CATTOLICI O NO, IL PROBLEMA È UN PD CHE NON DISCUTE da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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CATTOLICI O NO, IL PROBLEMA È UN PD CHE NON DISCUTE da IL MANIFESTO

Cattolici o no, il problema è un Pd che non discute

Democratici Sabato si terranno due diversi convegni politici: a Orvieto quello dell’associazione Libertà eguale che raccoglie gli esponenti della cultura liberal-democratica interna al Pd; a Milano quello che vedrà riuniti molti […]

Antonio Floridia  16/01/2025

Sabato si terranno due diversi convegni politici: a Orvieto quello dell’associazione Libertà eguale che raccoglie gli esponenti della cultura liberal-democratica interna al Pd; a Milano quello che vedrà riuniti molti esponenti della cultura cattolica democratica.

Questo secondo convegno, in particolare, sta suscitando la consueta ridda di retroscena.

A dire il vero, il modo con cui è stata inizialmente presentata l’iniziativa è apparso piuttosto singolare: «Chiediamo spazio e accoglienza» per i cattolici nel Pd, è stato detto. Strano: scorrendo i nomi dei partecipanti annunciati si notano tante autorevoli personalità che hanno avuto e hanno tuttora un ruolo nel Pd, e che certo sono in grado di far valere le loro opinioni in tutte le sedi. E allora?

Un’influenza politica la si esercita, eventualmente. Non la si rivendica come una gentile concessione. Successivamente il tiro è stato aggiustato, e ora il convegno viene presentato come un contributo dei cattolici al dibattito politico e culturale. Bene, si parli di questo. E il punto è: questi convegni si propongono di offrire idee e analisi… ma a chi si rivolgono? E, soprattutto, come e dove è possibile alimentare questo dibattito? Come rimediare a quelli che, e non da oggi, appaiono come profondi limiti costitutivi del Pd: ovvero, l’assenza di veri canali e strumenti di elaborazione collettiva, l’illusione del partito post-ideologico, un pluralismo interno vissuto come una mera convivenza tra diversi reciprocamente indifferenti?

La questione dei cattolici solleva poi altri problemi. L’unità politica dei cattolici, in quanto tali, non è più concepibile nemmeno tra i cattolici che si riconoscono nel Pd: esistono cattolici liberali, cattolici che si ispirano alla tradizione del popolarismo, cattolici apertamente di sinistra… Evangelicamente, si potrebbe dire che l’ispirazione cattolica può agire come un «lievito». Ma per far crescere cosa?

Il problema è che nel Pd mancano le occasioni in cui tutte le diverse culture politiche (tutte, non solo quelle dei cattolici o dei liberal) possano proficuamente misurarsi. E non solo e non tanto in qualche sede a ciò deputata (come dovrebbe essere la Fondazione, ad esempio) ma nei momenti in cui si decide la linea del partito. Come si fa a stabilire se, in tema di politica internazionale, prevalgono le tesi (faccio due nomi a caso, a proposito di cattolici) di quanti si riconoscono nelle posizioni dell’ex-ministro Lorenzo Guerini o in quelle di Paolo Ciani?

Solo se si attrezzano spazi di elaborazione e decisione collettiva, a contatto diretto con le questioni più drammatiche, le diverse culture politiche potranno dare il loro contributo di idee e di analisi, ed esercitare – nella misura in cui ne sono capaci – una loro influenza. E questo non vale solo per i liberal o i cattolici: vale anche per coloro che, nel Pd, provengono dalla storia del socialismo e del comunismo italiano. Non appaia una proposta provocatoria: ma perché gli amici e i compagni della sinistra del Pd non danno vita ad una bella corrente/associazione di ispirazione apertamente socialista (o anche, perché no, neo-marxista), in grado di riprendere e sviluppare questa gloriosa tradizione di pensiero politico, che i fatti (e intere biblioteche) stanno mostrando tutt’altro che priva di cose da dire sul mondo di oggi?

In definitiva, tutto nasce dal fatto che il Pd non ha mai fatto dei veri congressi, sulla base di diverse piattaforme ideali, politiche e programmatiche: documenti che vengano soppesati parola per parola, discussi, emendati e votati. Solo dentro questo percorso, come si diceva un tempo, chi ha più filo potrà tessere più tela. E solo così le diverse culture politiche possono davvero interagire.

Altrimenti prevale, come oggi, una visione, e una prassi, delle correnti come mere filiere del potere interno.

Cambiare questo modello di partito è un lavoro di lunga lena, che pure bisognerebbe iniziare a fare (come non si sta facendo). Ma nell’immediato, si possono fare altre cose. Nel dicembre scorso, ad esempio, si è tenuto al Nazareno un importante seminario sulla situazione internazionale: un incontro svoltosi a porte chiuse (ed è bene che sia stato così: le vere discussioni non si fanno in diretta streaming). Bene, sarebbe ora però necessario che tutto il partito, e l’intera opinione pubblica, siano messi in grado di conoscere e valutare le diverse posizioni che si sono confrontate. È difficile, me ne rendo conto, ma perché non riassumere in un documento politico (non un trattato, ma nemmeno mezza paginetta di comunicato stampa) le diverse opinioni (anche quelle divergenti) che sono emerse? Non sarebbe anche un modo per dare uno sbocco positivo al profondo disagio che suscita una certa vaghezza di idee del Pd su questi temi, oggi largamente percepita, e che è poi anche il frutto di un irrisolto e reticente confronto politico interno? Avrà o no, un normale iscritto al partito, o un potenziale elettore, il diritto e la possibilità, quanto meno, di discutere un qualche documento politico che metta nero su bianco la posizione del partito sulle grandi questioni internazionali del momento?

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