DEMOCRAZIA: DESTRA, SINISTRA, VOTO UTILE, ASTENSIONE da IL MANIFESTO e IL FATTO
Se il voto utile diventa la tentazione di disertare le urne
COMMENTI. Prima ancora di una probabile vittoria della destra nel Lazio, il mancato accordo è già una sconfitta, quali che siano i decimali acquisiti o perduti
Enzo Scandurra 14/01/2023
Credo sia necessario riprendere seriamente le riflessioni sconfortanti (a ragione) contenute nell’articolo di Christian Raimo (il manifesto, 11 gennaio: «L’educazione all’astensionismo»). L’appello promosso da Fabrizio Barca, Ida Dominjianni, Tomaso Montanari, Luigi Ferraioli, Christian Raimo e Chiara Giorgi, seppure tardivo, conteneva in sè qualche speranza che Pd e M5S non andassero ognuno per proprio conto alle elezioni regionali del Lazio o, comunque, che tale appello diventasse motivo di riflessione nei riguardi delle forze politiche di sinistra, considerato che è stato firmato da migliaia di militanti oggi indecisi e confusi da quanto sta accadendo.
Come era facile prevedere le cose sono andate diversamente; l’appello, pur ripreso nella discussione sulle elezioni regionali, è tuttavia caduto nel vuoto rispetto agli esiti che auspicava. Per contro i”nostri” politici del Pd hanno continuato a chiacchierare su questioni (voto on-line, data delle primarie, ecc.) totalmente indifferenti a chi chiedeva loro di fermarsi e discutere insieme i programmi e le alleanze. Si è così consumata ogni speranza per chi da anni portava avanti lotte sul territorio intorno ai veri problemi politici, aggregando forze disperse, esortando gli indecisi traditi dalla politica, organizzando riunioni e tentando di riallacciare rapporti e attivare speranze con gli abitanti abbandonati delle periferie. Tutto inutile, o quasi.
Prima ancora di una probabile vittoria della destra nel Lazio, è già questa una sconfitta politica, quali che siano i decimali acquisiti o perduti (ipotesi questa seconda molto più probabile) nelle prossime regionali. Di certo questa scellerata scelta darà ancora più forza a coloro che pensano che ormai sia inutile votare e persino partecipare a queste insulse primarie del Pd.
Ai militanti non interessa chi dei due (Pd o M5S) abbia ragione o torto. Naturalmente non è difficile osservare che formule astratte tipo “nuovo Pd”, “nuova fase costituente” sono ogni giorno, e più volte al giorno, vanificate e svilite da manovre, accordi, interessi di parte che spingono in direzione contraria, ovvero nessun cambiamento, nessuna riflessione sull’enorme calo di voti, nessuna autocritica. Tutto l’interesse è per chi rappresenterà il nuovo segretario del Pd.
Specularmente il M5S e Conte non hanno manifestato alcun interesse a trovare un qualche compromesso che potesse essere speso a favore dell’alleanza, checché ne dicano.
In precedenti elezioni politiche, si invitavano gli elettori delusi al “voto utile” per arginare la destra. Credo che questa volta questo richiamo (ammesso che si abbia ancora il “coraggio” di farlo) provocherà solo fastidio e derisione: voto utile perché e per chi? Se sono le stesse forze politiche a dichiararne l’inutilità con la loro contrapposizione e a sbandierare pubblicamente le ragioni del loro suicidio.
Tutto questo proprio nel momento in cui il disastro nazionale ed europeo si fa visibile: le guerre, le disuguaglianze, i cambiamenti climatici, la povertà, il crollo del rapporto sentimentale tra formazioni di sinistra e popolo (ovvero la massa degli esclusi e dei diseredati).
Appare tanto più inconcepibile a chiunque come i politici siano rinchiusi in una torre d’avorio impenetrabile alle persone che soffrono il cui grido di dolore è raccolto solo da Papa Francesco e pochi altri.
Leggere i giornali (per chi ancora pratica questa sofferenza) o ascoltare i media TV e i loro interminabili balletti di idiozie, è diventata un’impresa eroica, al limite del masochismo.
