E. BERLINGUER e “IL PROGETTO DI UN NUOVO SOCIALISMO”da IL MANIFESTO
Berlingueriana, una lezione sempre aperta
RICORRENZE. Dal 2 al 4 giugno, al Circolo Ilva di Bagnoli a Napoli, una serie di incontri con ospiti, una mostra fotografica, la libreria-biblioteca dedicata, la raccolta di materiale audiovisivo
Gianfranco Nappi 24/05/2022
In questo tempo nel quale le sue ultime analisi e battaglie – pace, ambientalismo, femminismo, contro i poteri criminali, per un rinnovamento della politica, assunzione della questione sociale e della rappresentanza del mondo del lavoro come dati irrinunciabili – assumono un carattere profetico di fronte alla crisi esplosiva degli ordini impressi al mondo da un capitalismo onnivoro e sfrenato, è proprio su questi terreni che si misura la sua straordinaria attualità. A partire naturalmente dal tema della pace e della guerra e da quello intrecciato di giustizia ambientale e sociale.
La sua lezione di fondo rimane aperta: non può esistere sinistra che non sia anche critica del presente, animatrice di un altro punto di vista, di un’altra scala di idealità, né sinistra che non parta dalla capacità di fare società e lì orientamento e cultura nuovi, perfino comunità. Se oggi viviamo nell’anomalia più assoluta nel nostro paese, la realtà della inesistenza, caso pressoché unico in Europa, di una forza di sinistra popolare e critica – sia nel suo fare riferimento alla storia socialista o al suo costituirsi in un percorso di sua radicale innovazione – ciò è ampiamente il risultato della interruzione di quella ricerca di Berlinguer, non solo non ripresa da tanti suoi epigoni ma contraddetta e avversata da tanti che pure con lui si ritrovavano in quel partito.
Berlingueriana accoglierà storici, filosofi, giovani studiosi, scienziati e figure storiche della sinistra, da Aldo Tortorella a Luciana Castellina. Ci sarà anche Vandana Shiva, ospite di tutta la manifestazione: si discuterà di quanto il necessario Ecocene, sua espressione, comporti una iniziativa e una lotta che mettano in questione alla radice i meccanismi del modello di sviluppo dominante, un cambio di rapporti sociali su scala globale. E poi ci sarà una libreria-biblioteca su Berlinguer, mostre fotografiche, una raccolta di audiovisivi con straordinarie immagini per oltre dieci ore.
Enrico Berlinguer, la modernità della «terza via»
CENTENARI. Il 25 maggio del 1922 nasceva a Sassari una delle personalità che hanno segnato la storia della sinistra. Dopo il compromesso storico compì un’autocritica reale, lanciando l’«alternativa democratica»: la prospettiva era un vasto cambiamento intellettuale e morale, senza trascurare le radici economiche
Guido Liguori 24/05/2022
Si torna periodicamente a parlare di Enrico Berlinguer, soprattutto della sua onestà, della sua denuncia della corruzione e del clientelismo, insomma della «questione morale». Il richiamo a questo aspetto quasi profetico del suo pensiero (la denuncia della corruzione dei partiti italiani, che risale a una celebre intervista a Scalfari del luglio 1981), rischia però di risultare fuorviante se non si aggiunge che esso si situa all’interno di un discorso più ampio e complesso, quello del «secondo Berlinguer», successivo alla stagione della solidarietà nazionale (e del compromesso storico).
DOPO LA FALLIMENTARE esperienza dei governi emergenziali guidati da Andreotti a partire dal 1976, dopo l’uccisione di Aldo Moro, dopo la sconfitta elettorale nelle amministrative del ’78 e nelle politiche del ’79, Berlinguer compie un’autocritica reale, anche se non esibita – lanciando nel 1980 l’«alternativa democratica». Isolato nella politica italiana dalla Dc anti-morotea e dal Psi di Craxi, Berlinguer si rivolge alla società. Da Togliatti a Gramsci, si potrebbe dire. Perché l’idea è quella di dar vita a una «riforma intellettuale e morale», senza trascurarne le radici economiche. Di scrivere nei fatti un nuovo «programma fondamentale». Di proporre un modo rinnovato di essere comunisti.
