“ENNESIMO NAUFRAGIO” da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
5839
post-template-default,single,single-post,postid-5839,single-format-standard,stockholm-core-2.4,select-child-theme-ver-1.0.0,select-theme-ver-9.6,ajax_fade,page_not_loaded,,qode_menu_,wpb-js-composer js-comp-ver-6.13.0,vc_responsive

“ENNESIMO NAUFRAGIO” da IL MANIFESTO

Naufragio al largo di Lampedusa, strage di donne e bambini

Mediterraneo. Barcone si ribalta durante il soccorso della Guardia costiera: sette morti e una decina di dispersi. Le Ong accusano l’Italia e l’Europa

Giansandro Merli  01.07.2021

«Ennesimo naufragio» è ormai la formula di rito per le stragi annunciate che si ripetono nel Mediterraneo. L’ultima è avvenuta ieri prima dell’alba durante un soccorso della Guardia costiera tra Lampione e Lampedusa, a 5 miglia nautiche dalla costa. Cioè in uno dei tratti di mare a cui il premier Mario Draghi si era riferito nel question time alla Camera del 12 maggio scorso dicendo: «Nessuno verrà lasciato solo in acque territoriali italiane». Sette donne, di cui una incinta, hanno perso la vita. In dieci, tra cui pare anche molti bambini, risultano dispersi. 46 i sopravvissuti, 29 uomini e 17 donne. Due di loro sono state trasportate con l’elisoccorso a Palermo in gravi condizioni (una rischia di perdere il figlio che porta in grembo).

Secondo Mediterraneo Cronacaportale di informazione presente a Lampedusa, i 63 migranti erano partiti da Sidi Mansour, vicino alla città tunisina di Sfax. 175 chilometri a sud-ovest dell’isola italiana, forse addirittura due giorni prima. Un dettaglio importante per capire se la barca fosse alla deriva, vista la posizione poco comune in cui è stata raggiunta.

LE PERSONE si sono imbarcate in Tunisia, ma hanno origini subsahariane: Camerun, Costa d’Avorio, Mali, Togo, Guinea Bissau, Burkina Faso. «Erano sotto shock, zuppi, tremavano, con evidenti segni di ipotermia. Alcuni apparivano semicoscienti o in stato confusionale. Abbiamo provato a parlarci ma, a differenza di altre volte, è stato impossibile. Troppo sconvolti», racconta Elisa Biason, di Mediterranean Hope-Chiese Valdesi, presente al molo Favaloro. Con il Forum Lampedusa solidale ha distribuito coperte termiche e vestiti asciutti allo sbarco.

Nella ricostruzione della Guardia costiera si legge che alle prime ore del mattino «è giunta una segnalazione con telefono Gsm da un migrante a bordo di un barchino in difficoltà». Il mezzo era in quel momento a 7 miglia dalla costa. «Subito prima dell’inizio delle fasi del soccorso, l’unità si è capovolta, verosimilmente a causa dello spostamento improvviso dei migranti», continua il comunicato. In un video della Guardia costiera si vedono i soccorritori marittimi, figure specializzate in interventi critici in acqua, lottare tra le onde per salvare le persone.

https://player.vimeo.com/video/569439083 IL PROCURATORE di Agrigento Luigi Patronaggio ha aperto un’inchiesta contro ignoti per naufragio e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Non è escluso che sotto la lente dei magistrati, come accaduto altre volte, possano finire anche le tempistiche dei soccorsi. La Ong Sea-Watch sostiene che il suo aereo Seabird ha ascoltato via radio intorno alle 19 di martedì «la segnalazione da parte di un peschereccio alla Guardia costiera di Lampedusa di un barchino in difficoltà. Un natante di 8 metri bianco e rosso con circa 50 persone a bordo, come quello naufragato».

Il senatore Gregorio De Falco (gruppo misto) ha annunciato un’interrogazione parlamentare per approfondire l’aspetto della ricezione dell’Sos e chiedere al Presidente del Consiglio e ai ministri di Infrastrutture e Interno «se ci sono ordini scritti o direttive per i quali la Guardia costiera non effettua più soccorsi all’esterno delle 12 miglia da Lampedusa». Cioè se le parole di Draghi di metà maggio riflettano indicazioni per il corpo dello Stato che deve proteggere la vita umana in mare.

LA SCORSA settimana a Lampedusa sono giunte, in sbarchi piccoli ma continuativi, oltre 700 persone. Ieri altre 305 (sopravvissuti compresi) in sei diversi arrivi. Un carico di lavoro non indifferente per le motovedette di Guardia costiera e di finanza presenti sull’isola (circa sei). Anche perché le grandi navi militari Sar sono altrove. Il giornalista di Radio Radicale Sergio Scandura ha pubblicato le foto della Diciotti e della Gregoretti ancorate a Catania e Napoli. Ferme.

Come ferme, ma per altre ragioni, sono quasi tutte le navi Ong. Le Alan Kurdi, Sea-Eye 4, Sea-Watch 3 e 4 sono bloccate dai provvedimenti amministrativi che la Guardia costiera, che dipende dal ministero delle Infrastrutture, ha iniziato a distribuire a pioggia da maggio 2020. A quel tempo al ministero sedeva Paola De Micheli (Partito democratico), oggi Enrico Giovannini (in area centrosinistra).

