L’EUROPA SI BLINDA: MURI E ALGORITMI PER FERMARE I MIGRANTI da IL MANIFESTO
L’Europa si blinda e pur di fermare i migranti sdogana i muri
NIENTE CODICE DI CONDOTTA PER LE ONG. Dalla Grecia all’Estonia il fronte dei favorevoli alle barriere. E l’Italia si accoda
Redazione interni 10/02/2023
Il bilancio per ora è scarso. Nel documento finale del vertice dei capi di Stato e di governo l’Italia incassa il riconoscimento formale da parte dell’Unione europea di una specificità dei confini marittimi, e in particolare del Mediterraneo centrale. E’ quello che Giorgia Meloni chiedeva e infatti la premier fin dal suo arrivo ieri a Bruxelles parla di «passi in avanti» sull’immigrazione che sarebbero stati fatti rispetto al passato. Ma è tutto qui, perché cosa questo riconoscimento significhi davvero, se l’avvio di una nuova (e improbabile) missione navale europea o altro, è ancora tutto da capire. Verrà forse deciso in futuro ma con i tempi dell’Unione europea c’è da scommettere che non si tratta di un futuro prossimo.
Niente da fare invece per le altre questioni care alla premier italiana. Come la possibilità di avviare un programma di ricollocamento obbligatorio dei migranti oppure di arrivare alla definizione di un codice di condotta europeo per le navi delle ong. Su questo punto in particolare la presidente del parlamento europeo Roberta Metsola è stata chiara ricordando come esista già da venti anni una direttiva sul tema: «E’ uno di quegli strumenti – ha detto – che devono essere esaminati per vedere quando si parla di alto mare, quando si parla di domande di asilo e dove siano gli obblighi di ricerca e soccorso a seconda del luogo in cui avviene il salvataggio».
Detto questo va aggiunto che oggi più che mai l’Unione europea si sta attrezzando per blindare i suoi confini. Al punto che – fatta eccezione per le iniziative di singoli Stati (già 12 Stati hanno adottato muri ai propri confini) – per la prima volta dal 1989, anno della caduta del muro di Berlino, a Bruxelles l’idea di costruire a spese del bilancio Ue delle barriere che ostacolino l’arrivo dei migranti non viene più considerata improponibile, come avveniva fino a solo qualche mese fa, ma si sta facendo lentamente strada tra gli Stati anche se non manca chi, come la Francia, prova ancora ad oppongono. A spingere in questa direzione sono soprattutto Austria, Grecia, Ungheria Estonia, Lettonia, Danimarca, Lituania, Malta e Slovacchia che nei giorni scorsi hanno scritto ai presidenti di Commissione Consiglio chiedendo nuove e più rigide misure per contrastare gli ingressi illegali. E sulla possibilità di alzare nuove barriere è arrivato anche il via libera da parte di palazzo Chigi. «Proteggere i confini e una questione comune, non riguarda solo i Paesi che hanno i confini esterni. Dovremmo fare uno sforzo comune anche da parte della Commissione europea per proteggere questi confini», ha detto ieri la premier estone Kaja Kallas. Mentre il premier svedese Ulf Kristersson, presidente di turno dell’Ue, ha specificato che non si tratterebbe di vere e proprie barriere, bensì di «infrastrutture, equipaggiamento per la sorveglianza».
Ma non è solo una questione di muri e filo spinato. Comune ai leader europei è la richiesta di «una risposta europea» all’immigrazione, Risposta che si traduce in un aumento dei rimpatri, ma anche in politiche che facciano leva sui Paesi di origine e di transito perché fermino le partenze dei loro cittadini. Quindi aiuti economici a chi collabora, e restrizioni sui visti di ingresso per chi, invece, scegli di non cooperare. Una linea sulla quale l’unanimità è pressoché totale, con il cancelliere tedesco Olaf Scholz che chiede «politiche comuni» operative già da quest’anno e il presidente francese Emmanuel Macron che a sua volta sollecita «coerenza» per «ridurre la pressione migratoria».
Migranti alla mercé degli algoritmi
ARTIFICIAL INTELLIGENCE ACT. Cinque, l’articolo cinque. Perso in un documento di cento pagine. Una trentina di righe un po’ burocratiche, due schermate di computer. Un articolo di legge che dovrebbe – condizionale – […]
Stefano Bocconetti 10/02/2023
Cinque, l’articolo cinque. Perso in un documento di cento pagine. Una trentina di righe un po’ burocratiche, due schermate di computer. Un articolo di legge che dovrebbe – condizionale – proteggere tanti. Tanti ma non tutti. Non gli ultimi, non i migranti.
