VERSO UN NUOVO (DIS)ORDINE? da SINISTRAINRETE
Verso un nuovo (dis)ordine?
Vincenzo Comito 30/01/2025
Parafrasando Gramsci, il vecchio ordine è sempre più vacillante, mentre un nuovo ordine fatica a venire alla luce. Nell’intermezzo, si assiste a svariati fenomeni morbosi, tra cui la presidenza “Trusk”, che pur ispirata all’American First, potrebbe, invece, accelerare il tramonto dell’egemonia USA
Appare evidente che stiamo vivendo in questi anni nel mondo in un periodo di grande confusione, anzi, se vogliamo, di vero e proprio caos. Tra i segni più evidenti ci sono indubbiamente la guerra in Ucraina e quella israelo-palestinese, la confusione siriana, la lotta su tutti i fronti e con tutti i mezzi degli Stati Uniti per contrastare l’avanzata economica, tecnologica, politica cinese, la grande incertezza economica e politica in Europa, ma dalle prospettive comunque poco incoraggianti e ancora le lotte armate interne in diversi paesi africani e asiatici, a cominciare da quella, terribile, che si svolge da tempo in Sudan. Si aggiungono dopo quelle atomiche le minacce ecologiche e tecnologiche sempre più incombenti.
Il vecchio ordine internazionale vacilla
Al di là delle ragioni specifiche di ognuno di questi accadimenti essi sembrano collocarsi tutti sostanzialmente nel quadro di una situazione nella quale il vecchio ordine internazionale vacilla sempre di più. Non regge il potere degli Stati Uniti, e più in generale dell’Occidente, sul resto del mondo, con tutte le loro presunte regole sempre violate a piacimento e le sue istituzioni ormai cadenti, mentre il nuovo assetto globale che dovrebbe sostituirlo non si è ancora affermato; se ne intravede appena qualche segno iniziale
Tra l’altro, la Cina ha mostrato al mondo e in particolare ai paesi del Sud globale che il vecchio mito per cui la modernizzazione economica comporti necessariamente l’occidentalizzazione dei vari paesi non sta più in piedi e che l’Occidente non ha tutte le risposte da dare ai paesi in via di sviluppo.
Tutto questo accade in un periodo in cui sono all’opera dei grandi cambiamenti nel mondo, spinti da almeno sei forze principali (De Lens, Gijsels, 2024): accanto all’affermarsi prepotente sulla scena dei paesi del Sud del mondo, bisogna aggiungere il forte, nonché per alcuni aspetti devastante, impatto dell’innovazione tecnologica, ora con lo sviluppo dei sistemi di intelligenza artificiale e le conquiste della biologia, l’avanzare della crisi climatica, i mutamenti nei processi di globalizzazione e per alcuni aspetti la loro regressione/trasformazione, il peso minaccioso dei debiti pubblici e privati nel mondo, in continua crescita, e infine l’invecchiamento della popolazione, particolarmente evidente nei paesi più sviluppati (De Lens, Gijsels, 2024), ma evidente anche nella gran parte dei paesi del Sud del mondo. Alle tendenze elencate bisogna ancora aggiungere le pesanti e crescenti diseguaglianze rilevabili tra i vari paesi e all’interno di moltissimi tra di essi.
La struttura reale dell’economia mondiale
Cominciamo da un aspetto fondamentale spesso trascurato, quello demografico. I paesi occidentali pesano ormai per poco più di un miliardo di abitanti, quelli del Sud del mondo per almeno sette. Un aspetto molto rilevante dell’attuale declino statunitense viene a questo proposito ad esempio segnalato da Lucio Caracciolo, quando egli suggerisce che un paese di 340 milioni di abitanti, come gli Stati Uniti, non può pretendere di governare un mondo che ne conta ormai più di otto miliardi. Si prevede comunque che nel 2030 i due terzi delle classi medie mondiali siano collocati in Asia, continente sempre più dominante sul piano economico.
