DOBBIAMO FARLO NOI! da IL MANIFESTO
Nessuna transizione senza coinvolgere la società
Clima. Il disastro del Kentucky illustra «dal vero» le condizioni in cui vivranno non le future generazioni, ma già la prossima (next); e non solo in Kentucky e Dakota, ma ovunque
A che punto è la notte? Due notizie diverse, ma tra loro connesse, ce lo fanno capire.
Una serie di uragani ha investito il Kentucky e quattro Stati adiacenti, con venti a 350 km l’ora, polverizzando una fabbrica con dentro i suoi operai e devastando diverse città, mentre a pochi Stati di distanza (Nord e Sud Dakota) la siccità costringeva gli allevatori, principale «industria» dell’area, a svendere il bestiame per mancanza di acqua e scarsità di foraggio.
Lo stesso giorno, in Italia, Confindustria, sindacati e associazioni varie di categoria si opponevano a fissare al 2035 (data indicata dalla COP26 di Glasgow, ma non sottoscritta dall’Italia) la cessazione di produzione e vendita – non certo della circolazione – delle auto a combustione. «Troppo presto!», gridano: se proprio si deve fare, ci occorre «molto più tempo».
Ma che cosa lega queste due notizie?
Il disastro del Kentucky illustra «dal vero» le condizioni in cui si troveranno a vivere non generiche future generazioni, ma già la prossima (next); e non solo in Kentucky e Dakota, ma, con alterne varianti, ovunque. Il tira-e-molla tra Confindustria e Governo illustra «dal vero» l’irresponsabilità nei confronti della crisi climatica e ambientale, ormai in pieno corso, di tutto l’establishment (sindacati compresi) non solo italiano, ma del mondo intero; nell’indifferenza per l’incombente catastrofe denunciata da papa Francesco.
Indifferenza che nasce da una visione – o «non visione» – della transizione che vede il futuro scorrere nelle stesse forme del presente e del recente passato: niente dovrà cambiare veramente: l’energia, sempre più abbondante per soddisfare i «crescenti bisogni», verrà dalle fonti rinnovabili e, siccome non bastano, dal nucleare (fissione o fusione) e dal gas, che si continuerà a usare (moltiplicando gli impianti), ma anche a cercare in nuovi giacimenti e a trasportare con nuovi gasdotti.
Le emissioni? Le manderemo sottoterra con il Ccs, anche se il principale impianto di Ccs del mondo, della Chevron in Australia, è appena stato chiuso perché non funziona.
Il territorio? Lo renderemo più bello moltiplicando autostrade e linee ad alta velocità, anche se continuerà a franare da tutte le parti.
L’alimentazione? Ci penseranno gli Ogm (pardon!, il Genoma Editing) e la bistecca sintetica. Ovvio che rinunciare a un’auto posteggiata 22 ore di media sotto casa o al lavoro – e che per le restanti 2 intasa la circolazione – è impensabile. Anzi, se oggi nel mondo ce ne è quasi un miliardo e mezzo, lo «sviluppo sostenibile» esige che al 2035 ce ne sia il doppio e al 2050 una ogni due abitanti della Terra. O vogliamo lasciare a piedi il «Terzo mondo»? Elettriche? Ma nel 2035 si sarà trovato sicuramente il modo per ridurne ancora le emissioni, anche se i territori da attraversare saranno ormai come nel Kentucky.
All’origine di questa «discrasia» tra ciò che vediamo già oggi, e quello che non vedono – e non vogliono vedere – i drogati della crescita e della motorizzazione di massa (elettrica o a combustione? Poco importa: congestione, particolato prodotto da freni e pneumatici, devastazione del territorio, saccheggio delle risorse e spirito proprietario li producono entrambe; a gara) c’è l’equivoco dello sviluppo sostenibile.
Un ossimoro, perché quella presunta «sostenibilità» non contempla e non contemplava fin dall’inizio la necessità di una svolta a U rispetto a tutto quanto ha caratterizzato stili di vita e sistema produttivo nel corso degli ormai tanti anni in cui vizi ed esiti mortiferi della loro perpetuazione si sono resi chiari (anche se ben nascosti dalla pubblicità, da una cultura asservita, da una ignoranza promossa dai pochi – sempre meno – che tengono in mano le redini del mondo globalizzato).
E’ mancata e manca alla base di ogni proposito – vero o millantato – di conversione ecologica una discussione che coinvolga la generalità dei cittadini e delle cittadine – territorio per territorio, categoria per categoria, scuola per scuola, azienda per azienda, casa per casa – su quello che ci aspetta veramente se lasciamo che le cose procedano come ora, o con poche varianti, e quello che occorre veramente fare – e quello, soprattutto, che occorre non fare assolutamente più. E da subito – per evitare di trascinare l’umanità in un disastro irreversibile.
Di promuoverlo, prima ancora di definire programmi e progetti – anzi contestualmente alla loro individuazione – dovrebbe occuparsi innanzitutto il ministero della Transizione Ecologica se rispettasse il mandato contenuto nel suo stesso nome. La conversione ecologica non si può fare senza coinvolgere i suoi destinatari, che sono anche i suoi attori; e non possiamo non esserlo tutti: non oggetto passivo di questo processo, ma suoi protagonisti insostituibili. Solo così le istanze irrinunciabili di giustizia sociale che esso comporta possono emergere e affermarsi in tutta la loro valenza e potenza.