QUESTE MISURE sono contestate non solo dalle Ong ma anche dagli Stati di bandiera delle loro navi, come Germania e Spagna. Perfino la Open Arms, giudicata dalle autorità la più virtuosa a ottobre 2020, è stata poi fermata a Pozzallo dal 17 aprile al 25 giugno 2021. La Geo Barents di Msf, con bandiera norvegese, ha terminato ieri la quarantena e ora teme il blocco. In rotta verso la zona Sar c’è la Ocean Viking. Ma una nave da sola non può fermare le stragi, soprattutto in estate, quando le partenze aumentano.

Intanto nel Mediterraneo trasformato in deserto, anche dagli altri paesi Ue che non vogliono saperne di missioni di soccorso istituzionali, spadroneggia la sedicente «guardia costiera libica». Dall’inizio dell’anno ha già catturato 15mila persone e ieri Seabird l’ha avvistata in zona Sar maltese. «Ha sparato in acqua per fermare un’imbarcazione con circa 50 persone e cercato di bloccare il motore con una corda», ha scritto l’Ong. I migranti sono riusciti a fuggire.

Il governo e l’Europa non possono più chiudere gli occhi

Migranti . Dobbiamo ripristinare, ora, un dispositivo europeo di soccorso in mare sul modello di Mare Nostrum e interrompere immediatamente il finanziamento alla cosiddetta Guardia Costiera libica gestita dagli stessi trafficanti

Erasmo Palazzotto  01.07.2021

La notizia dell’ennesimo naufragio a poche miglia da Lampedusa ci impone una riflessione seria sulla sostenibilità etica e morale delle nostre politiche migratorie. Non possiamo più chiudere gli occhi su quanto sta accadendo nel Mediterraneo centrale.

La dismissione dei dispositivi di soccorso europei, l’accanita criminalizzazione del soccorso in mare insieme alla limitazione dell’operatività delle Ong sta determinando una sostanziale sospensione del Diritto internazionale ad opera dei governi europei, in particolare delle convenzioni a tutela della difesa della vita in mare e dei diritti umani.

Ritengo che abbia centrato il punto la Presidente del Pd Valentina Cuppi quando, qualche giorno fa, richiamava il Pd e le forze del campo progressista alle proprie responsabilità rispetto ad una politica migratoria che si fonda sull’esternalizzazione della frontiera (e il cui scopo è il contenimento dei flussi), che chiude gli occhi sulla drammaticità delle condizioni sulla terraferma dall’altra parte del Mediterraneo.

Considerare la Libia come un porto sicuro, organizzare e coordinare i soccorsi di una organizzazione criminale come la guardia costiera libica con l’obiettivo di deportare donne, uomini e bambini nello stesso inferno dei lager libici da cui sono fuggiti, comporta una corresponsabilità grave nella sistematica violazione dei diritti umani che avviene in quei luoghi, testimoniate da diversi rapporti delle Nazioni Unite e delle Ong presenti sul campo.

L’ultima in ordine di tempo è la drammatica denuncia di Medici senza Frontiere che pochi giorni fa ha reso pubblica la necessità di sospendere le attività in due centri di detenzione a Tripoli. Drammatico il comunicato che sottolinea ‘ripetuti episodi di violenza contro migranti e rifugiati’ oltre alla mancanza delle condizioni di sicurezza per il proprio personale. La vita nei lager libici è spaventosa: stupri, abusi quotidiani, violenze, torture.

Dai report delle organizzazioni che faticosamente operano sul campo e che si sommano alle diverse inchieste giornalistiche, emerge un quadro drammatico. Davvero pensiamo di poter continuare a delegare alla Libia la gestione dei flussi migratori, di casi vulnerabili, di donne, uomini e bambini detenuti e i cui diritti vengono quotidianamente violati?

Siamo consapevoli, ne conosciamo i dettagli, abbiamo migliaia di testimonianze. Ciononostante continuiamo a promuovere e a sostenere politiche disumane che contemplano respingimenti illegali, abusi e violenze.

Sappiamo per esempio che a gestire i centri detenzione ci sono persone come Rahman al Milad detto Bija, noto trafficante di esseri umani, tra i capi della guardia costiera di Zawiya, sotto inchiesta per crimini contro l’umanità e che, dopo una brevissima detenzione, è stato promosso al grado di maggiore della Guardia costiera libica.

Non può non riguardarci la condizione di vita delle donne e delle bambine stuprate nei centri di detenzione in Libia. Non può non riguardarci la disumanità del contenere e respingere chi cerca di fuggire dall’inferno. Abbiamo il dovere di invertire la rotta per difendere la civiltà giuridica dell’Europa.

Dobbiamo ripristinare, ora, un dispositivo europeo di soccorso in mare sul modello di Mare Nostrum e interrompere immediatamente il finanziamento alla cosiddetta Guardia Costiera libica gestita dagli stessi trafficanti. Dobbiamo sostenere la Libia nel suo processo di stabilizzazione senza appaltargli la gestione della nostra frontiera.

Dobbiamo pretendere la chiusura di tutti i campi di detenzione ed evacuare le circa 6000 persone che vi sono detenute con corridoi umanitari che devono diventare una strutturale via di accesso legale verso l’Europa per tutti coloro che fuggono da condizioni di guerra e di violazione dei propri diritti.

È da questo che dipenderà la qualità della nostra democrazia e il livello di civiltà della nostra società. È su questa sfida che l’Europa ritroverà una sua identità e dal modo in cui saprà affrontarla dipenderà il suo, il nostro, futuro.

No Comments

Post a Comment

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.