IUVENTA, UNA VERGOGNA CHE NON SI PUÒ ESORCIZZARE da IL MANIFESTO
Iuventa, una vergogna che non si può esorcizzare
SEQUESTRO DI STATO. Il fatto non sussiste: una formula assolutoria che più piena non potrebbe essere e che, specularmente, va letta come un giudizio di condanna contro quanti hanno imbastito sul nulla il […]
Giuseppe Di Lello 20/04/2024
Il fatto non sussiste: una formula assolutoria che più piena non potrebbe essere e che, specularmente, va letta come un giudizio di condanna contro quanti hanno imbastito sul nulla il processo contro l’equipaggio della «Iuventa» e, più ancora, contro l’idea del soccorso a mare dei migranti.
L’accusa era di quelle che dovevano servire a chiudere il cerchio della repressione e a giustificarne la moralità perché riusciva a trovare, in un concorso criminoso, la falsa pietà dei soccorritori e i loschi affari dei trafficanti.
Lo Stato, in una sequenza di governi di vario colore, correva il rischio di doversi vergognare, alla lunga, del trattamento dei migranti che evolveva di orrore in orrore con il sequestro delle navi soccorso e del suo carico umano lasciato a marcire fuori dai porti, i respingimenti, la reclusione dei lager dei centri di identificazione, la riconsegna ai torturatori libici e, infine tanto per aggiungere un supplemento di sofferenza, con l’assurda assegnazione di un porto il più lontano possibile dalla zona di salvataggio.
Questa vergogna, quindi, andava esorcizzata rivelando a tutti il connubio tra soccorritori e trafficanti, un connubio che andava certificato dal potere giudiziario ubicato proprio in quel di Trapani competente per territorio su Lampedusa.
Il fatto non sussiste, certo, ma la «Iuventa» sequestrata è inutilizzabile, gli imputati hanno trascorso ben sette anni sotto la spada di Damocle di imputazioni che prevedevano pene altissime e, soprattutto, si è impedito di salvare un numero incalcolabile di migranti, naufragati e annegati in quel Mediterraneo trasformato in un immenso cimitero.
Siamo però senza speranza. Questa assoluzione, pur consolatoria per noi, non farà rinsavire la destra al potere che proprio in prossimità delle elezioni del parlamento europeo ha rafforzato, in ambito comunitario, la repressione dei migranti.
Altre «Iuventa», temo, verranno.
Depistaggio o pregiudizio. Il lato oscuro delle indagini
L’ARMA DEL RELITTO. Perché la procura ha sconfessato se stessa? L’inchiesta era viziata a monte, ecco le prove. La chiave di volta nell’informativa della polizia giudiziaria di giugno 2020, ma i trafficanti non ci sono mai stati. Né in 30mila pagine di fascicolo, né in 200 dischi di intercettazioni
Giansandro Merli, TRAPANI 20/04/2024
Perché il 4 marzo 2022 la procura di Trapani ha chiesto il rinvio a giudizio degli indagati nella maxi-inchiesta sulle ong ma il 28 febbraio 2024 ha smentito se stessa esprimendosi per il proscioglimento? È questa la domanda che rimane sul banco degli imputati dopo che ieri il Gup di Trapani Samuele Corso ha disposto il non luogo a procedere perché «il fatto non sussiste». Tra quelle due date si è snodata un’udienza preliminare definita in aula «tra le più lunghe e complesse della storia giudiziale italiana».
SI È APERTA con i Pm impegnati a sostenere che i soccorritori e i marinai delle navi Iuventa, Vos Prudence e Vos Hestia, le ong Medici senza frontiere e Save the children, la società armatrice Vroon partecipassero a un disegno criminale comune per favorire l’immigrazione clandestina in Italia attraverso un «accordo pregresso» con i trafficanti libici che prevedeva «consegne concordate» di migranti. Obiettivo: l’aumento delle donazioni alle organizzazioni non governative. Gli imputati rischiavano fino a 20 anni di carcere. Si è conclusa con gli stessi Pm che hanno riconosciuto come nessun accordo fosse mai stato provato: gli imputati andavano prosciolti.
