“AUTONOMIA: LA SINISTRA UNITA FA BENE A VOLERE IL REFERENDUM” da IL FATTO e IL MANIFESTO
“Autonomia: la sinistra unita fa bene a volere il referendum”
GAETANO AZZARITI – Costituzionalista. “Essenziale il ricorso delle regioni. Sul referendum tempi stretti, in piena estate”
GIOVANNA TRINCHELLA 23 GIUGNO 2024
Professor Azzariti, l’Autonomia è legge e alcuni governatori annunciano ricorso alla Consulta.
Sarebbe un bene. Sino ad ora abbiamo sentito molti presidenti, soprattutto di regioni meridionali, alcuni anche di destra, denunciare i rischi che l’adozione delle intese produrrebbero sulla stabilità del Paese. Ora hanno la possibilità di far valere le loro ragioni di fronte alla Consulta. La Costituzione espressamente prevede che entro 60 giorni dalla pubblicazione di una legge le Regioni possano promuovere un processo per lesioni della propria sfera di sua competenza. Una verifica mi sembra doverosa e persino rispettosa dei reciproci ruoli dello Stato e delle Regioni. Sarebbe invece pessimo il segnale se non ci fossero questi ricorsi. Perché si dimostrerebbe che i rappresentanti istituzionali non sono in grado di reagire facendo invece prevalere calcoli politici o fedeltà di maggioranza.
Come dovrà essere il ricorso?
Il ricorso delle Regioni riguarda le questioni di legittimità costituzionale della legge appena approvata: non deve essere dichiarato pertanto ammissibile, ma valutato nel merito. Si tratta dunque di far valere tutte le ragioni che determinerebbero violazioni di principi costituzionali a partire da quello d’eguaglianza e la ritenuta lesione dei diritti fondamentali nelle diverse parti del territorio nazionale.
L’alternativa è il referendum.
La via referendaria non è alternativa, semmai complementare. Non riguarda la illegittimità costituzionale della legge Calderoli, ma il merito politico. Può essere attivato da 500.000 elettori o da cinque consigli regionali. Anche in questo caso sarebbe fisiologico che una legge tanto controversa e contrastata da vasti settori dell’opinione pubblica si utilizzasse quello strumento di partecipazione che la Costituzione mette a disposizione: il referendum, appunto. Vedo che la sinistra finalmente unita indica la strada referendaria. Bene. Non capisco infatti chi si scandalizza per questa indicazione che invece a me sembra un inizio di ritorno alla politica di un’opposizione spesso troppo silente. Qual è lo scandalo se chi non ama una legge così importante vuole sottoporla al giudizio popolare? In caso sono le condizioni esterne che rendono assai complessa la sfida. I tempi (entro fine settembre devono essere raccolte le firme), i precedenti (l’ammissibilità del referendum non è scontata), la disaffezione dalla politica (il quorum di validità estremamente difficile da raggiungere di questi tempi).
Il riferimento alle “forme di fiscalità di sviluppo” sarà un ostacolo all’ammissione?
L’ammissibilità non può essere data per scontata, ma è anche vero che il collegamento alla finanziaria che si vorrebbe far valere per rendere non ammissibile il quesito referendario è – a mio parere – solo formale e dunque non sufficiente. La dichiarazione di invarianza finanziaria che è esplicitata nella legge Calderoli dovrebbe permettere di superare questa obiezione. Vedremo comunque dopo la raccolta delle firme come si orienterà la Consulta. Un passo alla volta, ora in caso ci si organizzi per raccogliere firme in piena estate.
Che ruolo può giocare il Colle?
Il presidente ha già mostrato in diverse occasioni preoccupazione per gli atti e le azioni di questo governo o per quello delle altre istituzioni. Non può certo intervenire nel merito della legge, semmai potrebbe evidenziare i rischi inerenti alla disunità nazionale. Rischi che possono seguire la fase delle intese.
Vede motivi per cui Mattarella possa rinviare alle Camere?
Non basta qualche dubbio sulla costituzionalità della legge per il rinvio. Dovrebbe convincersi che è a rischio l’unità nazionale. Potrebbe semmai esprimere opinioni in dissenso in sede di promulgazione ovvero anche in interventi successivi. Vedremo.
Come funzionerà la legge?
Si tratta di una legge di natura procedimentale. Permetterà al governo di definire le intese sostanzialmente senza un intervento nel merito del Parlamento e in base ad un complesso collegamento tra devoluzione e definizione dei Lep. Una procedura che non eviterà lo smembramento della nazione che avverrà quando saranno approvate le intese. Atti che non potranno neppure essere sottoposti a referendum. Bisogna intervenire prima che accada.
È preoccupato?
L’autonomia differenziata rappresenta solo una delle tre tessere con cui l’attuale maggioranza si propone di modificare il volto della Repubblica. Il premierato da un lato e la separazione delle carriere dall’altro completeranno la transizione e ci ritroveremo in una Repubblica diversa. Meno solidale, più verticistica e meno garantista.