Le prime basi di questo programma erano state poste già negli anni precedenti, in campo internazionale innanzitutto, con l’eurocomunismo e la solenne dichiarazione, fatta a Mosca nel 1977 davanti ai partiti comunisti di tutto il mondo, che la democrazia è «un valore storicamente universale»: bisognava trovare una «terza via» tra socialismo dispotico e socialdemocrazia inconcludente, una «terza fase» dopo l’esaurimento dell’eredità della II e la III Internazionale.
In quello stesso anno, al convegno del Teatro Eliseo, Berlinguer lancia l’idea dell’«austerità» (già avanzata anni prima da Palme): un nuovo modello di sviluppo, un nuovo tipo di società basato più sui consumi pubblici che su quelli privati. E che riconosceva le buone ragioni dei popoli del Terzo mondo, stanchi di essere asserviti per garantire lo sfrenato consumismo dei paesi più ricchi.
SEMPRE CONTRO gli egoismi dei privilegiati, Berlinguer andrà alla Fiat nel 1980, per schierare il Pci a fianco della classe operaia in lotta, perché i lavoratori non erano i soli a dover pagare la crisi. Una battaglia che continuerà con la difesa della scala mobile: se non fosse morto nell’84, il referendum conservativo di questo meccanismo di salvaguardia dei salari sarebbe stato vinto.
È in tale quadro che si colloca l’intervista a Scalfari dell’81: la «questione morale» per Berlinguer sta dentro una visione di denuncia dei meccanismi della società basata sul profitto e di affermazione della necessità di fuoriuscita dal capitalismo. Questa è la «diversità comunista»: non un fatto antropologico, ma l’affermazione di una politica che evitasse l’interesse clientelare e fosse lotta per una società più giusta ed eguale.
Non basta però solo essere fedeli alle proprie radici e agli ideali della propria giovinezza, come pure rivendicò con orgoglio. Bisognava rinnovare la politica e il Pci, scrive ancora nel 1981. Ciò significa in primo luogo aprire il partito alla società e dialogare con i movimenti.
NEGLI ULTIMI ANNI della sua vita Berlinguer ricostruisce il rapporto coi giovani, appoggiando il grande movimento per la pace di quegli anni; mostrando una sensibilità inedita per la nascente questione ecologica e per le nuove tecnologie (specie quelle informatiche), che non andavano demonizzate ma che non potevano sostituire la politica collettiva e partecipata. È il primo comunista (e forse il primo politico) a dialogando seriamente col movimento delle donne, non solo con la sua tradizionale componente emancipazionista, affermando che «se non c’è rivoluzione femminile, non ci sarà alcuna reale rivoluzione».
Un politico moderno e rivoluzionario, dunque, che negli ultimi suoi anni seppe cercare temi e modi nuovi. Non fu seguito dalla maggioranza del gruppo dirigente del suo partito, ma lasciò un ricordo indelebile nel «popolo comunista» e in milioni di italiani. Della sua «terza fase» di ricerca del socialismo vi è ancora bisogno.
Liberazione, giustizia ed equità nel tempo dell’«ideologia delle transizioni»
SCAFFALE. In occasione del centenario di Enrico Berlinguer, esce per Bordeaux una raccolta dei suoi interventi, dal XII Congresso del febbraio 1969 (in cui venne eletto vicesegretario) alla VII Conferenza delle donne comuniste del marzo 1984
Daniele Maria Pegorari 24/05/2022
Mettiamola così: forse è un bene che la fiorente industria delle celebrazioni si sia un po’ distratta dinanzi al centenario della nascita di Berlinguer, giacché la gran macchina degli spettacoli tende a consumare il senso per produrre icone, mentre il magistero politico e culturale del segretario comunista è bene che rimanga al riparo da ogni retorica, per mantenersi vivo e interrogante.
Muove in tale direzione la raccolta di interventi dal titolo Enrico Berlinguer e il progetto di un nuovo socialismo (Bordeaux, pp.137, euro 12), che condensa tutto il suo pensiero, dal XII Congresso del febbraio 1969 (in cui venne eletto vicesegretario) alla VII Conferenza delle donne comuniste del marzo 1984, nella fase della critica al craxismo come tradimento del socialismo operaio.