Si parla dell’Artificial Intelligence Act, uno sterminato insieme di norme che dovrebbe regolare cosa potrà fare, in Europa, la tecnologia che prova a simulare la capacità del cervello umano. E quello del vecchio continente sarebbe il primo tentativo di “governare” il settore.
Si è ancora lontani, certo, dal varo definitivo delle leggi. Lontani ma non lontanissimi. Un testo c’è già – ed è stato già “vistato” dal Consiglio dell’Unione europa, l’insieme dei governi, ai quali spetta l’ultima parola –, ora sono in corso trattative per trovare una sintesi sugli emendamenti proposti dal Parlamento. Poi andrà nelle commissioni, tornerà nell’aula di Strasburgo, prima del via definitivo. Vogliono fare tutto entro un anno.
Ma un testo c’è già, si diceva. Salutato con entusiasmo da molti – un po’ frettolosamente – perché è pieno di frasi altisonanti, intervallato spesso dal richiamo al «rispetto dei diritti umani», alla tutela delle minoranze.
Con l’affermazione, insomma, che almeno qui in Europa, dovrebbe essere sempre l’essere umano a prevalere. Con controlli, con autorità preposte alla sorveglianza (via via, comunque, depotenziate da quando è cominciata la discussione). In modo insomma che quegli algoritmi addestrati a intervenire nella vita pubblica e soprattutto le loro deduzioni non possano provocare discriminazioni.
Principi generali, dunque – molti dicono: generici – ma poi c’è l’articolo cinque. Un po’ bizantinamente l’Ai Act ha creato quattro grandi “aree” per le applicazioni dell’intelligenza artificiale. Ci sono campi dove sarà proibito usarla, altri considerati ad «alto rischio», altri ancora dove c’è la possibilità di «manipolazione» da tenere d’occhio e quelli, infine, dove le applicazioni dell’intelligenza artificiale saranno permesse.
E a occuparsi di cosa non dovrebbe mai essere consentito è appunto l’articolo cinque. Dettagliato, abbastanza dettagliato. Non ci potrà essere un uso dell’intelligenza artificiale che sfrutti le vulnerabilità delle persone, non si potranno usare quei sistemi per profilare, per valutare i cittadini, sarà vietata l’identificazione biometrica negli spazi pubblici. Con tante, troppe deroghe – soprattutto sul riconoscimento facciale – ma sembrerebbe un testo innovativo. Con una dimenticanza, però: non c’è alcun divieto per l’uso dell’intelligenza artificiale alle frontiere. Nulla.
Tradotto, significa che le polizie “a difesa” dei confini avranno una deroga per usare tutti i mezzi che vogliono. Per usare, per inventarsene di nuovi, per continuare a usare quelli che già stanno sperimentando. Sì, perché pochi sanno che si sta già lavorando ad una “polizia predittiva” applicata alle migrazioni. Dove un’intelligenza artificiale avvertirà i paesi e quindi anche le polizie europee che qualcuno – forse – sta per mettersi in movimento.
Lo potranno fare, saranno esentati dai controlli. «E se lo saranno – spiega Caterina Rodelli, EU Policy Analyst che per AccessNow segue da vicino queste vicende – significa che per loro non ci sarà alcun obbligo di trasparenza».
Così chi si presenta alle frontiere potrà essere marchiato come «pericoloso» e portarsi dietro questa definizione ovunque vada, significa che un’intelligenza artificiale potrà decidere se respingere la sua richiesta di asilo. Significherà che chi bussa alle porte della fortezza non avrà gli stessi diritti degli europei.
Qualcuno dirà che per correggere questa stortura c’è tempo. Ma come denunciano tutte le associazioni per i diritti digitali – da Edri ad Algoritm Watch – non è così. Le trattative sono già in fase avanzatissima – va detto: a condurle è anche l’eurodeputato socialista del pd, Brando Benifei, che sarà anche relatore all’aula di Strasburgo –, e come la storia insegna gli accordi presi in questa fase non sono mai corretti. Mai migliorati. E nessuno, fra chi conta, sembra interessato al problema.
Problema che riguarda i migranti ma forse non solo loro. Perché – per dirla sempre con le parole di Caterina Rodelli – «si ha proprio la sensazione che su un tema così delicato, così rischioso, si testino soluzioni autoritarie sugli ultimi, si chi non ha voce, su chi non può protestare». Soluzioni, che prima o poi, senza opposizione, si esporteranno. A tutti.
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