Dal 1900 al 1980 il 70-80% della produzione di beni e servizi era concentrata in Europa e negli Stati Uniti (Thomas Piketty). Le statistiche del Fondo monetario internazionale indicano che, utilizzando il criterio della parità dei poteri di acquisto, il pil dei paesi del Sud del mondo è pari al 60% circa del totale mondiale, con tendenza alla crescita. In particolare l’Asia è oggi la regione con i più elevati tassi di sviluppo del mondo. Nel 2024 sempre le stesse fonti calcolano che il pil cinese sia pari al 19% di quello mondiale, quello statunitense al 15%. Peraltro a nostro giudizio il pil cinese è in qualche modo sottovalutato, mentre quello Usa sopravalutato. Il peso della produzione manifatturiera cinese è pari a circa un terzo di quella mondiale, quella statunitense intorno al 15%, mentre l’Unido prevede che entro non moltissimi anni quella del paese asiatico possa raggiungere il 45% del totale e quella degli Stati Uniti ridimensionarsi sino all’11%. Le previsioni al 2030, sempre nei termini del criterio della parità dei poteri di acquisto, vedono nella classifica dei paesi il pil della Cina al primo posto, seguita da Usa, India e Russia. I paesi europei vengono dopo.
La Cina è anche diventato il più grande finanziatore dei paesi emergenti. Così le cifre relative al periodo 2014-2021 indicano che essa è stata all’origine di circa 670 miliardi di dollari di flussi finanziari pubblici verso tali paesi, mentre gli Stati Uniti inseguono alla lontana con circa 320 miliardi (AidData).
In questi ultimi anni stiamo assistendo nel mondo ad una esplosione tecnologica forse senza precedenti. Anche in tale campo studi recenti nostrano come la Cina possa tendere a diventare più importante degli Stati Uniti (secondo una ricerca australiana recente essa sarebbe al primo posto nel mondo in 37 dei 44 settori tecnologici analizzati), anche se essa presenta ancora diverse debolezze su alcune attività, quali ad esempio i chip e il settore della produzione degli aerei civili. Oggi, secondo la rivista Nature, tra i primi dieci centri di ricerca a livello mondiale collegati alle università ben sette sono cinesi. Peraltro i tentativi dei presidenti degli Stati Uniti di bloccare l’ascesa tecnologica del paese si stanno rivelando dei sostanziali fallimenti.
Un “capitalismo truccato”
Un aspetto molto rilevante della crisi occidentale riguarda la recente e profonda trasformazione nelle caratteristiche della sua economia.
Si è assistito all’affermarsi di un’ “economia della rendita”, o anche, come afferma Martin Wolf (Wolf, 2024, a), il più noto giornalista del Financial Times, all’imporsi di un “capitalismo truccato”. Non che – sottolinea l’autore – un capitalismo della rendita sia una novità assoluta: i potenti sono sempre stati dei redditieri, ma essi in alcune fasi dello sviluppo hanno dato in cambio un certo grado di sicurezza sociale, cosa che avviene sempre meno, mentre i benefici della crescita sono stati distribuiti in maniera sempre più diseguale.
Questo capitalismo truccato, come suggerisce l’autore, ha portato alla finanziarizzazione dell’economia, soprattutto negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna, con un cambiamento radicale del ruolo della finanza rispetto al passato; essa tende oggi a controllare le attività imprenditoriali, mentre essa è stata, tra l’altro, all’origine delle crisi finanziarie del 2007-2012; la finanza ha nella sostanza smesso di servire l’impresa per farsene invece padrona.
Sottolineiamo incidentalmente che, come ci ricorda il grande storico francese Fernand Braudel, l’affermazione dei processi di finanziarizzazione è normalmente il segno del maturare di una civiltà, di una sua crisi di prospettive.
Questo ci mostra che la crisi degli Stati Uniti non è soltanto esterna, legata certo all’emergere sulla scena di altri paesi protagonisti, a cominciare dalla Cina, cosa che fa traballare il dogma America First; la crisi è anche da collegare ad altri profondi problemi interni, segnalati tra l’altro dall’elezione di Trump, spia di un malessere crescente della società, collegabile tra l’altro all’arricchimento eccessivo dei più ricchi, legato alla crescita dei profitti e delle rendite, all’impoverimento delle classi medie e popolari e alle lotte feroci di una ristretta élite per il potere.