Del resto dopo indagini realizzate con diversi infiltrati, intercettazioni a tappeto, microspie sui ponti delle navi e negli uffici è sempre rimasto un vuoto: i trafficanti. Nelle 30mila pagine complessive del fascicolo, negli 80 dischi di registrazioni telefoniche, nei 120 di intercettazioni ambientali non c’è una sola chiamata tra un esponente di organizzazioni dedite al traffico di persone e quello di una ong. L’accordo è stato quindi supposto dagli inquirenti travisando una serie di comportamenti tenuti in mare durante i soccorsi.
APPARE CHIARAMENTE dalle 653 pagine dell’informativa di polizia firmata dal Servizio centrale operativo (Sco) del Viminale, dal Nucleo speciale d’intervento (Nsi) della guardia costiera e dalla squadra mobile della questura di Trapani. Per la procura costituisce «l’atto principale d’accusa». Viene consegnato il 10 giugno 2020. Un anno prima il Pm Andrea Tarondo, che nel 2016 aveva avviato l’indagine, si era trasferito in Perù per dare la caccia ai narcos. Alle spalle, nel suo ufficio, si era lasciato due armadi zeppi di documenti di indagine sui soccorsi nel Mediterraneo. Quando il caso finisce sulla scrivania delle Pm Giulia Mucaria e Brunella Sardoni e poi del procuratore aggiunto Maurizio Agnello quel materiale è ormai ingovernabile. L’informativa lo riassume e lo organizza. Lo orienta.
All’interno ci sono un aggettivo e un avverbio che restano impressi al lettore: «callido» e «artatamente». Stanno lì a indicare presunte trame di un disegno criminoso che avrebbe due facce: realizzare le consegne concordate con i trafficanti, far credere alle autorità che si tratta di soccorsi. Per sostenere questa narrazione, ad esempio, si contestano le buone condizioni meteo durante i salvataggi o il fatto che alcuni barconi hanno i motori funzionanti, come se ciò cancelli lo stato di pericolo di quei mezzi sovraffollati, senza bandiera e senza regole di sicurezza. Tutto il contrario di quanto aveva spiegato al parlamento già tre anni prima il capo del centro di coordinamento del soccorso marittimo italiano (Imrcc) e futuro comandante generale della guardia costiera, l’ammiraglio Nicola Carlone: tutti i barconi che partono dalla Libia sono a rischio naufragio.
OPPURE SI CONTESTA alle ong di non svolgere attività di polizia durante le operazioni di salvataggio o a bordo della navi, travisando il loro ruolo e il senso stesso del search and rescue. Ancora: si parla di «spiccata personalità criminale e naturale attitudine a delinquere» con riferimento non a un esponente mafioso, ma al capomissione di Msf. A Tommaso Fabbri, l’uomo che per mesi aveva tenuto i contatti con i ministeri e i militari italiani, uno che da gennaio a marzo di quest’anno, nel pieno dell’offensiva israeliana, ha coordinato i progetti della ong in Palestina.
Gli elementi più inquietanti dell’informativa, comunque, restano altri. Riguardano ad esempio la credibilità dei testimoni oculari, un agente del Viminale sotto copertura e due ex poliziotti. Salgono tutti a bordo della Vos Hestia di Save the children, assunti dalla società di sicurezza Imi Service. Gli inquirenti prendono per buono qualsiasi cosa dicano. Non si preoccupano nemmeno di capire perché due di loro sono fuori dalla polizia: avevano mentito e commesso reati. Dalle intercettazioni emerge che volevano scambiare le informazioni acquisite sulle navi con esponenti di destra e servizi segreti per ottenere in cambio un lavoro, ma vengono ritenuti comunque credibili. In una telefonata dicono che «i migranti sono come animali», ma la frase non viene trascritta nell’informativa di polizia. Sentiti in udienza dimostrano di non avere alcuna contezza di come funzionano le operazioni di soccorso e ripetono, lo avevano fatto anche prima, di non avere prove dell’accordo trafficanti-ong. Nelle sue conclusioni il procuratore li ha definiti «assolutamente inattendibili». Ufficialmente l’inchiesta era partita dalle loro dichiarazioni.