Credo siano in molti questa volta a pensare (in silenziosa solitudine) che il “voto utile” è non andare a votare, almeno fino a quando i “nostri politici” non riacquisteranno la ragione. Una decisione che può essere quanto mai sofferta da ciascun militante che ha sempre creduto nella competizione politica e che ora, sfiduciato, può pensare che l’astensione sia l’ultimo e il più tragico dei gridi di dolore rivolto ai politici.
La destra, la sinistra e la democrazia
VERITÀ NASCOSTE. La rubrica a cura di Sarantis Thanopulos
Sarantis Thanopulos 14/01/2023
La crisi dei partiti democratici, in particolare di quelli di sinistra, minaccia seriamente il destino della Polis. Pesa nel campo della sinistra il tentativo fallimentare (invano criticato da Rosa Luxembourg) di tradurre (in modo totalitario) in realtà gli ideali egalitari a cui si sono ispirati le grandi rivoluzioni (tradite) dell’epoca moderna. Il discredito caduto sui questi ideali, che non sono formule da applicare, e il distanziamento da essi espongono le democrazie al rischio di snaturarsi. Democrazia e sinistra sono legati in un unico destino. Se si dissociano falliscono miseramente.
Il campo democratico è più ampio della sinistra. Perché la Polis democratica si regge, innanzitutto psichicamente, sulla possibilità di uno scambio paritario tra le differenze. L’esistenza delle differenze è fondata sulla loro parità, ma ci sono differenze che sono disparità. Le disparità sono ineliminabili dal gioco dell’intesa globale delle differenze e ciò implica inevitabilmente un complesso processo di integrazione della quantità con la qualità e il buon funzionamento delle modalità di compensazione (così che la soddisfazione che viene a mancare su un piano, si realizza su un altro). Tra le differenze che sono disparità quella “economica”, la diversa disponibilità di beni materiali, è la più problematica, la fonte principale della destabilizzazione della democrazia. Superata una soglia destruttura l’intesa complessiva delle differenze, fa prevalere le dinamiche del bisogno su quelle del desiderio e allontana decisamente la Polis dalla sua condizione costitutiva: una comunità di diversi, ma pari.
La democrazia si estende oltre l’ideale dell’eguaglianza economica che ispira la sinistra (situato come tutti gli ideali oltre l’orizzonte della prospettiva storica in cui si vive), ma se si muove nella direzione opposta si scava da sola la fossa. Non si può imporre, oltre un limite, l’uguaglianza economica, senza imporre, contemporaneamente un ordine che strangola la libertà e la parità (che ha senso solo se si ha il diritto di essere diversi e non omologati). Non si può lasciare che la diseguaglianza cresca indisturbata (l’hubris per eccellenza nei confronti dell’umano) senza distruggere le condizioni del vivere comune e far diventare la società un regno di predatori.
Tra i due opposti pericoli che definiscono, in negativo, lo spazio della vita democratica della Polis il primo è il meno insidioso: mettendo in contrasto l’uguaglianza economica con la parità delle diverse declinazioni del vivere è destinato a fallire nel suo intento, dopo aver creato grandi e difficilmente riparabili danni. Il secondo, che può anche crescere sulle ceneri del primo, può avere un successo che spinto nelle sue estreme possibilità e conseguenze è capace di distruggere l’umanità. Nello spazio democratico si dispiega il conflitto necessario tra destra, le forze della conservazione, e sinistra, le forze della trasformazione. La superiorità politica e etica della trasformazione deriva dal fatto che essa promuove lo sviluppo delle differenze, mantenendo vivo il desiderio, il motore della civiltà del vivere. Questo suo lavoro non è, tuttavia, possibile, in assenza delle istanze di conservazione.
Con la destra democratica, il suo nemico “costituzionale”, la sinistra convive, combatte e all’occorrenza dialoga. Il suoi avversari con cui ogni compromesso può avere conseguenze letali, e contro cui l’opposizione non può che essere irriducibile, sono la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi e la disparità sociale tra i due sessi che perverte la loro differenza naturale.
L’opposizione alle fonti principali dell’ingiustizia che minano il nostro futuro, può riportare una sinistra alleata con la cultura in tutte le sue forme creative, le donne, i diseredati e i giovani, al ruolo di forza propulsiva della democrazia.
