EUROPA IPOCRITA: VUOLE LAVORATORI, ERIGE BARRIERE da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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EUROPA IPOCRITA: VUOLE LAVORATORI, ERIGE BARRIERE da IL MANIFESTO e IL FATTO

Europa ipocrita: vuole lavoratori, erige barriere

SOVRANISMI. Dei migranti si presentano alle porte del Vecchio Continente, i servizi di accoglienza diventano sovraccarichi, la destra grida all’invasione, la sinistra si divide, le capitali europee fanno scaricabarile e poi […]

Benoît Bréville  04/10/2023

Dei migranti si presentano alle porte del Vecchio Continente, i servizi di accoglienza diventano sovraccarichi, la destra grida all’invasione, la sinistra si divide, le capitali europee fanno scaricabarile e poi tutti passano ad altro, fino alla prossima «crisi».

Visto dall’Europa, lo scenario è noto. Ma visto dall’Africa?
Quando giornalisti e dirigenti politici si degnano di menzionare i paesi di partenza, è solo per distinguere tra i «rifugiati», che hanno lasciato uno Stato in guerra e meritano una certa attenzione, e i «migranti», le cui motivazioni economiche non possono giustificare un’offerta di ospitalità. «Se le persone non hanno diritto all’asilo, come nel caso delle nazionalità che stiamo vedendo in questo momento, ivoriani, gambiani, senegalesi e tunisini (…), devono ovviamente essere rimandate nel loro paese», ha spiegato il ministro degli interni francese Gérald Darmanin dopo lo sbarco di ottomila esuli a Lampedusa (TF1, 19 settembre).

Le ragioni per cui i senegalesi lasciano il proprio paese sono solitamente formulate dai media in termini così vaghi da perdere ogni significato: «fuggire dalla miseria», «andare in cerca di un futuro migliore». In Senegal queste parole rinviano a una realtà tangibile. Quella degli accordi di pesca che permettono a europei e cinesi di rastrellare gli oceani con i loro pescherecci a strascico, che possono raccogliere in un solo viaggio quello che una barca locale tirerebbe su in un anno. Quella dell’accaparramento delle terre, con il suo corteo di investitori stranieri che sfrattano i contadini per promuovere le colture da reddito a scapito di quelle di sussistenza, come le arachidi al posto del sorgo e del miglio. Quella del riscaldamento climatico, che incide sui raccolti, con stagioni umide più brevi, inondazioni e siccità più frequenti, un deserto sempre più esteso e un mare che si innalza erodendo le coste e aumentando la salinità del suolo. Quella infine della repressione politica, orchestrata da un presidente, Macky Sall, amico del Quai d’Orsay.

Viste dall’Africa, le politiche europee brillano per la loro ipocrisia. Parallelamente ai discorsi marziali, accordi, convenzioni e uffici di informazione organizzano l’emigrazione di lavoratori per sopperire alla carenza di manodopera e all’invecchiamento della popolazione europea. La Francia sta facendo entrare medici senegalesi, l’Italia fa appello a lavoratori edili algerini e ivoriani, la Spagna utilizza lavoratori stagionali marocchini nell’agricoltura e nel turismo. La Germania ha recentemente annunciato l’apertura di cinque centri di reclutamento per lavoratori altamente qualificati in Ghana, Marocco, Tunisia, Egitto e Nigeria. Come analizza la sociologa Aly Tandian, i paesi d’origine fungono così da «incubatori in cui degli esperti nascono, vengono educati e formati prima di partire per altre destinazioni».

Gli europei fanno incetta di laureati e alimentano varie calamità; soffrendo per questi disastri, e dopo aver tentato molte altre soluzioni, alcuni giovani devono risolversi a partire per il Vecchio Continente. Arrivati a Lampedusa, trovano una porta chiusa. Nello stesso momento, le televisioni e le radio senegalesi trasmettono una canzone in lingua wolof della regione italiana Piemonte: «Desiderare una buona vita non deve condurti a sacrificare te stesso. La vita è preziosa, il mare è pericoloso» Il cinismo europeo è mortale.