Va inoltre ricordato che, a partire almeno dal dopoguerra in poi, i paesi occidentali abbiano predicato al mondo il libero commercio e la piena libertà di impresa, ma ora che tali principi si rivolgono a loro danno li rinneghino del tutto.
I segni del cambiamento
Chi scrive pensa che tutto ha avuto inizio con le riforme dell’economia cinese volute da Deng Tsiao Ping nel 1979, anche se va sottolineato che dietro la crescita cinese e ora anche dell’India ci sono due grandi civiltà che avevano avuto per molte ragioni un momento di appannamento ora superato.
Tali riforme sono state il punto di partenza di quelle trasformazioni che con il tempo sono diventate una valanga; il prodigioso sviluppo economico della Cina che ne è seguito ha avuto poi conseguenze fortissime, che fanno sentire ancora i loro effetti, sui destini del mondo. Si può poi considerare che due altri punti di svolta importanti siano stati costituiti da una parte, nel 2001, dall’ingresso della stessa Cina nell’Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO), dall’altra dalla crisi del sub-prime del 2008, crisi che ha mostrato la debolezza del modello economico e finanziario occidentale e crisi da cui l’Europa non si è più sostanzialmente ripresa. Più di recente, sono ulteriori manifestazioni delle difficoltà in atto la fuga precipitosa degli Stati Uniti dall’Afghanistan nel 2021 e il caos del Medio Oriente, nel quale gli Stati Uniti, che una volta governavano l’area, si mostrano del tutto impotenti ad intervenire, mentre mostrano il doppio standard di giudizio che essi e i loro amici occidentali perseguono a seconda delle loro convenienze.
In ogni caso non va sottovalutata la forza ancora presente del paese, come già sottolineavamo in un altro articolo apparso di recente in questo stesso sito; intanto esso ha una situazione geografica molto favorevole, nonché una piena autosufficienza alimentare ed energetica, mentre sul fronte soprattutto finanziario, ma poi anche militare, o del cosiddetto soft power, gli Stati Uniti mantengono ancora una rilevante leadership a livello mondiale, anche se essa appare progressivamente erosa dalla Cina.
Cina e paesi del Sud: la “de-occidentalizzazione”
Ci sono pochi dubbi che Cina e Stati Uniti saranno i due massimi protagonisti della scena mondiale ancora almeno per un lungo periodo, mentre la stessa Cina dovrebbe accrescere nel tempo il suo peso rispetto al rivale.
Ma la lotta tra i due paesi non sembra poter esaurire il quadro del nuovo ordine (o disordine) internazionale in via di formazione. Molti prevedono l’affermazione di un mondo pluralista, in cui, accanto ai due giganti, si affermeranno anche una serie di potenze intermedie che, cercando di tenere buoni rapporti con entrambe, comunque molti mostrandosi più vicini all’uno o all’altro contendente, tenderanno ad affermare la propria autonomia e a pesare in maniera consistente sui destini del mondo. E in effetti, accanto alla sbalorditiva ascesa della Cina, bisogna considerare anche la volontà di emancipazione delle potenze regionali, il secondo fatto che sta sovvertendo l’ordine geostrategico mondiale. Paesi come l’Arabia Saudita, l’Indonesia, l’India, il Brasile, la Turchia, il Sud-Africa mirano a una crescita economica molto forte e a tale fine scommettono ancora sulla globalizzazione. In sostanza, tali paesi rifiutano la lettura delle crisi del mondo contemporaneo proposta dagli Stati Uniti e dai loro alleati (Kauffmann, 2023). Invece di un menu di alleanze a prezzo fisso, in cui bisognava scegliere uno dei due campi, si potrebbe affermare un mondo con scelte à la carte (Russell, 2023), in cui magari gli altri paesi provino a mettere le due grandi potenze una contro l’altra, per ottenere il massimo dei vantaggi possibili.
Gli stessi cinesi non sembrano mirare – come invece suggeriscono una miriade di testi occidentali che denunciano una Cina aggressiva e pronta a conquistare l’intero globo con il suo partito comunista – all’egemonia mondiale, ma sembrano anch’essi auspicare la costruzione di un mondo multipolare.
