UE: STRETTA SU DIRITTO DI ASILO da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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UE: STRETTA SU DIRITTO DI ASILO da IL MANIFESTO

L’Ue cambia Schengen per fermare i migranti

Immigrazione. Controlli di polizia alle frontiere per bloccare i movimenti secondari. Stretta sul diritto di asilo

Carlo Lania  15.12.2021

La stretta era nell’aria ma la crisi ancora in corso alla frontiera tra Polonia e Bielorussia, con alcune migliaia di migranti bloccati da mesi al gelo e per ora senza via d’uscita, ha dato a Bruxelles il pretesto per intervenire sul codice Schengen, il trattato che garantisce la libertà di movimento tra gli Stati membri e fino a ieri uno dei principi fondativi dell’Unione europea. Che adesso, se parlamento e Consiglio daranno il via libera, viene cambiato inserendo nuovi limiti per svolgere controlli alle frontiere interne ma soprattutto ampliando la possibilità di limitare gli spostamenti dei migranti all’interno dell’Unione.

UFFICIALMENTE, infatti, le nuove norme serviranno per far fronte a emergenze come quelle dettate dai rischi legati al terrorismo o alla salute pubblica, come ad esempio la pandemia. Di fatto rappresentano l’ennesimo ostacolo, più volte chiesto da Paesi come la Francia a cui spetta il prossimo turno di presidenza Ue, ai cosiddetti movimenti secondari, gli spostamenti di quei migranti che una volta sbarcati cercano di trasferirsi in Nord Europa, in particolare verso Germania, Belgio, Olanda e la stessa Francia che adesso avranno la possibilità di rimandarli più velocemente verso i Paesi di primo approdo, come Spagna e Italia. «I movimenti secondari sono qualcosa che sta succedendo e non è previsto dalla legge. Si tratta del movimento non autorizzato di migranti irregolari», ha spiegato il vicepresidente della Commissione Margaritis Schinas, che con la commissaria agli Affari Interni Ylva Johansson ha messo a punto la proposta di modifica del codice. «Quello che proponiamo oggi è stabilire una procedura in modo che quando una pattuglia intercetta qualcuno al confine, lo può trasferire nello Stato da dove proviene».

LA PREMESSA è che ogni Stato potrà ripristinare i controlli alle frontiere per motivi eccezionali ma «prevedibili», come indicato dall’articolo 25 del trattato, fino a un massimo di due anni. Attualmente il temine è fissato in sei mesi, che però possono essere prorogati all’infinito. Cosa che di fatto rende definitiva la chiusura. «A oggi sono sei i Paesi Ue che hanno controlli interni. Andando avanti di sei mesi in sei, alcuni sono a sei anni di controlli interni», ha spiegato Johansson.

Chi vorrà chiudere i confini dovrà «giustificare la proporzionalità e necessità della sua azione tenendo in considerazione l’impatto sulla libertà di circolazione». Prevista la modifica anche di un altro articolo, il 28, che oggi indica la possibilità di bloccare in maniera unilaterale le frontiere nel caso si verifichino eventi imprevisti per 30 giorni estendibili fino a tre mesi (oggi i limiti sono fissati in 10 giorni iniziali che possono essere prolungati fino a un massimo di due mesi).

L’AZIONE di contrasto dei migranti potrà avvenire però soltanto alle frontiere e la Commissione invita per questo gli Stati a organizzare pattugliamenti misti, con agenti di entrambi i paesi confinanti. «L’unica area che copriamo con questo regolamento per quanto riguarda i movimento secondari – ha proseguito Schinas – è quella dei pattugliamenti congiunti al confine dove è la polizia che stabilisce effettivamente l’arrivo di un irregolare da uno Stato membro e può intervenire per rimandarlo indietro».

Ma a Bruxelles si guarda anche a quanto accade ai confini orientali dell’Unione e in particolare all’uso dei migranti fatto dalla Bielorussia di Alexander Lukashenko. Per questo nel codice vengono introdotte nuove misure per contrastare «attacchi ibridi» come quelli visti ai confini di Polonia, Lituania e Lettonia.

Tra queste il via libera a una limitazione dei passaggi alla frontiera e l’intensificazione dei controlli, ma anche la possibilità di estendere fino a quattro settimane il termine per la registrazione delle richieste di asilo che potranno essere esaminate direttamente alla frontiere. Un giro di vite inizialmente previsto solo per i tre Paesi interessati dalle manovre di Lukashenko ma che ora rischia di diventare valido per tutti gli Stati membri.

