L’ABUSO DI UMANITÀ NON È REATO da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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L’ABUSO DI UMANITÀ NON È REATO da IL MANIFESTO

Criticare la sentenza non è «lesa maestà»

Processo di Locri. Tramite la critica pubblica e popolare alle attività giudiziarie si rompe infatti la ‘separatezza’ del giudiziario dalla ‘civitas’, si favorisce l’emancipazione dei giudici dai vincoli politici, burocratici e corporativi, si delegittima la ‘cattiva’ giurisprudenza e si contribuisce, infine, ad elaborare e rifondare continuamente la deontologia giudiziaria

Simone Spina*  05.10.2021

La vicenda ‘Lucano’ e le levate di scudi che da più parti, all’interno della magistratura, si sono subito affacciate contro le critiche alla pesantissima sentenza di condanna pronunciata giovedì scorso, sono scene di un film già visto: la ‘cittadella della magistratura’, sentitasi attaccata e sotto assedio, innalza muri elevati e scava fossati profondi per separarsi dalla ‘civitas’, ripiegando su se stessa davanti alle critiche pubbliche alla sentenza, percepite quasi come ‘lesa maestà’.

Eppure, la ‘cittadella’ dimentica che in una democrazia costituzionale le critiche alle decisioni pubbliche, specie se autoritative, dovrebbero essere sempre salutate ed accolte con favore: come un segno di salute istituzionale e civica, dato che si tratta di uno strumento di controllo diffuso e popolare sull’esercizio dei pubblici poteri, incluso quello giudiziario.

La soggezione delle attività giudiziarie alla critica dell’opinione pubblica, anzi, rappresenta una delle principali garanzie di controllo sul funzionamento della giustizia. Ma vi è di più. A quanti, specie all’interno della magistratura, oppongono preconcette chiusure verso la critica pubblica ai provvedimenti giudiziari, occorrerebbe replicare ribaltando l’argomento dell’‘attacco’ alla indipendenza del giudiziario, evocato spesso in occasioni simili: ricordando, più in particolare, che il controllo dell’opinione pubblica sulle attività giudiziarie è un fattore essenziale non soltanto di responsabilizzazione democratica per i cittadini, ma anche di educazione dei giudici ad un costume di indipendenza.

Critica pubblica ed indipendenza della magistratura, in altri termini, sono legate a doppio filo, nel senso che la critica, ben più che ledere, contribuisce a rafforzare la cultura dell’indipendenza. All’apparenza, ciò potrà forse sembrare paradossale. Ma così non è. Tramite la critica pubblica e popolare alle attività giudiziarie – non quella generica e vaga, ovviamente, ma quella argomentata e documentata, rivolta a singoli giudici e a concreti provvedimenti – si rompe infatti la ‘separatezza’ del giudiziario dalla ‘civitas’, si favorisce l’emancipazione dei giudici dai vincoli politici, burocratici e corporativi, si delegittima la ‘cattiva’ giurisprudenza e si contribuisce, infine, ad elaborare e rifondare continuamente la deontologia giudiziaria.

La critica pubblica e il conseguente controllo popolare sulla giustizia rappresentano, d’altra parte, la seconda via che collega il potere giudiziario alla sovranità popolare, assieme a quella della garanzia dei diritti fondamentali: formalmente enunciati dalla Costituzione come appartenenti a tutti e ciascuno, ma concretamente inverati e sostanziati dalla loro possibilità di tutela e ‘giustiziabilità’.

Ecco perché alla critica della giurisdizione da parte dell’opinione pubblica i magistrati dovrebbero associare un valore: non soltanto da ‘tollerare’, ma anche e soprattutto da ‘praticare’ ed ‘esercitare’ essi stessi, sia come singoli che come gruppi. La critica pubblica ai provvedimenti giudiziari è quindi un fattore necessario ed essenziale: necessario per la vitalità democratica del nostro Paese, essenziale per il costume d’indipendenza del potere giudiziario.

* componente dell’esecutivo di Magistratura democratica

«Modello Mimmo. L’abuso di umanità non è reato»

Mimmo Lucano. Sottoscrizione e manifestazione giovedì 7 ottobre ore 17,30 a Roma, Piazza Montecitorio, manifestazione pubblica

Eugenio Mazzarella, Luigi Manconi  05.10.2021

«Il pubblico ministero ha detto che i giudici non devono tenere conto delle “correnti di pensiero”. Ma che cosa sono le leggi se non esse stesse delle correnti di pensiero? Se non fossero questo non sarebbero che carta morta. E invece le leggi sono vive perché dentro queste formule bisogna far circolare il pensiero del nostro tempo, lasciarci entrare l’aria che respiriamo, metterci dentro i nostri propositi, le nostre speranze, il nostro sangue, il nostro pianto. Altrimenti, le leggi non restano che formule vuote, pregevoli giochi da legulei; affinché diventino sante esse vanno riempite con la nostra volontà». Così Piero Calamandrei, il 30 marzo 1956 davanti al Tribunale di Palermo, in difesa di Danilo Dolci promotore di uno sciopero all’incontrario di disoccupati al lavoro su una strada comunale abbandonata, nelle campagne di Partinico.