Bisogna comunque sottolineare che mentre i processi di de-occidentalizzazione mostrano correttamente la ricomposizione in atto della gerarchia mondiale degli Stati e delle loro alleanze, tale concetto non ci dice invece molto né della natura dei progetti che i paesi nuovi portano avanti, né in quale misura essi tendono a rifiutare di aderire alla logica di accumulazione predatoria delle potenze occidentali (Billion, Ventura, 2023).
In effetti, tra i paesi del Sud del mondo non appare all’orizzonte, al di là della contestazione dell’ordine mondiale e delle sue istituzioni a guida occidentale, un progetto unitario in positivo né un leader riconosciuto da tutti.
Non siamo alla fine della globalizzazione, ma…
Nel dopoguerra la spinta ai processi di globalizzazione è stata portata avanti dagli Stati Uniti che pensavano così di estendere e di approfondire il loro dominio sul mondo. Ma il piano non è andato come programmato.
Comunque, alcuni risultati sul fronte della deglobalizzazione la politica di Biden li ha ottenuti. Ma i legami economici e finanziari tra gli stessi paesi occidentali e la Cina sono ormai così forti e le catene del valore sono così interlacciate che una sostanziale cessazione dei rapporti appare difficile. Il mondo degli affari occidentale è poi per la gran parte ostile ai tentativi di allentamento delle relazioni economiche.
Il 2024 registra in ogni caso un allargamento nel mondo delle misure protezionistiche, in particolare, come abbiamo già ricordato, da parte dei paesi occidentali verso la Cina. Ma tali misure rischiano in qualche modo di estendersi con la presidenza Trump.
Ricordiamo che con tali decisioni tutti alla fine ci perdono. I risultati negativi si manifesteranno sotto forma di inefficienze, prezzi più elevati dei prodotti interessati da tali misure, perdite di competitività e di produttività, riduzione del pil ed anche spesso tutte queste cose insieme (De Bolle, 2024). Il protezionismo, una volta avviato, è difficile da controllare e limitare (De Bolle, 2024).
I Brics
Quella dei Brics, organizzazione che vede gran parte dei paesi del Sud del mondo pronti a parteciparvi (attualmente essa è composta da dieci paesi membri e ventisei paesi osservatori, mentre altri premono per entrarvi), appare la principale alleanza in atto dei paesi emergenti, anche se da una parte si tratta di una cooperazione in gran parte informale, mentre dall’altra l’opinione sulle varie questioni non è sempre unanime tra tutti i paesi del raggruppamento.
I Brics mirano apparentemente alla messa in opera di un nuovo ordine economico internazionale nel quale cambino le regole del gioco e il ruolo dei paesi emergenti diventi molto più importante, riducendo l’egemonia di quelli occidentali, a partire dagli Stati Uniti. Così, da una parte, si sta cercando di rinforzare la banca di sviluppo del gruppo creata nel 2014, dall’altra di mettere a punto dei meccanismi di sganciamento dall’utilizzo del dollaro nelle loro transazioni commerciali e finanziarie.
I Brics potrebbero funzionare alla fine come i poli di aggregazione generali di un nuovo ordine internazionale alternativo a quello precedente e che i paesi occidentali cercano in qualche modo di puntellare.
Il processo di de-dollarizzazione
L’egemonia residua degli Stati Uniti sul resto del mondo riposa per una parte molto consistente sul controllo dell’unica moneta internazionale di fatto, il dollaro e più in generale di gran parte del sistema finanziario globale, tema nel quale sono anche compresi i mercati finanziari più importanti del mondo; in essi si concentra una disponibilità enorme di risorse e di strumenti finanziari per le imprese, le organizzazioni e i governi di tutto il mondo, mentre poi il sistema elettronico Swift, in sostanza controllato sempre dagli Usa, permette di regolare le transazioni di tutte le istituzioni finanziarie del pianeta. I grandi fondi statunitensi rivestono il ruolo di raccolta delle risorse finanziarie dei vari paesi del globo e il loro trasferimento sotto il dominio delle istituzioni Usa.
