UCRAINA, L’IGNAVIA DEI 4 VOLENTEROSI da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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UCRAINA, L’IGNAVIA DEI 4 VOLENTEROSI da IL FATTO

Ucraina, l’ignavia dei 4 volenterosi

Barbara Spinelli  18 Maggio 2025

Zelensky ha provato ad avvelenare le trattative, sfidando Putin a venire in Turchia. Se i negoziati riprenderanno, si ridiscuteranno i punti patteggiati tre anni fa, ma in condizioni assai peggiori per Kiev

Ancora non è chiaro se i negoziati fra Kiev e Mosca riprenderanno, a Istanbul, dopo un primo accordo sullo scambio di 1000 prigionieri di guerra –il più ampio dal 2022.

È invece chiaro che qualora riprendessero, ricominceranno lì dove a fine aprile 2022 erano falliti: furono interrotti non tanto a causa del massacro russo a Bucha, venuto alla luce senza che le trattative si bloccassero, ma perché Washington e Londra imposero a Zelensky la continuazione di una guerra che sembrava promettere immani sconfitte russe.

Le cose non andarono così: nel settembre 2022 le truppe russe annettono quattro province lungo il Mare di Azov e il Mar Nero e continuano ad avanzare nel Sud e Sudovest ucraino. È probabile che vogliano assicurarsi altre città ritenute cruciali prima di negoziare, come analizzato dallo studioso Alessandro Orsini. Zelensky essendo perdente ha fretta, dunque insiste sull’incontro diretto col Presidente russo. Putin non ha fretta.

Se le trattative riprenderanno, si dovranno ridiscutere punti patteggiati tre anni fa, ma in condizioni ben peggiori per Kiev. Allora ci si accordò sulla neutralità militare ucraina ma non si parlò di territori (se si esclude la Crimea annessa da Mosca nel 2014, che gli occidentali considerano sacrificabile di fatto se non di diritto). Oggi di territori si deve parlare, dopo l’annessione delle quattro province. Quanto alla Crimea, Trump (ma non l’UE) ha detto che riconoscerà il suo accorpamento alla Russia.

Zelensky ha provato ad avvelenare sul nascere le trattative con un gesto disperato e teatrale. Ha sfidato Putin a venire in Turchia per un faccia a faccia: se non fosse venuto, il suo rifiuto della pace sarebbe stato palese. A meno che non sia sprovvisto di comprendonio, il presidente ucraino dovrebbe tuttavia sapere che un negoziato faticoso non comincia dalla fine, e per forza deve esser preparato dai tecnici prima d’esser firmato dai capi di Stato. E doveva sapere che Mosca vuole garanzie scritte sul non ingresso di Kiev nella Nato, visto che ha iniziato la guerra proprio per questo, e che le promesse fatte a Gorbaciov nel 1990-91 furono violate perché non scritte. Tale garanzia può esser fornita non da una tregua, ma da complessivi accordi di pace.

Zelensky dovrebbe anche sapere che il Cremlino si presta di rado a vertici improvvisati e teatrali, soprattutto quando i belligeranti hanno una fiducia reciproca ridotta a zero. L’incontro fra i due Presidenti sarebbe andato a vuoto, e questo era presumibilmente l’obiettivo di Kiev e forse anche degli alleati a lui vicini: i cosiddetti Volenterosi di Germania, Francia, Regno Unito, Polonia.

La trattativa russo-ucraina è difficilissima – per quanto riguarda sia le province del Sud sia le garanzie di sicurezza chieste da Kiev– ed è sperabile che ricominci. È positivo che a negoziare per i russi ci sia lo stesso negoziatore dell’accordo quasi concluso nel ’22, Vladimir Medinsky. Che i mediatori Usa vigilino sulle due parti e che Trump non abbandoni la partita come minacciato, anche se la sua imprevedibilità e faciloneria sono temibili. Pur avendo favorito le trattative tecniche, il Presidente non nasconde infatti la sua convinzione profonda, unita all’impazienza: “Non succederà nulla fin quando Putin e io non ci incontreremo”. Ma non si può del tutto escludere che qualcosa nasca anche a Istanbul, nonostante le sospensioni. La guerra in Vietnam finì dopo trattative lunghissime e più volte interrotte: dopo i tentativi di Lyndon Johnson, sabotati dal rivale repubblicano Nixon, Kissinger negoziò in nome di Nixon per quattro anni con il nordvietnamita Le Duc Tho, fra il 1969 e il 1973, con alti e bassi e senza che la guerra americana cessasse di incattivirsi.