Sul referendum l’Emilia Romagna non ha alibi
AUTONOMIA. De Luca, Emiliano, Giani, Todde danno una disponibilità. Per l’Emilia-Romagna Bonaccini su Repubblica ci dice che a causa della sua prossima partenza per l’Europa la questione è allo studio
Massimo Villone 23/06/2024
Che accade dopo la definitiva approvazione dell’autonomia differenziata? Sono in evidenza sia un referendum abrogativo ex articolo 75 della Costituzione, sia ricorsi in via principale alla Corte costituzionale da parte di una o più regioni. Abbondano polemiche e fakenews, su cui è bene fare chiarezza. Il referendum può essere chiesto, dopo la promulgazione e pubblicazione in gazzetta ufficiale della legge, da 500mila elettori o da 5 consigli regionali. La richiesta deve essere presentata entro il 30 settembre, per votare tra aprile e giugno 2025. Se il termine fosse superato, si voterebbe non prima del 2026.
Si annunciano mobilitazioni per la raccolta delle firme. Ma non sfugge che i tempi sono ristretti. Lo sarebbero anche di più se il callido Calderoli riuscisse da Palazzo Chigi a ritardare anche di poco la pubblicazione. Assume dunque rilievo la richiesta da parte di 5 regioni. Le abbiamo?
De Luca, Emiliano, Giani, Todde danno una disponibilità. Per l’Emilia-Romagna Bonaccini su Repubblica ci dice che a causa della sua prossima partenza per l’Europa la questione è allo studio. Per la legge 352/1970 sul referendum la richiesta spetta al consiglio regionale. La domanda è: la partenza di Bonaccini impedisce al consiglio regionale di chiedere il referendum?
La risposta è no. Nel caso di scioglimento anticipato (articolo 32 statuto) l’assemblea rimane in vita fino alle successive elezioni, e può certamente compiere gli atti urgenti e indifferibili, ad esempio perché assoggettati a termini. Come è appunto il 30 settembre. Che è poi un termine ultimo. Il consiglio regionale potrebbe deliberare anche il giorno dopo la pubblicazione della legge.
Lo stesso vale per il ricorso in via principale. In caso di cessazione anticipata dalla carica del presidente subentra il vicepresidente (art. 32.3 bis statuto). L’esecutivo rimane in vita e funziona. E siamo di fronte a un termine – 60 giorni dalla pubblicazione – che abilita ad adottare l’atto di impugnativa anche in regime di ordinaria amministrazione. Evitiamo dunque dubbi inutili. Potrebbero indurre il sospetto che il vero problema sia la poca voglia di schierarsi contro, con il supporto di fragili argomentazioni. Tra le quali si segnala quella della legge Calderoli come costituzionalmente necessaria, perché in diretta attuazione della Costituzione, e come tale sottratta in tutto o in parte all’abrogazione in via referendaria e persino alla dichiarazione di illegittimità da parte della Corte costituzionale.
Un errore. Cancellando la legge Calderoli non si lede l’autonomia differenziata, che rimane tutelata dall’art. 116.3 della Costituzione. Quindi, non è in alcun senso «necessaria». La prova è nel fatto che al tempo del primo tentativo della ministra Stefani con il governo gialloverde nemmeno si parlava di legge quadro, introdotta solo successivamente. Mentre un dubbio sull’ammissibilità del referendum può venire per il collegamento alla legge di bilancio. L’inammissibilità non è certa, perché può mostrarsi strumentale e non giustificato un collegamento al bilancio laddove contestualmente si prescrive l’invarianza di spesa. Ma il dubbio rimane.
Come rimangono i dubbi «politici», che concorrono a sollecitare la presentazione comunque dei ricorsi in via principale. Ad esempio, per l’effetto negativo di un mancato raggiungimento del quorum della maggioranza degli aventi diritto, particolarmente arduo in un contesto di forte astensionismo dal voto. O per i tempi del voto popolare relativamente lunghi, che lascerebbero una finestra per l’avvio immediato dell’autonomia differenziata in materie di rilievo. Non a caso, Il presidente della Calabria Occhiuto (Forza Italia) teme per il commercio con l’estero, materia immediatamente devolvibile e già nel mirino degli aspiranti secessionisti. Occhiuto ci mostra che l’autonomia differenziata introduce un modello – largamente inedito per il nostro paese – di competizione, e probabile conflittualità, tra regioni. In cui i territori più deboli potrebbero solo soccombere.
Una realtà per nulla colta dai commentatori che – come Feltri su La Stampa, Velardi sul Riformista e Libero, Cottarelli su Repubblica – non vanno oltre banalità e luoghi comuni ormai fuori tempo. Sono gli ultimi giapponesi. Persino l’Europa si aggiunge ai molti e diversi mondi che in Italia si sono espressi contro l’autonomia differenziata. L’opinione pubblica è già spaccata, e nel voto europeo ha dato messaggi chiari. Da tutto questo è intelligenza politica ripartire.
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