Ora un insieme di fattori si sono combinati nel ridurre nell’ultimo periodo la dipendenza dello stesso sistema dai capitali, dalle istituzioni e dalle reti dei pagamenti occidentali e in particolare da quelli statunitensi (The Economist, 2024).
Intanto i centri finanziari dell’Asia stanno diventando progressivamente sempre più importanti. Molti dei paesi che dovevano ricorrere per indebitarsi al mercato dei capitali in dollari adesso possono farlo nella loro moneta. Più in generale molti paesi di medie dimensioni stanno sviluppando i loro mercati dei capitali interni, isolandosi progressivamente dalla volatilità dei movimenti internazionali dei capitali (The Economist, 2024), anche se si tratta di un processo che deve ancora farsi pienamente strada.
Una seconda forza che sta trasformando il sistema finanziario globale appare il suo uso crescente come arma da parte dell’Occidente.
Come è noto, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina gli Stati Uniti e l’UE hanno reagito con il sequestro delle riserve in dollari della Russia e la sua esclusione dal sistema dei pagamenti Swift; ma è anche noto che tale misura ha scosso i governi della gran parte dei paesi del Sud, che hanno cominciato a temere che la stessa cosa avrebbe potuto succedere anche a loro in futuro per qualsiasi pretesto che gli Usa avrebbero potuto avanzare nei loro confronti.
Così, a partire appunto dallo scoppio della guerra, abbiamo assistito a una serie di iniziative anche disordinate volte a ridurre il peso del dollaro nel regolamento delle transazioni commerciali tra i vari paesi; tali iniziative continuano ad andare avanti. Comunque l’abbandono almeno parziale del dollaro da parte dei paesi del Sud, che a chi scrive sembra ormai inevitabile, si potrà svolgere apparentemente solo lentamente e con fatica, visto il radicamento profondo dell’attuale sistema e la resistenza occidentale a ogni cambiamento.
La sudditanza politica della UE
Bisogna ricordare che le due guerre mondiali hanno posto fine alla centralità europea nell’ordine mondiale, centralità durata alcuni secoli. Oggi l’Unione Europea appare nient’altro che un’area assoggettata alla volontà degli Stati Uniti e non in grado di esprimere alcuna volontà politica autonoma, come mostra, tra gli altri, un esauriente volumetto di Luca Caracciolo (Caracciolo, 2022. L’unione rifiuta di assumere un ruolo autonomo ponendosi da ponte tra Stati Uniti e Cina e mostrando attenzione alle esigenze nuove espresse dai paesi emergenti.
Nel 1960 i paesi dell’UE più la Gran Bretagna rappresentavano il 36,3% del pil mondiale; oggi siamo al 22,4% e per la fine del secolo, secondo le previsioni, esso dovrebbe collocarsi a meno del 10%, mentre gli Stati Uniti sono riusciti, dai tempi dell’amministrazione Kennedy ad o
ggi, a mantenere una quota che si colloca più o meno intorno al 25% (Stephens, 2024), almeno usando il criterio di misura dei prezzi di mercato; certo, molto meno (intorno al 15% e la stima appare ancora ottimistica) utilizzando invece il criterio della parità dei poteri di acquisto.
Si può poi tra l’altro ipotizzare che con la guerra in Ucraina, gli Stati Uniti abbiano anche cercato di indebolire l’Europa e in particolare la Germania, paese troppo incline a ricercare nei fatti un qualche avvicinamento alla Russia (paese con il quale il paese teutonico ha storicamente avuto per secoli forti legami) e alla Cina.