Quanto ai Volenterosi europei, che avevano annunciato ennesime pesanti sanzioni nel caso Mosca non avesse accettato entro il 12 maggio la tregua di 30 giorni proposta da Zelensky, lo smacco è impressionante. I quattro leader si sono fatti fotografare il 10 maggio a Kiev giusto per confermare, ancora una volta, di essere incapaci sia di lanciare ultimatum verosimili, sia di fare diplomazia (niente sanzioni il 12 maggio, anche se tuttora ventilate da UE e anche Usa). Si può capire che il presidente del Consiglio Meloni stia alla larga, per ora, dai vertici dei Quattro Ignavi d’Europa.

Capire come può nascere una trattativa su pace e guerra è impresa impossibile per chi s’ostina a rifugiarsi nell’ignoranza dei popoli coinvolti e della loro storia: è il difetto di tutte le guerre giuste, di esportazione della democrazia o delle religioni. L’ignoranza è epidemica in gran parte delle cancellerie europee, oltre che nella stampa mainstream e nei dibattiti televisivi italiani. Ignoranza di quanto accaduto nel dopoguerra fredda, caratterizzato da presunzione vittoriosa dell’Occidente e unipolarismo Usa. Ignoranza dei motivi per cui il conflitto in Ucraina è cominciato: l’allargamento Nato fino alle porte di Mosca, come esplicitamente ammesso nel settembre 2023 da Stoltenberg, allora segretario generale della Nato. Ignoranza negazionista, infine, delle ragioni per cui le trattative Mosca-Kiev di tre anni fa naufragarono.

D’un tratto, il 12 maggio scorso, un servizio del Tg La7 apriva finalmente la finestra su due nodi decisivi: le trattative del ’22 furono affossate da Londra e Washington, che volevano continuare la guerra; nessun negoziato è possibile fin quando restano soldati ucraini nella regione russa del Kursk. Il servizio, firmato dall’ottimo Adalberto Baldini, è stato smentito la sera successiva dal direttore del Tg. Sono due bufale, ripete il giornalista Paolo Mieli, che usa presentarsi come storico. Bufale le promesse di non allargamento Nato fatte a Gorbaciov e violate fin dalla presidenza Obama. Bufala l’accordo del marzo-aprile 2022, già zoppicante ma silurato da Londra e Biden.

“Spetta agli storici chiarire”, obietta Mieli, senza intuire che fin da subito occorre affrontare i due nodi, perché sia possibile non tanto una tregua che fermi temporaneamente le carneficine, quanto un accordo di lungo periodo che soddisfi i legittimi bisogni di sicurezza di ambedue i belligeranti. È avvilente che i due nodi siano misconosciuti non solo dai media, ma anche dai governi europei. Il 10 maggio, il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul ha confermato in un’intervista alla Neue Osnabrücker Zeitung (giornale accusato di putinismo) che il “cammino dell’Ucraina verso l’adesione alla Nato è irreversibile”. Il ministro finge di non capire perché c’è guerra in Ucraina.

Wadephul sembra rispecchiare l’opinione di Merz, deciso a schierare “l’armata convenzionale più forte d’Europa” e a raggiungere il 5% delle spese militari chieste da Trump (non ancora dalla Nato). Sarà Berlino a riarmarsi più di tutti gli Europei contro Mosca – assieme a Varsavia – avendo le risorse e squilibrando l’UE. Se davvero si vuole avere uno sguardo storico, e tener conto che Napoleone e Hitler non avevano l’atomica, non si può immaginare scenario più mortifero per l’Europa intera.

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