Livi Bacci: “La Ue ci lascia sola sui migranti? Un piagnisteo per coprire i fallimenti del governo”

Il professore è uno dei più noti e autorevoli demografi italiani, critica l’approccio italiano ai flussi: “Senza immigrazione nel prossimo ventennio la popolazione italiana in età attiva diminuirebbe di sette milioni, con una

società più debole, vulnerabile e vecchia”

 ELISABETTA AMBROSI   2 OTTOBRE 2023“L’Italia – e come l’Italia altri paesi europei – è ammalata di una grave schizofrenia: abbiamo crescente necessità di immigrati (la Lega lo sa benissimo) ma ci adoperiamo per respingerli. Si gioca una sporca partita puramente elettorale e si compromette lo sviluppo a lungo termine del paese”. Massimo Livi Bacci è uno dei più noti e autorevoli demografi italiani. In procinto di prendere parte al “Pianeta Terra Festival. La rete della vita”, che si terrà dal 5 all’8 ottobre prossimi a Lucca (direzione scientifica Stefano Mancuso), interviene su immigrazione, crescita della popolazione, denatalità. Decostruendo retoriche sbagliate e luoghi comuni, ma anche falsi slogan come quello per cui “l’Europa ci lascia soli, un insopportabile piagnisteo per celare il fallimento”.

Professore, la popolazione mondiale continua a crescere, soprattutto per effetto di continenti come quello africano. Quando raggiungerà il picco e quando inizierà a decelerare?

Le ultime previsioni delle Nazioni Unite, fondate su dati aggiornati e ottime metodologie, confermano un continuo rallentamento della crescita della popolazione del pianeta, che raggiungerebbe il suo massimo (10,4 miliardi, contro gli 8 di oggi) nel 2086, fluttuando attorno a quella cifra fino alla fine del secolo. Si tratta della cosiddetta “variante media”, rispetto ad un ventaglio di altre ipotesi. Si tratta tuttavia di orizzonti molto lontani. Benché le popolazioni abbiano una forte inerzia, la previsione di situazioni lontane più di trent’anni hanno valore di “scenario”, di natura illustrativa, da considerare con molta cautela.

In che misura l’aumento della popolazione è un problema drammatico, in termini di competizione per le risorse, ma anche emissione di CO2? Anche il mondo ambientalista sembra diviso tra chi sostiene che occorra assolutamente decrescere demograficamente e chi invece mette sotto accusa soprattutto gli stili di vita.

Polemica mal posta, che confonde le acque. La crescita demografica sicuramente concorre all’aumento delle emissioni, se non è frenata da tecnologie sempre più evolute (dematerializzazione, digitalizzazione, energie pulite ecc.). La “decrescita” demografica non si ottiene con la bacchetta magica e, come detto, la popolazione del mondo sta rallentando il suo sviluppo. Una forte spinta alla crescita delle emissioni viene data dalle centinaia di milioni di umani che cercano di uscire dalla povertà, spesso estrema, nella quale vivono, e che hanno bisogno di nutrirsi, vestirsi, alloggiare, provvedersi di strumenti per lavorare, di energia per riscaldarsi, muoversi, operare. Hanno necessità di consumare combustibili e materiali non rinnovabili.

Come lei nota, questo pone un problema di risorse. Tuttavia da un punto di vista etico come possiamo chiedere a chi abita in questi paesi di rinunciare a ciò a cui noi non rinunceremmo?

Perché mai dovremmo chiederlo? Del tutto irrealistico, oltreché iniquo. Bisogna invece rendere compatibile lo sviluppo e l’uscita dalla povertà con un saggio utilizzo delle risorse naturali e una sostenuta diffusione delle tecnologie necessarie, regolando l’uso dello spazio, della terra, dell’acqua, dell’aria; garantendo l’integrità dell’ambiente. Difficile ma possibile.