Il ritorno di Trump
Ci si chiede cosa potrà cambiare veramente con l’arrivo di Trump alla presidenza degli Stati Uniti, al di là delle sue dichiarazioni sempre bellicose. La stampa internazionale più qualificata, dal Financial Times al New York Times (Foy, Russell, Stott, 2024; Sanger, 2024) sembra segnalare che l’ordine mondiale che era emerso dopo la fine della guerra fredda mostrava già da tempo segni di grandi difficoltà, come abbiamo del resto segnalato nel testo, ma che la rielezione di Trump minaccia di accelerare il suo declino, se non di renderlo del tutto irrilevante (Foy, Russell, Stott, 2024). Il Financial Times sottolinea come Trump non abbia certo tenuto segreto il suo desiderio di distruggere lo stesso ordine mondiale (Sanger, 2024) e la sua preferenza per accordi bilaterali. Per altro verso, il ritiro almeno relativo degli Stati Uniti dal suo ruolo dominante sul palcoscenico mondiale crea delle ulteriori opportunità alle potenze intermedie per accrescere il proprio ruolo. Le istituzioni internazionali, dalla Banca Mondiale al Fondo Monetario, all’Organizzazione Mondiale per il Commercio (sin qui governate di fatto dagli stessi Stati Uniti), alla stessa Onu, si troveranno ancora di più in un vicolo cieco. Acquisirà un nuovo, ulteriore slancio, presumibilmente, l’organizzazione dei Brics.
Su di un altro piano, il già citato Martin Wolf segnala come la guerra commerciale che Trump promette porterà il caos nel mondo (Wolf, 2024, b). La guerra tariffaria non ridurrà i deficit commerciali degli Stati Uniti, semplicemente li sposterà verso altri paesi, mentre farà crescere l’inflazione in casa che lui dichiara invece di voler combattere come compito prioritario, porterà ad un conflitto con la Fed e farà perdere fiducia nel dollaro. Paradossalmente egli, con una evidente contraddizione, vuole ridurre l’offerta di beni con i suoi dazi e nello stesso tempo invece stimolare la domanda. Questo, tra l’altro, peggiorerà la bilancia commerciale, invece di migliorarla. Mentre la crescita del debito continuerà in maniera esplosiva. Si arriverà nel mondo a un rapido declino nel commercio internazionale e nel pil Usa e globale. Ma alla fine non si arresterà negli Stati Uniti, come invece promette il nuovo presidente, il declino della quota degli occupati nel settore manifatturiero e più in generale il processo di reindustrializzazione del paese non farà grandi passi in avanti. Incidentalmente si può ricordare che le industrie nazionali dipendono in larga misura da fattori produttivi importati.
Mentre gli Stati Uniti si isolano sempre più, le mosse di Trump consentirebbero alla Cina, che è tra l’altro impegnata a tessere legami economici sempre più forti in Asia, Africa, America Latina, come appare molto evidente poi negli ultimi mesi, ad avanzare ancora le sue pedine (Basu, 2024) e ad accrescere il suo peso. La Cina dovrebbe presumibilmente assumere il ruolo di guida della lotta al cambiamento climatico.
Il recente vertice di Kazan
In questi ultimi mesi la grande stampa internazionale è stata tutta concentrata sulle elezioni degli Stati Uniti, mentre ha sostanzialmente ignorato un evento più importante per le sorti del mondo, il vertice di ottobre 2024 a Kazan dei paesi dei Brics (Le Nagard, 2024). Tale incontro appare fondamentale nell’evoluzione politica ed economica del mondo. Il vertice si iscrive nella tendenza in atto verso la messa in opera di un ordine mondiale multipolare e multilaterale nel quale i paesi del Sud del mondo si mostrano capaci di difendere i loro interessi di fronte alle potenze occidentali (Le Nagard, 2024). I leader presenti al vertice hanno concordato di promuovere una agenda incentrata sulla cooperazione, il reciproco rispetto, la sovranità degli Stati membri, l’uguaglianza nel quadro dei Brics, il rifiuto del meccanismo delle sanzioni internazionali, il tutto in opposizione all’egemonia unilaterale degli Stati Uniti. Tra l’altro, durante gli incontri sono state approvate 1300 risoluzioni operative.
Il ruolo di Cina e India
L’India è da qualche anno il paese il cui pil cresce di più tra gli Stati più importanti.
Gli Stati Uniti e più in generale i paesi occidentali sperano da tempo di sospingere il paese nella loro crociata contro la Cina e parlano dell’India come dell’anti-Cina. È vero che essa partecipa a molti accordi politici, tecnologici, militari con gli stessi Stati Uniti. Ma le relazioni tra i due paesi, al di là della superficie, appaiono fondamentalmente fragili (Grosman, 2024).