Pd, errori e arroganza perfetti per lo schianto
FILORETO D’AGOSTINO 14 GENNAIO 2023
Un imparziale osservatore individua senza tentennamenti nel tracollo del Pd e nelle tragicomiche primarie l’evidente distacco dal caposaldo delle democrazie moderne, the agreement of the people del 1649 nel quale furono “elencate… sia le prime promesse della democrazia elettorale… sia le loro potenziali deviazioni e perversioni la formazione di un ceto di politici separato” (N. Urbinati), cioè il peccato mortale dal quale i capibastone Pd non intendono emendarsi, avvinti come sono alla logica dell’arbitrio mascherato da innovazione e dell’arroganza nell’amministrazione della cosa pubblica. Per poi schiantarsi, si aggiunge, in squallidi episodi di familismo amorale. Di quelle responsabilità si farà carico probabilmente il partito. Resta il problema della carenza di dispositivi che impediscano tali derive. Diversamente dalla Germania, uscita dalla guerra in condizioni analoghe alle nostre (e per di più divisa), non abbiamo voluto accettare la concezione d’una democrazia combattente (streitbar demokratie) nella quale rendere sempre più fluido ed efficiente il circuito democratico (Lavagna). L’attenzione del legislatore si è fermata alla disciplina del finanziamento (d. l. n. 149/2013) con definizione pedissequa all’art. 49 Cost. e la poco convincente pretesa di garantire l’ordinamento democratico senza modulare norme specifiche in proposito. Modesti gli approcci anche della Corte costituzionale (ord. 296/20) che si è ripetuta nel definire il partito come “organizzazione politica propria della società civile, alla quale sono attribuite dalle leggi ordinarie talune funzioni pubbliche”, quasi relegandolo al ruolo di necessario esponente del principio di sussidiarietà.
Questo è il retaggio di un’antiquata concezione che stabilisce una talvolta innaturale linea di demarcazione tra pubblico e privato: limitarsi a ritenere il partito come un’associazione privata abilitata ad organizzarsi secondo i canoni dell’autonomia privata, con i soli limiti contenuti nell’art. 18 e nella disposizione transitoria di divieto di riorganizzazione del partito fascista, significa aver rinunciato a una specie di reticolo di protezione esterna relativamente a fenomeni capaci di incidere sulla capacità di determinazione di quel primario soggetto nello svolgimento della vita democratica del Paese. Anche nel nostro ordinamento va riconosciuta ai partiti una configurazione funzionale più ampia del mero strumento di raccordo tra diritto d’associazione e rappresentanza politica nell’ambito del procedimento elettorale. Visione quest’ultima non solo limitativa, ma perfino incapace di fornire idonee garanzie di effettiva rappresentanza. Ciò ha reso possibile la nascita di partiti-azienda o comunque riconducibili ad un capo quale figura identitaria, senza autentiche dottrine o ideologie a monte Anche nei partiti non dominati da figure carismatico-padronali il risultato non è diverso: lo strano balletto di continue modifiche statutarie in piena campagna delle primarie Pd (un insulto alle regole della democrazia) lo conferma. Una regolamentazione di alcuni aspetti dell’organizzazione partitica si rende perciò necessaria per garantire ai cittadini la possibilità, presidiata dalla Costituzione, di concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Tale disciplina, ovviamente, non inciderebbe sulla libera determinazione dei partiti, ma solo sulle regole fondamentali perché sia opportunamente garantito quell’ambito decisorio e di proposta politica: una cornice esterna indispensabile per il fondamentale ruolo svolto dai partiti nello svolgimento delle pubbliche funzioni.
Coerenti alla finalità si rivelano due norme della legge tedesca sui partiti: per quelli rappresentati nel Bundestag è previsto l’obbligo di congresso a scadenza almeno biennale (art. 9) come garanzia della “loro partecipazione libera e permanente alla formazione della volontà politica del popolo, svolgono un compito pubblico che gli compete e garantito dalla Legge fondamentale”. Il successivo articolo 17, poi, affida a una votazione segreta la scelta dei candidati per la rappresentanza politica. Previsione rivoluzionaria per le compagini italiane, aduse a cooptazioni nelle segrete stanze dei cerchi magici, soprattutto per i candidati dei collegi plurinominali, spesso incapaci di conquistare un seggio in confronti diretti: scandalo che ferisce migliori aspiranti e istituzioni democratiche.
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