Nel mondo aumentano i rifugiati, ma l’Europa fa eccezione

Lo studio. Il rapporto Migrantes 2021 smentita la propaganda dell’«invasione»

Giansandro Merli  15.12.2021

«Nonostante le evidenze mostrino che l’Europa non è sotto invasione, la politica europea continua a essere ostile verso i rifugiati». Le parole di Yagoub Kibeida dell’Unione nazionale italiana per rifugiati ed esuli (Unire) sintetizzano i numeri raccolti nel report sul diritto d’asilo nel 2021 della fondazione Migrantes, intitolato Gli ostacoli verso un noi sempre più grande. Nel 2020, infatti, mentre nel mondo le persone in fuga da guerre, fame e cambiamento climatico sono aumentate, la stima record è di 82,4 milioni di individui, l’Europa si è posizionata in contro-tendenza rispetto al quadro globale. Per la prima volta i richiedenti asilo sono diminuiti di un terzo. Nel 2019 erano 631mila, lo scorso anno 417mila.

Le domande di protezione nei paesi membri sono state 102.500 in Germania, 86mila in Spagna, 82mila in Spagna e 38mila in Grecia. Fuori dalle retoriche agitate dai diversi governi del nostro paese, l’Italia occupa solo la quinta posizione con 21.200 richieste. Siria e Afghanistan si confermano i principali Stati di provenienza, mentre Venezuela e Colombia hanno sostituito in terza e quarta posizione Iraq e Pakistan.

A livello globale, invece, nella prima metà dell’anno in corso le persone che hanno chiesto l’asilo sono 555.400, in linea con i numeri del 2020. Il primo paese ricevente sono gli Usa (72.900), seguiti da Germania (58.900), Messico (51.700), Repubblica democratica del Congo (46.200) e Francia (36.500).

Allarmante la cifra degli «sfollati da disastri ambientali». Tra il 2019 e il 2020 sono cresciuti del 37% arrivando a 7milioni. Se però si utilizza l’indicatore dei «nuovi sfollati da disastri ambientali legati a eventi meteorologici» – cicloni, uragani, incendi, siccità, temperature estreme – il numero schizza fino a 30milioni di persone. Secondo il Groundswell report 2021 della Banca mondiale questa cifra potrebbe moltiplicarsi per sette da qui al 2050 in assenza di iniziative efficaci di contrasto del cambiamento climatico. Altrimenti la previsione si riduce dell’80%, ma riguarderebbe comunque 44milioni di individui. Un duro monito nei confronti dei governi che continuano a rimandare un definitivo cambio di rotta sulla questione ambientale e soprattutto di quelle forze politiche che spesso coniugano la richiesta di chiusura delle frontiere con lo scetticismo verso la catastrofe ecologica.

Il rapporto della fondazione Migrantes si concentra anche sulla vera emergenza che continua a colpire il Mediterraneo centrale. Non una presunta invasione, ma le morti in mare e le catture di migranti da parte della sedicente «guardia costiera» libica. È vero, si legge nello studio, che i circa 53mila arrivi in Italia tra gennaio e ottobre 2021 sono quasi il doppio dello stesso periodo del 2020, ma questo dato andrebbe liberato «da allarmismi e cliché della propaganda politica» inquadrandolo in una scala temporale più ampia. Nel medesimo periodo del 2016 erano stati oltre il triplo.

I numeri davvero inquietanti sono quelli delle persone inghiottite dal mare: 1.315 morti accertati nella sola rotta centrale dall’Oim. Che all’11 dicembre scorso ha contato 30.990 persone riportate a Tripoli dalla «guardia costiera» libica. Una cifra monstre che triplica le intercettazioni di tutto il 2020. Così nei soli centri di prigionia ufficiali del paese nordafricano ai primi di ottobre erano rinchiusi, in condizioni che le agenzie Onu definiscono inumane, circa 10mila tra donne, uomini e minori. A gennaio erano 1.100.

Dietro i numeri ci sono storie, volti e sofferenze di migliaia di essere umani condannati a torture e morte dalle politiche europee e, rispetto alla Libia, soprattutto italiane. Un duro atto di accusa che coinvolge il primo ministro Mario Draghi e la titolare del Viminale Luciana Lamorgese, che in questi mesi hanno ribadito la centralità libica per frenare gli arrivi via mare.

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