IL QUINDICENNIO che si stende fra questi termini vede il grande leader impegnato a elaborare una «via italiana socialismo» o «terza via», distante sia dal socialismo reale (incapace di consentire le libertà individuali e collettive), sia dalla socialdemocrazia (abile negli spazi istituzionali ed efficace nella rappresentanza dei ceti già inseriti negli apparati produttivi, ma indifferente alle nuove forme di marginalità, sfruttamento e sottoproletariato, come il segretario spiegò a Scalfari in un’intervista del 28 luglio 1981).
Per Berlinguer non si tratta di predicare una posizione moderata fra gli estremi della dittatura e del liberalismo, ma anzi di prefigurare uno scatto in avanti del socialismo, oltre i limiti delle due forme storiche conosciute, ricordando che Marx nel 1852 aveva fissato la differenza fra le «rivoluzioni borghesi» e quelle «proletarie» proprio nel fatto che queste ultime «criticano continuamente se stesse; ritornano su ciò che sembrava cosa compiuta per ricominciare daccapo», insomma sono costitutivamente mosse a spingere in avanti i propri obiettivi di liberazione, giustizia ed equità, modellandoli sulle novità poste in essere dalla storia.
SE SUL PIANO NAZIONALE questa ricerca è letta come «seconda tappa della rivoluzione democratica e antifascista» (come Berlinguer sostenne su «Rinascita» per il trentennale della Liberazione), nella storia del socialismo si tratta di inaugurare «la terza fase della lotta», dopo quella ottocentesca dell’organizzazione del movimento operaio e dei partiti socialdemocratici e dopo «la seconda fase» della «rivoluzione sovietica».
GIÀ A PARTIRE dal giugno 1976 questa teoria del superamento del «capitalismo in Occidente» assume il nome di «eurocomunismo», accogliendo suggestioni provenienti anche dai comunisti francesi, spagnoli e britannici; i punti di forza di questa dottrina vengono definiti con termini destinati a entrare nel dibattito politico per molti anni, cominciando dal «compromesso storico», sintagma che compare per la prima volta nelle Riflessioni dopo i fatti del Cile, saggio in tre puntate apparso su «Rinascita», fra settembre e ottobre del 1973, ma il cui contenuto – la dottrina di un’«alternativa democratica» che coinvolgesse la grande forza popolare cattolica e sostenesse la crescita della sinistra democristiana – era annunciato, a ben vedere, già nelle conclusioni lette al Congresso del 1969. Poi la «questione morale» e la «diversità» comunista, cioè la denuncia dell’«occupazione dello Stato da parte dei partiti» e la rivendicazione del Pci come baluardo contro la corruzione, il privilegio e gli «immensi costi» economici e sociali che essi comportano.
INFINE L’«AUSTERITÀ», necessaria negli anni della svalutazione della lira, delle crisi energetiche e delle pressioni provenienti dai popoli che stavano affrontando la decolonizzazione. Ma l’austerità non era per Berlinguer un’opzione congiunturale, una necessità di «stringere la cinghia» per ripristinare quanto prima gli stili di vita consueti, bensì un’occasione per ripensare l’ordine economico e sociale del pianeta, secondo un nuovo sistema di valori e una diversa concezione della crescita, che tenesse conto degli equilibri ambientali, del contrasto alle spese militari e della partecipazione femminile ai processi decisionali e produttivi del Paese.
Occorre riscoprire questo Berlinguer ecologista, pacifista e femminista, preoccupato su tutti e tre i fronti, curioso verso la ricerca scientifica in tema di inquinamento e risorse energetiche e alimentari e attento alle conseguenze dell’emancipazione della donna sugli assetti familiari.
Il suo sguardo su tali questioni è tanto più indispensabile oggi, al tempo dell’«ideologia delle transizioni», della sussunzione di argomenti dirompenti in ambito biofisico, giuridico e sociale entro gli inalterati schemi del profitto; laddove, invece, nel comunismo di Berlinguer austerità, ambiente, pace e famiglia avrebbero dovuto essere il campo della battaglia finale allo sviluppo capitalistico.
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