SI SONO SCIOLTE COME NEVE al sole, insieme a tutto l’impianto accusatorio. Anche perché la sconfinata attività investigativa aveva “dimenticato” di acquisire alcuni elementi fondamentali. È toccato alle difese produrli. Per esempio i tracciati delle navi, che l’Imrcc ha sempre avuto grazie al sistema Lrit, long-range identification and tracking. Oppure, ancora più importante, le comunicazioni tra autorità e soccorritori. Hanno permesso di rileggere in una luce completamente diversa tutti gli episodi finiti nel capo di imputazione: non consegne concordate ma salvataggi coordinati dalla guardia costiera italiana. Era lei a indicare le zone da pattugliare o le coordinate dei barconi, non certo i trafficanti. Ma è possibile che nessun investigatore sia andato a bussare alla porta di quegli uffici per chiedere se per caso fossero loro a dare istruzioni alle ong? Davvero l’Nsi non sapeva che tutte quelle comunicazioni sono registrate e archiviate?
È difficile crederlo. Anche perché nel 2019, un anno prima dell’informativa riassuntiva, i legali di Iuventa Nicola Canestrini e Francesca Cancellaro avevano presentato una memoria difensiva in cui le principali accuse venivano smontate. Quasi al buio, visto che non avevano ancora le carte dell’accusa ma solo il provvedimento di sequestro della nave, confermato in Cassazione. «Potrebbe dirsi che le uniche consegne concordate a cui abbia partecipato l’equipaggio siano quelle effettuate dall’autorità», scrivevano già allora gli avvocati. Addirittura nel 2017 Msf, sentendo che il vento era cambiato, si era recata da Tarondo e dal Pm di Catania Carmelo Zuccaro, che sosteneva di avere prove dei rapporti trafficanti-Ong, per mettere a disposizione tutto il materiale in proprio possesso.
MA ALLORA PERCHÉ la procura non ha chiesto l’archiviazione anni fa, risparmiando un lungo calvario ai sedici imputati e una buona dose di risorse pubbliche? In aula si è giustificata con due motivazioni: l’udienza preliminare ha permesso di acquisire nuove prove che per ragioni di tempo non sarebbe stato possibile ottenere in fase di indagini; la riforma Cartabia, intervenuta nel frattempo, ha trasformato i requisiti del rinvio a giudizio: ora è necessaria una prognosi di condanna. Sono argomentazioni debolissime. Tanto che nello stesso intervento conclusivo il procuratore ha dovuto ammettere di nutrire dei dubbi sul perché l’inchiesta sia iniziata e sul come sia stata condotta.
Due ipotesi le hanno formulate i legali delle ong nelle loro arringhe finali, tra il 28 febbraio e il 2 marzo. L’avvocata di Save the children Jean Paul Castagno ha sostenuto che le indagini siano state viziate a monte da pregiudizio, ricerca del capro espiatorio e manipolazione delle parole. Invece di accertare i fatti, si è cercato di adattarli alle ipotesi accusatorie. Gli avvocati di Msf Cesare Fumagalli e Stefano Greco sono stati ancora più critici verso l’operato degli inquirenti. Fumagalli ha puntato il dito contro l’Nsi della guardia costiera che nell’informativa di polizia avrebbe piantato il «seme avvelenato» che ha poi tratto in inganno i magistrati. Greco ha parlato di «indagini eterodirette» da Roma, ipotizzando che queste abbiano creato un danno per la stessa procura di Trapani. Per questo ha chiesto di aprire un fascicolo per l’articolo 375 del codice penale: depistaggio. Il Gup non ha dato risposte sul punto, ma ora le ong potrebbero procedere autonomamente con un esposto.
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