con i giovani di questi argomenti, e tocco con mano, anno dopo anno, come sia il fallimento il loro incubo universale. Una generazione sovrastata dagli imperativi prestazionali di un mondo in cui massimamente virtuosa è la competizione, in cui ognuno deve conquistare la propria identità personale e insieme ascendere nella scala sociale grazie al proprio spirito di iniziativa, alla propria intraprendenza. Un processo, questo, evidentemente acceleratosi dagli anni Ottanta, col dilagare della rivoluzione culturale neoliberista, il cui motto sta nell’enunciato di Margaret Thatcher «la società non esiste, esistono solo gli individui».

E’ un mondo in cui tutto é disponibile, tutto é possibile, e prenderselo tocca solo a te, imprenditore di te stesso. Il tuo valore dipende solo da te: just do it. Le norme sociali ti impongono di fare, tu sei sovrainvestito di attese, di aspettative, di immagini «eccellenti» che il mondo ti propone – e il terrore è quello di non essere all’altezza di tutte queste richieste. È’ troppo. Lo apprendi in ogni istante della vita, dalla famiglia, dai media, dai social, dalla scuola (che ti propone un’immagine di te standardizzata e misurabile, col “portfolio delle competenze”). E’ troppo. E crolli. Di fronte al peso della tua inadeguatezza, dell’insufficienza. Della vergogna per non essere abbastanza. Le frustrazioni sono insopportabili per un Io che è stato sovrainvestito di attese, di aspettative. In questo consistono le patologie narcisistiche. La vergogna – una gogna, appunto – un supplizio che non si regge, e si fa fronte ad essa in tanti modi – con i disturbi del comportamento alimentare, col ritiro sociale, col panico – fino a scomparire del tutto. Quella ragazza che si é tolta la vita ha molto a che fare col fallimento: col fallimento che siamo tutti quanti noi, col fallimento che è la società che lasciamo in sorte ai giovani.

I giovani, come dicevo, hanno tutto questo molto chiaro. Uno splendido manifesto del loro disagio, e della consapevolezza di questo disagio, lo ha articolato Emma Ruzzon, rappresentante degli studenti dell’Università di Padova, all’inaugurazione dell’anno accademico: «Siamo stanchi di piangere i nostri coetanei», ha detto, «e vogliamo che tutte le forze politiche presenti si mettano a disposizione per capire, insieme a noi, come attivarsi per rispondere a questa emergenza, ma serve il coraggio di mettere in discussione l’intero sistema meritocentrico e competitivo».

Poi, sul giornale (quello con la maiuscola, dico: il Giornale) trovi un articolino di Stefano Zecchi che invece ci dice che «non ci si può sottrarre alla competizione», e che imputa la volontà di sottrarsi a essa alla «virtualità» che «porta a non confrontarsi con la vita vera», quando invece la virtualità – basterebbe che avesse letto Pietropolli Charmet – va proprio nella direzione dell’approvazione, dell’ammirazione, dello specchio narcisistico, e della correlata vergogna sociale. E dopo aver letto questo rinnovato elogio della competizione come riflessione a margine del suicidio nei bagni dell’Università, ti viene solo da pensare in che mani siamo, questi sono gli «educatori», aguzzini prestazionali che ai giovani hanno da offrire solo infelicità.

Il ribaltamento di queste logiche prestazionali maschili non può che venire da donne come Emma. E l’antitesi del becero senso comune da esempi di sottrazione alla volontà di potere e di dominio come hanno dato di recente due donne – la scozzese Nicola Sturgeon e la neozelandese Jacinda Ardern – che si sono dimesse dalla carica di premier, rinunciando alla propria “eccellenza” rivendicando il non farcela più, l’essere esauste, il rifiuto della brutalità della politica, e dicendo, ambedue: “I am human”.

* autore di “Soffro dunque siamo. Il disagio psichico nella società degli individui” (minimum fax 2023).

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