SERVE UN RECOVERY PlanET da IL MANIFESTO
Serve un Recovery PlanET
Nuova Finanza Pubblica . La rubrica settimanale sui diritti a cura di autori variMarco Bersani 03.04.2021
Ogni giorno che passa divengono sempre più netti i connotati, europei e nazionali, che assumerà il Next Generation Ue, l’insieme di fondi -prestiti e trasferimenti, con relative condizionalità- che la Commissione Europea metterà a disposizione per fronteggiare la profonda crisi economica, sociale e sanitaria, evidenziatasi con la pandemia.
Parliamo al futuro, e questo perché, analogamente al rimorchiatore Evergreen nel canale di Suez, anche il Next Generation Ue si è nel frattempo incagliato nel ricorso presentato alla Corte Costituzionale tedesca, che, seppure sarà probabilmente respinto, comporterà un bel ritardo di oltre tre mesi nell’arrivo del bastimento che dovrebbe essere carico di miliardi.
Transizione ecologica è l’ideologia che lo guida, riverniciatura green è la realtà che lo sostanzia. Nel 2018, la Commissione Europea aveva lanciato l’”Action plan on sustainable finance” un corpo di regole per definire cosa significhi investimento finanziario sostenibile dal punto di vista ecologico, predisponendo una classificazione delle attività economiche, che diventerà operativa dal 1 gennaio 2022.
In base a questo primo elenco, risulterebbero sostenibili gli investimenti relativi al gas come fonte energetica nonostante gli effetti climalteranti, alla bioenergia prodotta dalla combustione degli alberi, alle centrali idroelettriche nonostante i danni alla biodiversità, e persino alla plastica, se prodotta con processi di riciclaggio chimico con standard minimi di emissioni.
Dulcis in fundo, ed è notizia di questi giorni, il Centro comune di ricerca, braccio scientifico della Commissione Europea, si appresta a sdoganare come investimento verde anche i finanziamenti all’energia nucleare, rispetto alla quale “le analisi non hanno rivelato alcuna prova scientifica che arrechi più danni alla salute umana o all’ambiente rispetto ad altre tecnologie di produzione di elettricità”, mentre “lo stoccaggio dei rifiuti nucleari in formazioni geologiche profonde è appropriato e sicuro”.
Se a questa cornice europea aggiungiamo la declinazione italiana, fatta di pieno sostegno a tutte le cosiddette grandi opere, di contrarietà ad eliminare i sussidi ambientalmente dannosi relativi alle fonti fossili, di utilizzo dei fondi anche per nuovi sistemi d’arma green (!!), il quadro è chiaro: non siamo in presenza di alcuna conversione ecologica e sociale, ma ad una riverniciata green di un modello governato dalla triade crescita-concorrenza-competitività e finalizzato ad approfondire la predazione delle risorse naturali e la diseguaglianza sociale.
Ma c’è chi dice no: da diversi mesi, oltre 360 realtà associative e di movimento e oltre 1500 persone attive individualmente hanno avviato un percorso di convergenza per uscire dall’economia del profitto e costruire la società della cura e, dopo un intenso lavoro di incontri tematici hanno messo a punto un “Recovery PlanET”, un piano alternativo di proposte per contrapporre il ’prendersi cura’ alla predazione, la cooperazione solidale alla solitudine competitiva, il ’noi’ dell’eguaglianza e delle differenze all’’io’ del dominio e dell’omologazione.
Dopo le diverse lotte e vertenze che hanno attraversato il mese di marzo segnalando un’importante presa di parola della parte attiva della società, questo insieme di realtà chiama tutte e tutti, il prossimo sabato 10 aprile, a una giornata di mobilitazione nazionale condivisa e da costruire in tutti i territori con presidi, flash mob, iniziative, che, nel rigoroso rispetto di tutte le misure di emergenza sanitaria, sappia comunicare con forza che non vogliamo alcun Recovery Plan per riprodurre l’esistente, ma rivendichiamo un Recovery PlanET per costruire un’alternativa di società.
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