Non lo fanno «loro»? Dobbiamo farlo noi.
Sinistra italiana non basta più. Serve un campo largo
Una nuova sfida . Alcuni esponenti lasciano il partito, per provare a dare vita ad allargare il fronte della sinistra progressista e ambientalista
Insieme a iscritt* dirigent* e simpatizzanti di Sinistra Italiana consideriamo esaurito questo percorso, che appare inadeguato a rispondere alla sfida di costruzione di un soggetto radicale, unitario, ecologista, e di sinistra.
Anche il dibattito che si è aperto sul manifesto dopo le amministrative conferma l’opportunità di questa decisione. In questa fase storica segnata dalla pandemia, dalla necessità di una ripartenza del Paese fondata sul rilancio di beni e servizi pubblici di qualità, dalla sfida climatica come occasione di battaglia radicale per la giustizia ambientale e sociale, bisogna investire su un campo largo, plurale, democratico e progressista, competitivo nella sfida delle prossime elezioni politiche per impedire la vittoria del fronte sovranista e conservatore.
Tutte le organizzazioni politiche della sinistra e degli ecologisti, a cui va riconosciuta la coraggiosa resistenza in anni difficili nonché il merito di aver tenuto aperto uno spazio pubblico, oggi appaiono inadeguate: più causa di difficoltà che non soluzione del problema. Organizzazioni politiche spesso poco utili anche per sostenere una nuova stagione di movimenti e mutualismo socio-ecologico che, pur in forme inedite e nuove, attraversa i territori e i posti di lavoro.
È evidente che il Pd, parte decisiva e contraddittoria per qualsiasi ipotesi di coalizione democratica, da solo non ce la fa. Anche nella prospettiva di un accordo con il M5S rimane aperto un vasto spazio pubblico per una proposta politica radicale nei valori, pragmatica negli obiettivi, fortemente collocata nel filone dell’europeismo progressista e ambientalista. Una proposta che assuma la radicalità della conversione ecologica dell’economia e della transizione energetica pulita come leve di una rinnovata battaglia per la giustizia sociale. Fa riflettere in questa prospettiva la mancanza di una forte iniziativa politica nel momento in cui il sindacato decide giustamente di riaprire una vertenza conflittuale sulla legge di stabilità.
Dall’Europa e in particolare dalla Germania ci arriva la conferma che i vecchi schemi non bastano più: una coalizione a traino socialdemocratico si appresta a governare insieme a Verdi e Liberali con un programma molto più avanzato anche del “nostro” centrosinistra: salario minimo a 12 euro, legalizzazione delle sostanze leggere, conferma della fuoriuscita totale da nucleare per citare solo i punti principali.
Questo spazio pubblico è già traversato da moltissime iniziative e animato da una nuova generazione di attiviste (e attivisti) che hanno un ruolo anche nelle istituzioni locali: Elly Schlein, Emily Clancy, Michela Cicculli, Sandro Luparelli, Amedo Ciaccheri, la sindaca di Bertinoro Gessica Allegni, l’assessora toscana Spinelli senza dimenticare Milano, Napoli, Torino. Questa nuova generazione politica e non solo anagrafica è chiamata oggi a fare un passo in avanti e prendere in mano la costruzione di questa proposta che non può essere un nuovo partitino ma deve, a partire da una piattaforma di obiettivi, mobilitare e aggregare il popolo ambientalista, progressista, di sinistra.
Anche l’iniziativa di Pragmatica svoltasi a Roma sabato 27 novembre che allude alla costituzione di una piattaforma nazionale comune della nuova generazione di attivisti e amministratori può liberare energie presenti nei territori, nel mondo del volontariato e del mutualismo sociale.
Le singole esperienze organizzate garantiscono esclusivamente rendite di posizione sempre più deboli e autoreferenziali. La crisi climatica e la necessaria transizione ecologica richiedono invece un nuovo orizzonte di azione in cui la lotta per la giustizia ambientale e quella per la giustizia sociale procedano di pari passo.
Non può esserci cambiamento equosolidale in assenza di una soggettività europeista, ecologista e solidale, concentrata su misure di welfare universale e con lo sguardo rivolto alle grandi contraddizioni globali del nostro tempo.
Tali riflessioni hanno animato in questi ultimi mesi il nuovo spazio partecipato di discussione e di iniziativa pubblica «Italia Verde e Giusta» promosso dal contributo dei parlamentari Loredana De Petris, Francesco Laforgia e Luca Pastorino che ha coinvolto il sindaco di Milano Sala, il leader del M5S Conte, tanti amministratori locali e sindaci civici protagonisti di coalizioni larghe e decisive per la vittoria del centrosinistra in moltissime città. Sono avvenuti atti politici nuovi che meritano di essere tenuti in considerazione, come l’adesione del sindaco Sala alla carta dei valori dei Verdi Europei e quella del M5S di Conte al campo democratico e progressista.
Sono convinto che tornare in campo aperto, considerando esauriti i percorsi delle frammentate forze della sinistra e degli ecologisti, possa darci ancora una volta una possibilità. Non è più tempo di accontentarsi della pur generosa testimonianza. È ora di provare ad attraversare i territori e le istituzioni con la voglia di battersi ancora per «un altro mondo possibile».
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