Gli Stati Uniti sono preoccupati tra l’altro per i forti legami del paese con la Russia, paese da cui l’India acquista grandi quantità di armi e di petrolio, nonché per la sua partecipazione al raggruppamento dei Brics e a quello dello Sco, organismi nella sostanza a guida di Cina e Russia e a cui partecipano anche altri paesi ostili agli Stati Uniti come l’Iran.
Al momento dell’avvio delle riforme economiche cinesi alla fine degli anni settanta del Novecento il pil dei due paesi aveva sostanzialmente lo stesso valore. Oggi quello cinese è superiore di circa sei volte rispetto a quello indiano utilizzando nel calcolo il criterio dei prezzi di mercato, di circa tre volte con quello della parità dei poteri di acquisto.
I rapporti tra i due grandi paesi asiatici sono stati nel tempo piuttosto burrascosi. Senza entrare troppo nei dettagli si può ricordare lo scontro del maggio 2020 per una disputa sui confini. Da allora l’India ha moltiplicato gli episodi di ostilità verso il paese vicino. La sostanziale proibizione di nuovi investimenti, la creazione di difficoltà a quelli già presenti, la proibizione tra l’altro delle attività di di Tik Tok e di Huawei nel paese, la difficoltà nell’ottenere visti di ingresso nel paese per i manager delle imprese cinesi, ne sono alcuni segni. Ciò nonostante gli scambi commerciali sono cresciuti nel tempo, sino a raggiugere i circa 118 miliardi di dollari nel 2023, ma con un fortissimo saldo negativo dell’India.
Di recente sembra avviarsi un processo di riavvicinamento tra i due paesi. Si è giunti ad un accordo sia pure ancora non completo sulla disputa territoriale, si stanno allargando le maglie per i visti, qualche ministro suggerisce una nuova apertura agli investimenti e più in generale alle imprese cinesi, i due leader si sono incontrati di recente.
Tra l’altro il progetto indiano di creare una forte base industriale nel paese appare in difficoltà e il gruppo dirigente del paese si rende conto che un apporto cinese al progetto sarebbe fondamentale, mentre i promessi investimenti delle imprese occidentali non si sono materializzati.
L’eventuale avvio di nuovi rapporti di amicizia tra i due paesi, mentre potrebbe contribuire ad attenuare gli effetti economici delle decisioni di Trump, porterebbe tra l’altro ad un forte ulteriore declino della presa dell’Occidente e ad una parallela crescita del peso dell’Asia e in generale dei paesi del Sud sui destini dello stesso mondo.
Testi citati nel volume
-Basu K., Perché i dazi creeranno danni soprattutto negli Usa, Domani, 20 novembre 2024.
-Billion D., Ventura C., Désoccidentalisation, repenser l’ordre du monde, Agone, Marsiglia, 2023.
-Caracciolo L., La pace è finita, Feltrinelli, Milano, 2022.
-De Bolle M., Latin America is the victim of protectionist contagion, www.ft.com, 17 giugno 2024.
-De Lens K., Gijsels Ph., The new world economy in five trends, Lannoo ed., Tielt, 2024.
-Foy H., Russell A., Stott M., « Brave new world » : Trump’s victory signals end of US-led post-war order, www.ft.com, 7 novembre 2024.
-Grosman D., Us-India ties remain fundamentally fragile, Foreign policy, 4 aprile 2024.
-Kauffmann S., 2023, L’année du Sud global, Le Monde, 21 dicembre 2023.
-Le Nagard M., Sommet de Kazan : «La domination occidentale sur le monde est terminée», in Le choc des civilisations, Front Populaire, dicembre 2024-février 2025.
-Russell A., The à la carte world: our new geopolitical order, www.ft.com, 21 agosto 2023.
-Sanger D. E., Trump’s win ends a post-world war II era of U.S. leadership, www.nytimes.com, 6 novembre 2024.
-Stephens B., This D-day, Europe needs to resolve to get its act together, www.nytimes.com, 4 giugno 2024.
–The Economist, Special report, the deglobalisation of finance, 11 maggio 2024.
-Wolf M., La crisi del capitalismo democratico, Einaudi, Torino, 2024a.
-Wolf M., Why Trump trade war will cause chaos, www.ft.com, 19 novembre 2024b.
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