Quali sono, a suo avviso, gli strumenti più efficaci per rafforzare la decelerazione demografica?

La questione riguarda soprattutto l’Africa sub-sahariana, dove una forte spinta alle politiche sociali per abbassare la mortalità e migliorare la salute, in particolare nell’infanzia e adolescenza, sostenere l’istruzione, in specie delle donne, rompere antiche norme patriarcali, costruire un sistema di welfare, possono avere effetti positivi per contenere una riproduttività ancora vicina a una media di 5 figli per donna. Si tratta di politiche sociali che sono alla base dello sviluppo, ma che hanno anche ricadute demografiche, come dimostrano gli innumerevoli esempi di popolazioni degli altri continenti che hanno moderato crescita e riproduttività.

Intanto, mentre la popolazione mondiale aumenta, il nostro governo si straccia le vesti per la denatalità in Italia. A suo avviso si tratta di un problema reale? Come lo si dovrebbe affrontare e cosa pensa della retorica pro vita che permea chi ci governa?

La bassissima natalità è sicuramente un grosso problema, e dovrebbe esserci una larga intesa politica per cercare un riequilibrio. Abbandonando la retorica da quattro soldi, gli inutili moralismi, le patetiche rievocazioni del passato. In Europa, i paesi con una riproduttività meno compromessa (Francia, paesi della Scandinavia), sono quelli che da decenni hanno politiche di sostegno attivo alla riproduzione ed all’infanzia, mantenute sostanzialmente invariate sotto governi bianchi, rossi o neri… Essenzialmente: più donne al lavoro, maggiore e più precoce autonomia dei giovani, maggiore equità di genere e adeguate strutture pubbliche. Oltre a sostegni monetari là dove necessari.

L’immigrazione è l’altro grande tema ed è destinata ad aumentare, anche in Europa, a causa di conflitti e della crisi climatica. Qual è il suo giudizio sulle politiche migratorie dell’attuale governo?

Che l’immigrazione vada regolata è una banalità che tutti ovviamente accettano: ma nel caso italiano manca una visione coerente e, come dicevo, la ripetizione dello slogan “che l’Europa ci lascia soli” è un insopportabile piagnisteo per celare il fallimento. La confusione regna sovrana. Nei prossimi decenni dovremo ammettere centinaia di migliaia di immigrati all’anno, investendo sulle loro competenze, sviluppando le loro capacità, integrando bambini e famiglie, facilitando l’accesso alla cittadinanza. Senza immigrazione, nel prossimo ventennio la popolazione italiana in età attiva diminuirebbe di sette milioni, con una società più debole, vulnerabile e vecchia.

Sempre sull’immigrazione: come giudica invece il ruolo e le posizioni dell’Europa?

L’Europa è profondamente spaccata per quanto riguarda l’immigrazione, (gruppo Visegrad, Europa continentale, Europa mediterranea etc), ma può forse trovare un’intesa sul tema del rafforzamento della cooperazione con i paesi di provenienza dei maggiori flussi, che includa l’ammissione di flussi regolari, la costruzione di rapporti nel campo della formazione e dell’istruzione dei giovani, la facilitazione per i rientri degli emigrati e tanto altro.

Immigrazione in crescita, crisi climatica, conflitti. Il disordine globale sembra aumentare e ad esso fa da controcanto la debolezza dei singoli stati. In che modo si potrebbe arrivare, secondo lei, a una governance mondiale?

La strada è lunga e impervia! Il Global Compact sull’immigrazione delle Nazioni Unite, un documento non prescrittivo approvato dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel 2019, e contenente linee guida per la buona gestione dei flussi migratori, non venne sottoscritto dall’Italia (e da un’altra dozzina di paesi, tra i quali gli Stati Uniti). Il documento non conteneva obblighi, ma solo buoni consigli. Un governo mondiale è, per ora, un’utopia.

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