Ecco, davanti al raddoppio della pena richiesta dall’accusa per Mimmo Lucano in ragione degli illeciti amministrativi e penali imputatigli, ci sono venute alla mente queste parole di Calamandrei. Con l’amara sensazione che i giudici siano andati ben oltre l’indifferenza alle “correnti di pensiero” del proprio tempo per attenersi alla “lettera” della legge. E che nelle vive correnti di pensiero del proprio tempo, di cui anche le leggi e la loro applicazione sono espressione, siano entrati, eccome. Ma dal lato sbagliato. Dove – nella biblica tragedia delle migrazioni – non ci sono i propositi delle nostre speranze, di un’Italia e un’Europa più accoglienti. E non c’è in alcun modo la consapevolezza che anche fare il “bene” non è un pranzo di gala, e Mimmo Lucano in questi anni ne ha saputo qualcosa.

Diventa difficile, in presenza di questa sentenza, sottrarsi all’idea di uno spropositato accanimento giudiziario. Senza tenere in nessun conto lo sforzo di Lucano, pur tra errori e imperizie amministrative, di suscitare un “circolo virtuoso” fra i nuovi arrivati e la cultura locale, in un contesto complesso, rivitalizzando un territorio gravemente depresso, assicurando “ordine pubblico”.

Con la sentenza del Tribunale di Locri, tutto sembra ridursi a un sodalizio a delinquere. E come spiegare la mancata concessione delle attenuanti “per motivi di particolare valore morale o sociale” e, persino, di quelle generiche? Tale circostanza fa temere il peggio: che dietro questa sentenza possa esservi una certa concezione ideologica destinata a sanzionare la politica dell’accoglienza come interpretata da Lucano e dai suoi sodali. E a penalizzare quel diritto al soccorso che costituisce il fondamento stesso dell’intero sistema dei diritti universali della persona.

In attesa del processo di appello che – ci auguriamo – saprà restituire equilibrio e misura all’esercizio della giustizia nei confronti del “modello Riace”, qualcosa intanto possiamo fare: aiutare Mimmo Lucano e gli altri condannati a sostenere il peso economico del risarcimento richiesto. E, qualora un successivo grado di giudizio vorrà ricondurre la sanzione a più ragionevoli criteri, destineremo la somma raccolta a progetti di accoglienza in quello stesso territorio.

Per chi voglia contribuire, nella misura che ritiene opportuna, a questa raccolta fondi, ecco i dati:
A Buon Diritto Onlus
Banco di Sardegna
Causale. “Per Mimmo”
IBAN: IT55E0101503200000070333347

A sostegno di questa iniziativa: giovedì 7 ottobre ore 17,30 a Roma, Piazza Montecitorio, manifestazione pubblica: «Modello Mimmo. L’abuso di umanità non è reato».
Promuovono:
Eugenio Mazzarella, Luigi Manconi, Riccardo Magi, Sandro Veronesi e la Rete Io Accolgo con Acli, Caritas, Arci, Cgil, Legambiente, Campagna ero straniero, Saltamuri, Cnca, Centro Astalli, AOI e decine di altre associazioni.
E: Dacia Maraini, Alessandro Bergonzoni, Elena Stancanelli, Maurizio de Giovanni, Michela Murgia, Sandro Veronesi, Monica Guerritore, Massimo Cacciari, Vittoria Fiorelli, Erri De Luca, Sonia Bergamasco, Moni Ovadia, Donatella Di Cesare, Francesco Merlo, Mauro Magatti, Fabrizio Gifuni, Ascanio Celestini, Luigi Ferrajoli, Roberto Esposito, Massimo Villone, Paolo Corsini, Roberto Zaccaria, Marino Sinibaldi, Lucio Romano, Luca Zevi, Gad Lerner, Domenico Procacci, Luciana Littizzetto.
Vinicio Capossela, Caterina Bonvicini, Teresa Ciabatti, Roberto Sessa, Kasia Smutniak, Carlo Degli Esposti, Nora Barbieri, Paolo Virzì, Alessandro Gassmann, Edoardo De Angelis, Mimmo Paladino, Ferzan Ozpetek, Guido Maria Brera, Edoardo Nesi, Pierfrancesco Favino, Francesca Archibugi, Giovanni Veronesi.

Per aderire: modellomillo@gmail.com

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